mercoledì 30 dicembre 2015

Natale: l'ora della fiducia nella notte del mondo

 


 
di Roberto de Mattei
 
Il Santo Natale non è solo una tradizione culturale dell’Occidente o la semplice memoria, cara ai cristiani, di un fatto storico accaduto in Palestina 2015 anni fa. Natale è il momento in cui il Redentore dell’umanità si fa presente a noi in una culla, chiedendoci di adorarlo come Re e Signore dell’universo. La Natività è, sotto questo aspetto, uno dei misteri centrali della nostra fede, la porta che permette di entrare in tutti i misteri di Cristo.

Papa san Leone Magno (440-461) scrive: «Colui che era invisibile nella sua natura si è reso visibile nella nostra. L’incomprensibile ha voluto essere compreso; Lui che è prima del tempo, ha cominciato ad essere nel tempo; il Signore dell’universo, velando la sua Maestà, ha ricevuto forma di schiavo» (Sermo in Nativitate Domini, II, § 2).

La manifestazione nella storia del Verbo Incarnato fu anche l’ora del più grande tripudio degli Angeli. Fin dal momento della loro creazione, all’alba dell’universo, essi sapevano che Dio si sarebbe fatto uomo e lo avevano adorato, abbagliante all’interno della Santissima Trinità. Questa Rivelazione aveva irrimediabilmente separato gli angeli fedeli e quelli ribelli, il cielo e la terra, i figli della luce e quelli delle tenebre. A Betlemme giunge finalmente per gli Angeli il momento di prostrarsi di fronte al Divino Infante, causa e mezzo, come scrive padre Faber, della loro perseveranza.

Le armonie del Gloria in excelsis inondarono il Cielo e la terra, ma furono udite quella notte solo dalle anime che vivevano nel distacco dal mondo e nell’amore di Dio. Tra queste erano i Pastori di Betlemme. Essi non appartenevano alla cerchia dei ricchi e dei potenti, ma nella solitudine e nelle veglie notturne attorno ai loro greggi, conservavano la fede di Israele Erano uomini semplici, aperti al meraviglioso, e non si stupirono dell’apparizione dell’Angelo, il quale facendo sfolgorare su di loro una luce celeste, disse: «Ascoltate che io vi porto una buona nuova, di gran gaudio per tutto il popolo, perché è nato oggi a voi il Salvatore, che è Cristo Signore, nella Città di Davide. Questo sarà per voi il segno per riconoscerlo e riverirlo: che troverete un Bambino appena nato, avvolto in fasce che giace in una mangiatoia» (Lc 2, 11-12).

I Pastori seguirono docilmente le indicazioni dell’Angelo e furono guidati fino alla Grotta, dove trovarono il Bambino nella mangiatoia, con Maria e san Giuseppe: «Invenerunt Mariam, et Joseph et Infantem positum in Praesepio» (Lc 2, 16). Ebbero la grazia di essere i primi, dopo Maria e Giuseppe, ad offrire sulla terra un atto di adorazione esterna al Bambino di Betlemme. Adorandolo, compresero che nella sua apparente fragilità, Egli era il Messia promesso, il Re dell’universo. Natale è la prima affermazione della Regalità di Cristo e la mangiatoia è il suo trono. La mangiatoia era anche lo scrigno della Civiltà cristiana che nasceva e i Pastori ne furono i primi profeti. Il programma di questa Civiltà era raccolto nelle parole che una miriade di Angeli proclamò quella notte: «Sia gloria a Dio nell’alto dei Cieli e pace in terra agli uomini di buona volontà» (Lc 2, 14).

Con immensa gioia, i Pastori andarono ad annunciare ovunque, nei campi e nei monti, la lieta novella. «Omnes qui audierunt mirati sunt» (Lc 2, 18), tutti rimasero meravigliati, ma non tutti si mossero verso la capanna di Betlemme. Molti erano immersi nelle loro occupazioni e rinunciarono a uno sforzo che avrebbe cambiato la loro vita, nel tempo e nell’eternità. Tanti altri passarono davanti alla Grotta in quei giorni, vi si affacciarono forse incuriositi, ma non compresero, o non vollero comprendere, la meraviglia dell’evento.

Eppure la Regalità del Bambino Gesù fu riconosciuta da alcuni tra gli uomini più sapienti del tempo. I Magi, Re dell’Oriente, erano uomini i cui sguardi erano assorti nelle cose celesti, quando nel Cielo apparve loro una stella. La stella fu per i Magi ciò che l’Angelo era stato per i Pastori: la voce di Dio che dice di sé «Ego sum stella splendida et matutina» (Apoc. 22, 16). Anche i Re Magi, come i Pastori, corrisposero perfettamente all’impulso divino. Essi non furono gli unici a vedere la stella, e forse non furono gli unici a comprenderne il significato, ma furono i soli a mettersi in marcia verso Occidente. Altri forse capirono, ma non vollero abbandonare il loro Paese, le loro dimore, i propri affari.

I Pastori erano vicini, i Magi lontani da Betlemme, ma a entrambi si applica il principio per cui, chi cerca Dio con purezza di cuore non è mai abbandonato. Pastori e Magi recarono doni, di diverso valore, ma sia gli uni che gli altri offrirono il dono più grande che avevano. Essi donarono al santo Bambino gli occhi, le orecchie, la bocca, il cuore, tutta la loro vita; in una parola consacrarono il proprio corpo e la propria anima alla Sapienza Incarnata e lo fecero attraverso le mani di Maria e di Giuseppe, alla presenza di tutta la Corte celeste.

In questo imitarono la perfetta sottomissione alla Volontà di Dio di Gesù Bambino, che da Dio-Verbo si è annientato in forma di schiavo della Volontà divina, e poi si è lasciato condurre per tutti gli stati, fino alla morte di Croce e alla gloria: non ha scelto i suoi stati, ma ci si è lasciato guidare, momento per momento, dall’ispirazione della Grazia, come scriveva un mistico del XVII secolo (Jean-Baptiste Sainte-Jure, Vita di Gaston de Renty, tr. it. Glossa, Milano 2007, p. 254). La devozione al Santo Bambino è una devozione in cui si sperimenta un radicale abbandono alla Divina Provvidenza, perché quel Bambino avvolto nelle fasce è un uomo-Dio che ha annientato la Sua volontà per fare quella del Padre suo che è nei cieli, e la farà sottomettendosi a due creature eccelse, ma a Lui sottomesse: la Beatissima Vergine Maria e san Giuseppe.

Il Santo Natale è il giorno dell’estremo abbandono alla Divina Provvidenza, ma anche dell’immensa fiducia nei piani misteriosi di Dio. E’ il giorno, scrive ancora san Leone Magno in cui «il Figlio di Dio è venuto a distruggere l’opera del diavolo (1 Gv 3, 8), il giorno in cui si è unito a noi e ci ha unito a Lui, affinché l’abbassamento di Dio verso l’umanità sollevi gli uomini fino a Dio» (In Sermo in Nativitate Domini, VII, § 2). In questo stesso sermone, san Leone denuncia lo scandalo di coloro che, alla sua epoca, salendo i gradini della Basilica di San Pietro, mischiavano le preghiere della Chiesa con invocazioni rivolte agli astri e alla natura: «Che i fedeli – scrive – rigettino questa abitudine condannevole e perversa, che l’onore dovuto solo a Dio non si mescoli più con i riti di coloro che adorano le creature. La Santa Scrittura dichiara: “Tu adorerai il Signore Dio tuo e non servirai che a Lui solo”(Gen. 1, 3) ».

Come non intendere l’attualità di queste parole, mentre sulla facciata della Basilica di San Pietro si proiettano spettacoli neo-pagani e si celebra il culto panteista della Natura? In queste ore buie, i cattolici fedeli continuano ad avere la stessa fiducia che ebbero i Pastori e i Magi che si avvicinavano al Presepio per contemplare Gesù. Natale giunge, le tenebre in cui è immerso il mondo saranno dissipate, e i nemici di Dio tremano, perché sanno che l’ora della disfatta è per essi vicina. Per questo essi odiano il Santo Natale e per questo noi, con sguardo fiducioso contempliamo il Sacro Bambino che nasce e gli chiediamo di illuminare le nostre menti nel buio, di riscaldare i nostri cuori nel freddo, di fortificare le nostre coscienze smarrite nella notte del nostro tempo. Bambino Gesù, che venga il tuo Regno!
 
 
 
 
 
 
 

Nessun commento:

Posta un commento