San Clemente romano in un'iconografia russa
Redattore di Traditio Liturgica
Ho rivisto un amico che non incontravo da mesi. Questo signore, con il quale eravamo colleghi, insegna in una scuola media. Memore delle nostre antiche discussioni mi ha toccato in alcuni punti d’argomento religioso correndo il rischio di aprire un vero e proprio vaso di Pandora.
Quello che ho notato in quest’amico, che per altro è persona di finezza intellettuale, è la difficoltà a comprendere la mia posizione critica. Quanto vado dicendo pare essere… “eccessivo”!
Come lui, molte altre persone di buona volontà pensano che la situazione religiosa che ci circonda sia “normale” o, al più, con qualche piccolo problema che, magari, si può risolvere con tempo e pazienza.
Quanta distanza ci sia tra questo nostro mondo religioso circostante e quello testimoniato dalla vita dei Padri della Chiesa (questa è la “normalità”!) lo vediamo dalla sorte che abbiamo dato al dogma.
Per san Massimo il Confessore (VI sec,), il dogma era sinonimo di pietà. Conservare il dogma nella Trinità, ad esempio, significava conservare la pietà nella Chiesa e nel singolo credente. Alterare il dogma, credendo, ad esempio, a Cristo come ad un uomo esemplare ma non come a Dio, significava, annullare la pietà nella Chiesa. Questo collegamento tra dogma e pietà è talmente stretto, in quest’autore, da affermare “Noi lottiamo per la pietà”, intendendo “Noi lottiamo per il dogma”.
Oggi, viceversa, la pietà si è sganciata totalmente dal dogma: la prima, se c’è, s’è spesso snaturata in sensazione ed emozione religiosa, il secondo è divenuto esercizio filosofico-intellettuale partendo da alcuni testi-base (Sacra Scrittura, testi patristici, testi magisteriali, ecc.). Il dogma è un’affermazione apodittica senza rapporti con la pietà.
Al contrario, il Credo, che ancor oggi si recita nelle assemblee liturgiche recita: “Per noi uomini e per la nostra salvezza…”, per indicare che le affermazioni dogmatiche, con le quali è composto, non sono disgiungibili dall’esperienza di salvezza e quindi dalla pietà dei singoli.
Ma questa coscienza antica pare non essere più eloquente nei contesti ecclesiali odierni.
Da molto tempo ho notato nelle scuole teologiche una crescente attenzione al dato biblico per se stesso, prescindendo da quanto la Chiesa vi ha tradizionalmente letto. In questo modo, anche un biblista cattolico tende ad essere convinto che nell’Antico Testamento non parla il Dio-Trinità (rivelato compiutamente nel Nuovo) ma Jahvé, ossia il Dio al quale ancor oggi credono gli ebrei. Com’è convinto lui lo sono, poi, i suoi stessi allievi.
Sempre lo stesso tipo di attenzione al dato biblico fa ritenere che Cristo fosse compreso, dalle prime comunità cristiane, come un “uomo eccezionale” (sarebbe questo il supposto significato di “figlio di Dio”) e solo con l’intrusione di categorie filosofiche estranee al dato cristiano, è stata formulata la dogmatica cristiana.
Queste “lezioni” si accompagnano spesso a quel senso di fastidio e antipatia per la definizione di “dogmatico”, vista come qualcosa di praticamente contrario al libero pensiero o al semplice pensiero critico. Al “dogmatico” non è riservata altra sorte, se non questa. È un’opinione che ricalca acriticamente la più sfacciata ideologia laicista, non c’è che dire!
In questo modo, è in atto da molto tempo un programma di “decostruzione” del Cristianesimo tradizionale al suo proprio interno, partendo dalla generalizzazione e dall’estremizzazione di alcuni dati biblici.
Oltre a scalzare la dogmatica tradizionale, alcune idee circolanti in queste scuole bibliche tendono da anni a secolarizzare l’evento cristiano, abbassando il concetto di sacro a qualcosa di particolare, legato ad un certo periodo storico sul quale hanno senza dubbio influito idee pagane. Il concetto di sacro, dunque, è da superare a favore d’un concetto inclusivo e generico di “santo”; tutto sarebbe “santo”, nulla sarebbe “sacro”.
Questo mondo d’idee destabilizzanti circola da anni nel Cattolicesimo ma, prima ancora, è circolato nel Protestantesimo. Con queste idee si sono formati laici e sacerdoti, vescovi e cardinali. Perché dunque meravigliarsi se tali idee possono ora fare parte pure dell’attuale papa?
Antipatia per il sacro, massima inclusività (baciare il piede ad una mussulmana in una liturgia cristiana con la confusione inevitabile tra piano simbolico-liturgico e piano puramente umano), strisciante antipatia per le definizioni dogmatiche, viste come umanamente “limitanti”, poiché chi le sostiene è uno che crede “d'avere la verità in tasca”, adombramento degli imperativi morali a favore di una pastoralità con cui si fanno larghi sconti, privilegio della piazza piuttosto che del presbiterio o della contemplazione, non sono caratteri emergenti che ci pare di cogliere nell’attuale pontificato?
Che ne sia, una cosa è certa: le testimonianze storiche. In base ad esse, se scorriamo i testi dei Padri e dei teologi antichi, notiamo tutto un ordine differente d’idee, ordine che non lego esclusivamente ad una cultura e ad un tempo particolari, lontani dal nostro. Quest’ordine d’idee nasce da orientamenti degli spiriti assai distanti da noi, forse pure in opposizione.
Ed eccoci tornati al punto iniziale: se ne si parla a chi non ha la chiarezza sufficiente, inevitabilmente parremo “eccessivi”, “pessimisti”, magari “legati al passato”. Invece, al di là del supporto culturale con cui il mondo tradizionale cristiano si presenta, il suo contenuto si riferisce a dati essenziali che fanno in modo che la Chiesa sia tale e non qualcos’altro.
Per questo la pietà, ossia il dogma, finiscono per essere basilari e vanno posti prima d’ogni altra cosa, essendo l’appoggio sul quale tutto si fonda. Purtroppo è un discorso lontano anni luce per molto clero e laicato cristiano il quale pare aver creato una nuova religione umanitaria con apparenza cristiana.
Che ne sia cosciente o meno, che abbia buona intenzione o meno, quello che è certo è che gli antichi padri sarebbero fuggiti lontano da costoro, dal momento che non avevano titubanze ad allontanarsi da chi aveva posizioni ben più moderate, rispetto alle odierne.
Per noi, è dove si trovano questi padri che, in definitiva, ancor oggi si trova la Chiesa e la vera coscienza ecclesiale.
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