di Stefano Fontana
11-07-2014
L’articolo del direttore Cascioli pubblicato ieri (clicca qui) e riguardante la “politica culturale della CEI” a proposito di Tv2000 e non solo, pone un problema che ci trasciniamo da molto tempo. Quando Giovanni Paolo II andò al Convegno ecclesiale di Loreto proprio per invertire il processo consolidatosi con il precedente convegno ecclesiale di Roma, non fece altro che affrontare questo stesso problema: dalla fede cattolica deriva una cultura, una visione organica e complessiva della realtà e della vita.
Non derivano solo degli spunti, dei frammenti, oppure degli atteggiamenti ma una visione della realtà in cui tutto si tiene. La fede cattolica, come disse il cardinale Bagnasco in una memorabile prolusione, non è una “fede nuda”, ma porta con sé una vita, una dottrina, un’antropologia, un’etica, un insieme di contenuti compaginati tra loro. La fede cattolica, diceva Del Noce, presuppone una metafisica, una concezione dell’essere e quindi una ragione adeguatamente aperta al tutto dell’essere.
Questo è precisamente quanto è andato ampiamente perduto. La conseguenza è che si mettono in piedi iniziative culturali - da una TV ad un settimanale diocesano, da una radio ad un corso di laurea – che non fanno una proposta riconoscibile come cattolica.
Un sintomo molto espressivo di questo è oggi il concordismo di cui sono ammalati giornali e tv cattolici. In una cultura in cui di cattolico ormai non c’è quasi più nulla, essi vedono spunti di cattolicesimo dappertutto. E se il tale personaggio o il tale evento non ha nulla di esplicitamente cattolico, essi vi trovano qualcosa di implicitamente cattolico. Vengono creati così gli accostamenti più strani, compreso quello tra atei che più atei non si può e la fede cattolica. Ogni romanziere, ogni testo teatrale, ogni libro, ogni filosofo che muore, ogni anticristo vivente per loro almeno adombrava qualcosa di cattolico.
Si rimane sbalorditi dalla temerarietà di questi accostamenti concordistici. Ogni atteggiamento contro la mafia, ogni richiesta di solidarietà, ogni difesa dell’ambiente, ogni lotta contro l’aids, ogni promozione della donna … ha qualcosa di cattolico, anche se invece risponde a visioni della realtà che col cattolicesimo non hanno niente a che fare. Non c’è oggi un giornale cattolico che non sostenga la proposta del “reddito di cittadinanza” che è assolutamente contrario a tutti i principi della dottrina sociale della Chiesa.
Certamente delle briciole di verità ci sono anche nel più evidente errore. Però non basta una briciola per fare un tutto. La fede cattolica produce un tutto culturale e non semplici spunti o frammenti. Non è col bricolage che si è cattolici e non possiamo soddisfare le richieste della Fides et Ratio circa le esigenze del “cosmo della ragione” - tramite la spigolatura o mediante il vagabondare del raccoglitore.
Bisogna però fare lo sforzo di andare alla radice di questo atteggiamento. La fede cattolica ha un contenuto di conoscenza e la rivelazione apre la finestra del mondo irrorandolo di luce che viene dal di fuori. Guardando ai dogmi della propria fede, e non alle tendenze sociologiche o alle statistiche delle scienze sociali, il cattolico trae le verità per la sua vita personale e collettiva. Oggi questo non è più ritenuto vero da molti cattolici. Quindi per costoro non ci può essere una proposta culturale cattolica e non serve che una tv o un giornale sia diretto da un cattolico, ossia da uno che abbia in testa quelle verità. Molti giornali cattolici sono impegnati in battaglie anticattoliche. Molte scuole cattoliche insegnano una filosofia anticattolica. Molte associazioni cattoliche partecipano a campagne anticattoliche.
C’è tutta una corrente teologica, oggi assolutamente prevalente, che pensa che la pretesa che ho appena indicato sia una violenza della fede cattolica al mondo e all’uomo. Il fedele non riceverebbe nella Chiesa questa luce che viene dal di fuori e il cui deposito la Chiesa tramanderebbe nel tempo. Egli, piuttosto, conoscerebbe le verità della sua fede da dentro la sua situazione. Quindi può solo comprendere e interpretare ma non conoscere qualcosa che veramente venga “da fuori”. L’uomo è dentro questo orizzonte esistenziale perché egli fa parte del problema su cui si interroga e non può, quindi, accedere ad una verità che comporterebbe un punto di vista assoluto. Non gli resta, quindi, che camminare con gli altri senza pretese, raccogliere briciole di verità qua e là, comporre e scomporre progetti esistenziali. Ascoltare, condividere, essere vicino, comprendere, accettare tutto senza tenere nulla come definitivo. La fede diventa atteggiamento di accompagnamento, attitudine alla ricerca e al dialogo, capacità di farsi domande insieme agli altri.
L’espressione “chi sono io per giudicare?”, totalmente disancorata dal contesto in cui è stata pronunciata, diventa così il simbolo di questa fede senza dottrina e senza verità. Tra i tanti sensi che la parola “giudicare” può avere, c’è anche quello propriamente conoscitivo. Il “giudizio” è l’atto con cui l’intelletto conosce la realtà, coglie dei nessi reali tra le cose. Se non è più possibile giudicare perché si sarebbe arroganti, allora non è più possibile conoscere la realtà. Si capisce allora che la fede – oltre che la ragione – può essere solo una narrazione, un’esperienza, un punto di partenza per il dialogo e il confronto. Se la vita è un talk-show in cui le interpretazioni – tra cui quella della fede – si intrecciano, allora a dirigere una Tv cattolica può essere chiamato anche un non cattolico o, addirittura, un anticattolico.
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