lunedì 28 luglio 2014

Il selfie di Dio








di Mattia Ferraresi

New York. E’ ironico che siano riusciti ad assegnare una sigla anche al gruppo più eterogeneo e nebuloso d’America, gli Sbnr, “spiritual but not religious”, quelli che non rinunciano a una relazione con le cose ultramondane, le quali appagano la parte nobile dell’anima, ma non pensano che queste si manifestino attraverso riti, sermoni, preghiere, invocazioni, liturgie, comunità, inginocchiatoi, templi, sacerdoti, sacramenti o qualunque altra vestigia residuale della religione organizzata. Lo spirito, a rigore, soffia dove vuole e quando gli pare, uno lo percepisce nel frinire dei grilli sul far della sera, l’altro nello scodinzolare del cane, un altro ancora nella star-spangled banner che garrisce al vento o nello yoga a Central Park. Per altri la connessione spirituale è materia cangiante, un fatto di serendipità e umore, oggi c’è domani chissà, e chi siamo noi per giudicare? Gli Sbnr sono uniti spiritualmente in questa magica disunione.



Nel tempo in cui l’unico male assoluto socialmente riconosciuto consiste nell’insinuare che esistano assoluti, lo “spiritual but not religious” funziona a meraviglia. Conferisce un senso di profondità umana, di autenticità, argina la banalità del materialismo consumista, non costringe ad avventurarsi in affermazioni apodittiche o distinzioni teologiche, evita il ricorso all’ateismo esplicito, che in Europa si porta alla grande in società, in America già un po’ meno. E’ una posizione sostenibile ma non argomentabile, non ammette obiezioni o distinzioni razionali, è per definizione negoziabile e relativa, s’addice alle conversazioni a tavola e a quelle a bordo piscina, diventa virale sui social.



Avere un’anima spirituale da portare a spasso per le strade del mondo cinico e senza coscienza è un valore aggiunto, basta aver visto una trasmissione di Oprah per afferrare il concetto. Il sondaggio Pew sulle tendenze religiose degli americani dice che gli spirituali ma non religiosi sono il 7 per cento della popolazione, tribù che ha superato quella degli atei. In America ci sono più Sbnr che ebrei, musulmani ed episcopaliani, e il trend continua a crescere, in netto contrasto con chiese e denominazioni protestanti, che mostrano una declinante tendenza all’atomizzazione. In un certo senso è come se il corpaccione della religione americana si fosse frammentato in così tante particelle da lasciare ciascun individuo con il proprio credo tagliato su misura.



Harold Bloom aveva spiegato tutto questo già all’inizio degli anni Novanta, descrivendo l’emergere della “nazione post cristiana” nel suo “The American Religion”. La pulsione fondamentale della religiosità americana, sosteneva Bloom, non è cristiana ma gnostica, prevede la liberazione dell’io dai condizionamenti del mondo esterno attraverso la conoscenza o l’illuminazione spirituale, fenomeno intimo e solitario, che non si lascia imprigionare in una ritualità codificata. La religione afroamericana, “mistica ed emotivamente immediata”, ha dato un’impronta decisiva alla nascita della sensibilità spirituale ma non religiosa. Quello che Bloom non poteva prevedere era l’affinità profonda fra questa tendenza e il sentire della generazione contraddittoria e centripeta dei millennial, “che nell’esperienza religiosa si aspetta lo stesso livello di customizzazione che ha quando fa shopping online”, come ha detto di recente l’intellettuale Leon Wieseltier. I millennial sono culturalmente orientati ad abbracciare qualunque forma di spiritualità on demand, purché non contenga pretese universali o prescrizioni sociali – Time scrive che in fatto di matrimonio i millennial vogliono prima “testare la versione beta”, come in tutto il resto – meglio ancora se il credo rimane chiuso nel perimetro del proprio io autodeterminato. La tensione verso l’alterità non compare fra le categorie culturalmente accettabili, ma nemmeno si scorgono professioni di ateismo radicale à la Feuerbach, secondo cui l’uomo non è creato a immagine di Dio, ma viceversa. La pulsione religiosa americana è viva e multiforme e non si annoia appoggiata a uno specchio. L’icona postmoderna da venerare è il selfie.



Thomas Moore, uno dei più noti divulgatori Sbnr che mischia la psicanalisi alla sensibilità monastica cattolica, ha intitolato il suo ultimo libro “Religion of One’s Own”, la religione fai da te, perché “che tu sia religioso, ateo, agnostico, membro di una chiesa o alla ricerca puoi sempre creare la tua religione”. Non necessariamente una religione “self-centred”, il revival dell’orientalismo si è già visto negli anni Sessanta e Settanta, ma un impianto spirituale creato “attraverso i tuoi valori e gusti”. E l’altro? Non è più necessario? Le comunità non servono più? “Il mondo intero è la comunità”, somma di esseri accomunati dall’isolata ricerca del proprio io spirituale, ma non religioso.

© FOGLIO QUOTIDIANO. 27 luglio 2014



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