Qualche riflessione sull’ultimo caso giornalistico, e cioè il colloquio/intervista di papa Francesco a Eugenio Scalfari. Il genere letterario del colloquio ha una sua nobiltà. Si incontra un grande personaggio, non si vuole svilire la grandezza del momento con taccuini e registratori (ma perché no?) e poi si riporta il senso di quanto detto il meglio possibile con parole nostre. Benissimo. Ma nel momento in cui si virgolettano lunghi brani di conversazione, il genere cambia, e si entra nell’intervista. E allora i casi sono due: o si sono riportati correttamente i brani, oppure si viene smentiti. Il che è successo. Ma perché è possibile che sia risuccesso?
MARCO TOSATTI
Qualche riflessione sull’ultimo caso giornalistico, e cioè il colloquio/intervista di papa Francesco a Eugenio Scalfari. Il genere letterario del colloquio ha una sua nobiltà. Si incontra un grande personaggio, non si vuole svilire la grandezza del momento con taccuini e registratori (ma perché no?) e poi si riporta il senso di quanto detto il meglio possibile con parole nostre. Benissimo. Ma nel momento in cui si virgolettano lunghi brani di conversazione, il genere cambia, e si entra nell’intervista. E allora i casi sono due: o si sono riportati correttamente i brani, oppure si viene smentiti. Il che è successo.
Come dice il Direttore della Sala Stampa della Santa Sede, padre Federico Lombardi, "Il colloquio è cordiale e molto interessante e tocca principalmente i temi della piaga degli abusi sessuali su minori e dell'atteggiamento della Chiesa verso la mafia. Tuttavia, come già in precedenza in una circostanza analoga, bisogna far notare che ciò che Scalfari attribuisce al Papa, riferendo 'fra virgolette' le sue parole, è frutto della sua memoria di esperto giornalista, ma non di trascrizione precisa di una registrazione e tantomeno di revisione da parte dell'interessato, a cui le affermazioni vengono attribuite".
Ancora padre Federico Lombardi: "Non si può e non si deve quindi parlare in alcun modo di un'intervista nel senso abituale del termine, come se si riportasse una serie di domande e di risposte che rispecchiano con fedeltà e certezza il pensiero preciso dell'interlocutore", chiarisce padre Lombardi. Secondo Lombardi, "se quindi si può ritenere che nell'insieme l'articolo riporti il senso e lo spirito del colloquio fra il Santo Padre e Scalfari, occorre ribadire con forza quanto già si era detto in occasione di una precedente 'intervista' apparsa su Repubblica, cioè che le singole espressioni riferite, nella formulazione riportata, non possono essere attribuite con sicurezza al Papa".
Padre Lombardi sottolinea che "in particolare, ciò vale per due affermazioni che hanno attirato molta attenzione e che invece non sono attribuibili al Papa: cioè che fra i pedofili vi siano dei 'cardinali', e che il Papa abbia affermato con sicurezza, a proposito del celibato, 'le soluzioni le troverò'. "Nell'articolo pubblicato su Repubblica queste due affermazioni vengono chiaramente attribuite al Papa, ma, curiosamente, le virgolette vengono aperte prima, ma poi non vengono chiuse. Semplicemente mancano le virgolette di chiusura: dimenticanza o esplicito riconoscimento che si sta facendo una manipolazione per i lettori ingenui?", si chiede Lombardi.
Purtroppo restano tante domande. La prima: dal momento che l’episodio non è nuovo (è la seconda volta che ciò accade) perché permetterlo? Un miliardo e duecento milioni di cattolici hanno il diritto di sapere con precisione quello che ha detto il Papa. Specialmente su temi così delicati e interessanti. Se l’interlocutore, per motivi suoi, disdegna l’uso del registratore, e dal momento che già nel primo incontro ci sono stati problemi, forse sarebbe opportuno che la Santa Sede ne comprasse uno. Per difendere “i lettori ingenui”, e per non sembrare – la seconda volta che succede – di passare per ingenui. A meno che, e anche questa è una possibilità, che il tutto faccia parte di una strategia. Lanciare frasi o mezze frasi, che vengono ghermite avidamente, e lasciare alla volenterosa responsabilità dell’interlocutore il compito di renderle più clamorose di quanto esse fossero all’inizio, per poi smentirle. Forse anche, come cantava l'indimenticabile Jannacci, "per vedere l'effetto che fa". "Nell’incertezza generale, può anche essere così.
Ma di incertezza, e non solo, nel mondo dei credenti ce n’è già abbastanza.
Noi tifiamo per il registratore.
LA STAMPA 13 luglio 2014
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