giovedì 12 aprile 2012

Né uomo, né donna. La tecnologia del sesso






Uno dei frutti dell’umanesimo antropocentrico sorto dal Rinascimento e da Cartesio è la convinzione sempre più rafforzatasi nell’età moderna che l’uomo esprima la sua dignità di persona, raggiunga la sua felicità ed attui la sua libertà non adeguando coscientemente, ragionevolmente e volontariamente il proprio comportamento ad inclinazioni e finalità oggettive poste nella sua natura materiale e spirituale, ma determinando la propria esistenza, la propria condotta e le proprie scelte secondo una volontà (res cogitans) ed un’istintualità (res extensa) che egli ritiene dotate di una libertà e di un’autonomia fondate su se stesse, senza quindi l’obbligo di adeguarsi a norme oggettive, presupposte alle decisioni dell’uomo, eventualmente stabilite da un Dio creatore e legislatore della condotta umana.
Da questa esaltazione sperticata dello spirito e del libero volere è sorto l’umanesimo liberale elaborato dall’idealismo tedesco e culminante in Hegel; dall’apoteosi dei poteri dell’istinto e delle passioni è sorto l’umanesimo egoistico, utilitaristico ed edonistico fondato sull’empirismo inglese, dove la sua massima espressione è il pansessualismo freudiano. In mezzo tra i due umanesimi, quasi mescolanza di orgoglio e di sensualità, una via di mezzo tra Prometeo e Priapo, stanno l’umanesimo della prepotenza e della violenza, il “superuomo” di Nietzsche e l’umanesimo ateo e collettivista di Marx.
Questo molteplice umanesimo centrato su se stesso e negatore di ogni trascendenza, per affermare se stesso, conta esclusivamente sull’enorme sviluppo della scienza sperimentale e della tecnica avvenuto negli ultimi secoli e tuttora in via di grande crescita. Cioè, in questa visuale, l’uomo concepisce se stesso non come un soggetto composto di anima e corpo, creato ad immagine di Dio, dotato di una precisa e fissa natura, un tempo definita “animale ragionevole”, con proprie finalità, necessità e tendenze oggettive, ma intende se stesso come abilitato con la sua ragione, la sua volontà, il suo lavoro e i suoi istinti a costruire se stesso, a produrre se stesso, a fissare del tutto arbitrariamente e liberamente la propria natura come preferisce e gli obbiettivi che più gli piacciono, senza dover render conto del proprio operato se non a stesso come individuo o come società.
In questa visuale, come avviene nell’antropologia esistenzialista, l’uomo non ha un’essenza, ma è una pura esistenza, è un “singolo” irripetibile e non concettualizzabile, privo di natura specifica, peraltro effetto del suo “progetto” (il projet di Sartre e l’Entfurf di Heidegger): l’uomo non fa progetti in base a ciò che è, ma progetta il suo stesso essere.
In questa volontà di autodeterminazione ed autocostruzione, naturalmente non tutto è sbagliato, anzi, è vero che un aspetto della dignità e dei poteri dell’uomo sta proprio nello scegliere il proprio destino e nell’edificare se stesso; si pensi solo ai progressi della morale, della medicina, dell’alimentazione, dell’educazione, della libertà, della cultura, con tutti i grandi risultati che ne sono usciti per il benessere e la felicità dell’uomo.
Ma queste operazioni sono valide e salutari solo in quanto non fanno che perfezionare o determinare o correggere delle presupposte inclinazioni naturali fisiche o spirituali che l’uomo non crea ma trova già esistenti e deve riconoscere, se vuole veramente realizzare se stesso e la propria felicità in una vera libertà che non sia autodistruzione ma sviluppo delle potenzialità proprie della sua natura.
Lo sbaglio è quando l’uomo, inorgoglitosi dei suoi poteri scientifici e tecnologici, voglia, quasi fosse un mago o un semidio, cambiare, costruire, plasmare, aggiungere o modificare per non dire creare laddove egli deve solo riconoscere, rispettare, obbedire e mettere in atto. L’uomo allora scambia se stesso per una macchina da lui inventata e costruita, che può mutare o migliorare mediante interventi semplicemente tecnologici o meccanici o economici od operazioni semplicemente fisiche.
Un settore della vita umana che oggi è oggetto di questi interventi arbitrari, i quali, in nome del progresso e della libertà, finiscono in realtà per rovinare e schiavizzare la persona, è il vasto e delicatissimo settore della sessualità ovvero della distinzione tra uomo e donna, creati tali da Dio, due creature nobilissime, sintesi di materia (sesso) e spirito, uguali ed identici nella natura umana specifica, reciprocamente complementari, fatte per unirsi nell’amore al fine di generare la vita.
L’errore che oggi si commette è quello di considerare la distinzione uomo-donna non come un dato naturale da rispettare e mettere in atto secondo le sue proprie leggi ed esigenze, ma come un qualcosa di accidentale, convenzionale, un bolso stereotipo, frutto di inveterate abitudini soprattutto a danno della donna, oppure struttura biologica tecnicamente modificabile, insomma un insieme di cose e strutture circa le quali nulla impedisce alla moderna educazione, tecnologia, farmacologia o chirurgia di intervenire, modificare, togliere o aggiungere, in nome della libera scelta o preferenza dei singoli.
Da qui l’idea che l’esser maschio o femmina non siano le uniche possibilità della sessualità, ma che l’uomo abbia facoltà, libertà e diritto di sceglierne altre, da lui costruite, a suo piacimento o per bisogni personali o sociali. E’ questa la cosiddetta ed ormai famosa teoria del “genere” (gender). Il sesso non è una dualità di specie, ma è un “genere”, al di sotto del quale possono esserci molte specie.
Appare allora evidente come in questa visuale si ha una specie di dualismo o di frattura tra il soggetto libero di decidere sul sesso quello che vuole e il sesso stesso nella sua materialità, pura materia da plasmare secondo la volontà del soggetto. Da notare che l’umanesimo che sta dietro a queste prospettive si vorrebbe presentare come promotore dell’“unità” della persona anima e corpo, ma in realtà ciò che fa nella pratica suppone il dualismo che ho detto, come se il sesso (uomo e donna) fosse un qualcosa del tutto accidentale ed estrinseco alla “persona” (cioè l’autocoscienza cartesiana), così il soggetto avrebbe questa possibilità di fare e disfare come vuole. Come se il sesso non fosse un costitutivo intrinseco della persona, come ha sottolineato più volte il Beato Giovanni Paolo II, ma fosse una specie di oggetto esterno, di indumento contingente, da me scelto, estrinseco al mio io (la mia “anima”), che io posso cambiare o scegliere come voglio: qualcosa che ricorda la teoria indiana della reincarnazione.
A questo punto vorrei notare una curiosissima coincidenza con un’antica concezione del sesso, sviluppatasi in un ambiente totalmente diverso, di carattere spiritualistico, ma che alla fine porta al medesimo risultato. Mi riferisco alla concezione del sesso in Origene, uomo virtuoso ma troppo rigorista e diremmo oggi “sessuofobo”, il quale faceva risalire l’origine della sessualità non al piano del creatore ma al peccato originale, che egli considerava un peccato di sesso, perché per lui le anime preesistevano, come pensava Platone, ai corpi e furono infuse da Dio nei corpi, quindi nel sesso, solo in punizione del peccato. Da qui l’impensabilità di una resurrezione del sesso e l’idea dell’uomo risorto come puro spirito asessuato, alla maniera di Platone.
E’ proprio il caso di dire che gli estremi si toccano: l’estremo spiritualismo col materialismo, il rigorismo con l’edonismo. Certo fra Origene e Freud, vogliamo preferire il primo, se non altro perché Origene era cristiano ed è stato un grande maestro spirituale e di vita monastica, ma se vogliamo concepire un umanesimo autentico, conforme alla Scrittura, al Magistero della Chiesa e a una sana antropologia, come quella dell’“animale ragionevole”, propria di Aristotele e S.Tommaso, bisogna che comprendiamo fondatamente la vera realtà della dualità uomo-donna senza divagare in assurde alternative, ma gustando la bellezza dell’amore e dell’unione che scaturisce da questa dualità.
Naturalmente ciò non esclude ma comporta un atteggiamento di rispetto nei confronti di quegli individui che in questo campo hanno dei problemi, e qui il lettore capisce a chi mi riferisco, ma si deve sempre conservare la distinzione tra quella che è la sessualità normale e virtuosa e le varie disfunzioni sessuali o quelli che sono i peccati nel campo del sesso. Questo non per creare ingiuste discriminazioni, ma proprio per adottare con noi stessi e con ciascuno il giusto comportamento, ricordando che il famoso detto di Paolo, secondo cui nel Regno di Dio “non c’è uomo e donna” (Gal 3,28) non vuol dire, come pensava un mio amico esegeta di tendenza evidentemente origenista, che in paradiso non c’è più il sesso, ma semplicemente che lassù la donna non sarà più discriminata come è avvenuto ab immemorabili ed oggi questa ingiustizia è in via di sparizione, ma a patto che ciò avvenga nel rispetto della naturale differenza ed unione dell’uomo e della donna, giacchè “maschio e femmina li creò” per esser “una sola carne” su questa terra e per l’eternità.

Liberta` e Persona

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