mercoledì 4 aprile 2012

Mons. Moraglia, il nuovo patriarca di Venezia che promette già bene


di Stefano Fontana







Un grande inizio quello del nuovo Patriarca di Venezia mons. Francesco Moraglia, già vescovo di La Spezia, che domenica scorsa 25 marzo si è insediato come quarantottesimo successore di San Lorenzo Giustiniani. La sua omelia in San Marco merita una attenzione particolare e promette molto di buono. La notizia è importante visto il peso specifico di quella sede vescovile dentro il governo della Chiesa cattolica.

L'appello alla comunione con il Papa, la necessità di ricentrarsi sulla fede e sull'annuncio, l'insistenza sulla tensione missionaria, la denuncia dei goffi tentativi dei teologi di voler guidare la Chiesa, l'annuncio del realismo cristiano che parte da Cristo e non dall'uomo ed infine l'invito non ad un generico dialogo ma ad una "testimonianza dialogica" dicono già molto di positivo della linea indicata alle chiese del Nordest dal nuovo Patriarca, e non solo alle chiese del Nordest. Dicevo della comunione con il Papa. Il Patriarca è stato molto chiaro in proposito: rifacendosi a San Cipriano egli ha detto che Il vescovo “nel nome di Cristo, guida la comunità ecclesiale”, egli vive in comunione con gli altri vescovi “ma alla fine è la comunione col Vescovo di Roma a garantire la stessa collegialità episcopale”. In un momento in cui ci sono cardinali che si discostano dall'insegnamento di Benedetto XVI e vasti ambiti delle chiese dell'Europa centrale premono per una chiesa più sinodale ed elettiva si tratta di una affermazione di una certa importanza.

Ma la parte più interessante dell'omelia è stato quando il Patriarca ha parlato del prossimo convegno delle Venezie Aquileia2 che si terrà dal 13 al 15 aprile prossimi. Nel 1992 l'allora Patriarca Cè aveva voluto Aquileia1 che però di frutti non ne ha poi prodotti tanti se ora i dati dell'Osservatorio socio-religioso Triveneto segnala una crescente secolarizzazione in queste terre. Aquileia2 ha avuto una preparazione di due anni, ma sembra essere stata presa in mano dai pastoralisti e dalla Facoltà teologica del Triveneto ed anche all'interno dell'episcopato non tutti sono d'accordo con l'impostazione data. La Chiesa deve imparare dal mondo, deve darsi una struttura sinodale consultiva periodica, deve rigenerarsi dal basso, bisogna far parlare i laici e le donne, occorrono gesti profetici per il bene comune... queste alcune delle linee emerse nella fase preparatoria ad Aquileia2, con le quali, però, il nuovo Patriarca sembra aver tagliato corto. “L'impegno comune - ha detto - è di ricentrare la vita delle nostre Chiese avendo di mira l'annuncio di Cristo” . “La nuova evangelizzazione - ha proseguito - per essere veramente tale - suppone che la comunità evangelizzante sia, prima di tutto, rigenerata nel proprio rapporto vitale con Cristo; ogni cammino d'evangelizzazione ha inizio non con l'elaborazione di piani pastorali o progetti accademici delle facoltà teologiche, e neppure attraverso un'auspicabile copertura del territorio da parte dei media.

Certo questi strumenti, per quanto di loro competenza, concorrono all'opera evangelizzatrice in modo eccellente, ma non costituiscono ancora il fondamento dell'evangelizzazione”. Questa segnalazione del pericolo di confondere lo strumentale con l'essenziale è tornato in una successiva notevole sottolineatura: “Sono infatti i discepoli, intesi personalmente e comunitariamente, che vengono prima degli uffici pastorali, prima delle facoltà teologiche, prima della rete mediatica; solo in un secondo momento tali strumenti diventano preziosi... Prima di tutto, però, viene la comunità testimoniante che in nessun modo può essere surrogata o data per presupposta”. Il messaggio è molto chiaro: non sarà con le indagini sociologiche o inseguendo i nuovi costumi sociali, non sarà con le spesso cervellotiche elaborazioni degli esperti che le comunità cristiane riprenderanno in mano l'evangelizzazione delle Venezie. Soffermandosi poi sul brano evangelico dei discepoli di Emmaus, il Patriarca ha ricordato la loro pretesa di spiegare a Gesù, che non avevano riconosciuto tale, gli avvenimenti dei giorni precedenti.

Tagliente l'osservazione di Mons. Moraglia: “Pare di intravedere, in questo goffo tentativo, l'immagine di certa teologia, più volenterosa che illuminata, tutta dedita all'ardua e improbabile impresa di salvare, attraverso le proprie categorie, Gesù Cristo e la sua Parola. Ma in questa immagine siamo rappresentati anche noi ogni qual volta, con i nostri piani pastorali, con i nostri progetti, convegni e dibattiti, avulsi da una vera fede, pretendiamo di spiegare a Gesù Cristo chi Egli è. Quando la fede viene meno, o non è più in grado di sostenere e fecondare la vita dei discepoli, allora ogni discorso teologico, ogni piano pastorale o copertura mediatica appaiono insufficienti. E noi ci troviamo nella stessa condizione dei due discepoli di Emmaus, incapaci d'andar oltre le loro logiche, i loro stati d'animo, scoprendosi prigionieri delle loro paure. Teniamo conto di tutto ciò alla vigilia di Aquileia2 e dell'incipiente anno della fede”. In vista di Aquileia2 di riunioni di commissioni e di convegni ne sono stati fatti tanti. La convegnistica sta in certi casi surrogando la mancanza di fede e nelle diocesi i ragionamenti umani e una ingenua pastorale dell'accoglienza delle situazioni di fatto sta facendo perdere di vista la centralità di Cristo.

Le conclusioni dell'omelia del Patriarca hanno poi presentato il "realismo cristiano" che “partendo da Gesù Cristo ritorna a Gesù Cristo dopo aver incontrato ed attraversato, in tutto il suo spessore e diversi gradi, la creaturalità dell'uomo”. Non si parte dalla centralità del'uomo, come spesso si sente dire dopo la "svolta antropologica", ma dalla centralità di Dio. La Chiesa deve “crescere nella consapevolezza della fede per educarsi e porsi, senza arroganza ma anche senza timori o complessi d'inferiorità, in una testimonianza dialogica con le culture dominanti”. Anche questa espressione della "testimonianza dialogica" è ricca di significato. Il dialogo nel postconcilio ha spesso sostituito l'annuncio, mentre il magistero ha sempre sostenuto che nel dialogo deve essere sempre presente l'annuncio. Il Patriarca Moraglia sembra essere anche lui di questo avviso: nella testimonianza dialogica il sostantivo è la testimonianza e il dialogo è il suo strumento e non il suo fine. Promette bene questo nuovo Patriarca e bisognerà seguirlo con attenzione.


L'Occidentale

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