di Madre Cécile J. Bruyère O.S.B
La lode ufficiale e sociale che la Chiesa militante rende a Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo, cioè l’insieme di formule, cerimonie e canti che fanno da accompagnamento necessario al sacrificio eterno, costituisce certamente la parte più alta del culto divino, che è essenzialmente tributo di adorazione, di ringraziamento, di lode e di impetrazione.
Nonostante l’avvolgesse di simboli, la Legge antica non ignorava l’importanza della preghiera liturgica, le cui parole sono state per la maggior parte ispirate da Dio e le cui formulazioni generiche sono state fissate dalla Chiesa; sarebbe quasi impossibile notare tutti i passi della Scrittura nei quali lo Spirito Santo rivendica su di essa i propri diritti divini.
Mosè fa dipendere le benedizioni del cielo dalla fedeltà del popolo di Israele non solo ai comandamenti di Dio ma anche ai minimi particolari del culto: “Osserva i precetti del tuo Dio, le prescrizioni e le cerimonie che ti ha date”. Il libro dell’Ecclesiastico, quando loda qualche personaggio, rivela come suo merito precipuo la sollecitudine dimostrata verso il culto del vero Dio.
E anche Ester, quando cerca di commuovere la misericordia divina, fa valere questo argomento decisivo: “Essi vogliono smentire le tue promesse, vogliono distruggere la tua eredità, chiudere le bocche che lodano il tuo nome, mandare in rovina la gloria del tuo tempio e del tuo altare”.
Nostro Signore stesso, durante tutta la sua vita mortale, ha riaffermato con l’esempio l’importanza della preghiera pubblica e sociale. Le sue frequenti visite a Gerusalemme non avevano altro scopo; l’esattezza con la quale adempiva alle prescrizioni della legge mosaica fin nei minimi particolari indica chiaramente quale posto la preghiera della Chiesa debba occupare nei nostri pensieri e nelle nostre azioni.
I primi cristiani, a loro volta, hanno ampiamente dimostrato che Nostro Signore non era venuto ad abolire i riti della Sinagoga ma a realizzare ciò che in essi era in figura, e a procurare al Padre suo adoratori in spirito e in verità.
Le lettere e gli Atti degli Apostoli indicano come i primi cristiani praticassero e stimassero la preghiera comunitaria. Successivamente i Padri ci hanno tramandato nei loro scritti, assieme al ricordo dell’importanza attribuita dalle anime fedeli alla preghiera comunitaria, le forme che essa ha successivamente assunto; la santa Chiesa, obbligando i chierici alla recita dell’Ufficio divino, dimostra a sufficienza l’intenzione dello Spirito Santo che la regge e la anima incessantemente.
Il Vangelo però, riferendo certi atteggiamenti severi di Nostro Signore nei confronti dei giudei, ci fa capire fino a qual punto Dio abbia a cuore la purezza di questo omaggio ufficiale che egli si attende dalle sue creature. Il Salvatore, riprendendo un’espressione del profeta Isaia, dice: “Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me. È vano il culto che mi rendono, insegnando dottrine che sono precetti umani”.
Sulle labbra del divino Maestro questo rimprovero assume un accento di particolare gravità; esso è rivolto alle anime affette di fariseismo, a quelle anime che fanno consistere tutto in un culto puramente esteriore e che con molta ostentazione donano a Dio solo la minima parte dell’uomo.
[Madre Cécile J. Bruyère O.S.B., La vita spirituale e l’orazione secondo la Sacra Scrittura e la tradizione monastica, trad. it., Laboratorio della Fede, Eremo della Beata Vergine del Soccorso di Minucciano (Lucca) 2012, pp. 97-98]
tratto da Romualdica 17 Aprile 2012
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