sabato 28 aprile 2012

L’INTERVENTO DEL PAPA SULL'USO DI ''PER MOLTI'' INVECE CHE ''PER TUTTI'' DURANTE LA CONSACRAZIONE CHIUDE UNA DISPUTA SOTTERRANEA CHE HA DIVISO I VESCOVI






di Gianni Valente

 Una volta tanto, Benedetto XVI ha voluto parlare in tedesco affinché il messaggio arrivasse chiaro e distinto a tutti, italiani compresi. La lettera firmata il 14 aprile scorso per i vescovi suoi connazionali affronta in maniera articolata la vicenda delle formule post-conciliari di consacrazione del vino durante le celebrazioni eucaristiche. Un intervento deciso per ribadire le indicazioni già espresse in merito dalla Sede Apostolica all’inizio del Pontificato ratzingeriano, che finora avevano trovato scarsa ricezione da parte di episcopati, come quello italiano, solitamente solleciti nell’allinearsi ai suggerimenti pastorali e liturgici , inviati da Oltretevere.

Al centro della questione c’è la formula usata durante la preghiera eucaristica per consacrare il vino, così che diventi il sangue di Cristo. Il Rito Romano in latino, rifacendosi al racconto d’istituzione dell’Eucaristia riportato nell’originale in greco dei Vangeli sinottici, ha usato fin dai primi secoli le parole lì attribuite a Cristo stesso per dire che il suo sangue era stato versato "per molti" ("pro multis", corrispondente al greco pollòn). Nelle versioni in lingua corrente del Messale latino predisposte dopo il Concilio, il "pro multis" è stato tradotto con l’espressione "per tutti".

Fino a quando, nel 2006, la Congregazione per il Culto Divino, con una lettera firmata dall’allora cardinale prefetto Francis Arinze, ha tentato di revocare tale slittamento lessicale, dando disposizione a tutte le Conferenze Episcopali nazionali di ripristinare nelle nuove edizioni dei Messali in via di revisione una traduzione della formula di consacrazione che fosse corrispondente alle parole latine "pro multis".

Da allora, in molti casi, l’adeguamento richiesto dalla Santa Sede è proceduto lento pede e in ordine sparso, man mano che venivano approvate le nuove versioni del Messale Romano nelle diverse lingue correnti. La più lesta è stata la Chiesa che è in Ungheria, dove la correzione richiesta nella formula di consacrazione del calice è entrata in vigore già dalla Pentecoste del 2009. A seguire, sono arrivate alcune Chiese latinoamericane (Cile, Argentina, Paraguay, Uruguay, Bolivia), dopo l’approvazione della versione castigliana del Messale Romano da esse predisposta. In Argentina il passaggio dal "por todos" al "por muchos" è avvenuto la prima domenica di Quaresima 2010, mentre in Cile era già stato realizzato nella prima domenica d’Avvento 2009. Nelle Chiese anglofone, l’approvazione vaticana della versione inglese del Messale Romano, dopo un percorso lungo e travagliato, è avvenuta soltanto un anno fa, e il nuovo Messale con "for many" al posto di "for all" è entrato in uso solo nell’Avvento del 2011.

Il caso italiano fa storia a sé. La questione del "pro multis" è stata messa ai voti durante l'Assemblea plenaria della Conferenza Episcopale tenuta ad Assisi nel novembre del 2010. E secondo i dati filtrati anche sul sito curato dal vaticanista Sandro Magister, su 187 votanti ci sono stati 171 voti a favore del mantenimento del "per tutti". Una riluttanza al cambiamento richiesto che in precedenza si era già manifestata al livello delle Conferenze Episcopali regionali. Differenti sensibilità sull’argomento si sono manifestate in tempi recenti anche nel Collegio cardinalizio.

Uno dei supporter storici dell’adeguamento dei Messali nazionali al "pro multis" latino è il cardinale singalese Malcolm Ranijth Patabendige Don. L’attuale arcivescovo di Colombo sosteneva con decisione la prospettiva del ritorno al "per molti" già negli anni in cui era a Roma in qualità di segretario della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti. Secondo il porporato, il ritorno alla formula del "per molti" al posto del "per tutti" rappresenta anche un richiamo opportuno "alla serietà della vocazione cristiana", in una situazione in cui a suo giudizio "è molto presente un ottimismo esagerato nella salvezza che fa giungere al Paradiso tutti quanti senza richiedere il dono della fede e lo sforzo della conversione".

Invece il cardinale gesuita, Albert Vanhoye in un’intervista rilasciata a 30Giorni della primavera del 2010, ha espresso una posizione più articolata. Secondo l’insigne biblista, la traduzione del "pro multis" in "per tutti" adottata da molte Chiese nel post-Concilio poggiava su ragioni esegetiche per nulla irrilevanti. Partendo dal fatto che Gesù parlava in aramaico, e non in greco o in latino. "In italiano - notava in quell’intervista il rettore emerito del Pontificio Istituto biblico - molti si contrappone implicitamente a tutti. Se si dice che molti alunni sono stati promossi all’esame, vuol dire che non tutti sono stati promossi. Invece in ebraico non c’è questa connotazione dialettica. La parola 'rabim' significa soltanto che c’è un grande numero. Senza specificare se questo grande numero corrisponde o non corrisponde a tutti". Secondo Vanhoye "è chiaro che l’intenzione di Gesù nell’Ultima Cena non è stata rivolta a un certo gruppo determinato, anche se numeroso, di individui. La sua intenzione è stata universale. Gesù vuole la salvezza di tutti".

In realtà, l’indicazione di tornare a traduzioni più letterali del "pro multis" usato dalla edizione in latino del Messale romano, in accordo, su questo punto, con la gran parte delle anafore in uso preso le Chiese d’Oriente, non può essere liquidata come letteralismo o fissismo liturgico. E non intende di per sé ridurre la portata universale delle promesse di Cristo. Già la lettera firmata nel 2006 dal card. Arinze respingeva categoricamente le insinuazioni di quanti negli ultimi anni hanno perfino sollevato dubbi sulla validità delle Messe celebrate usando la formula "per tutti". Secondo quanto scritto dal cardinale nigeriano, l’espressione "per molti" è da preferirsi perché "mentre rimane aperta ad includere ogni singola persona umana, rispecchia anche il fatto che questa salvezza non è compiuta quasi in maniera meccanica, senza il proprio volere o partecipazione".

È questo il nucleo teologico e pastorale che ha spinto Benedetto XVI a un intervento diretto, rivolto ai vescovi tedeschi, ma non solo a loro, per vincere le perduranti ritrosie al passaggio dal "per tutti" al "per molti". Nella sua lettera, il Papa ha elencato egli stesso le obiezioni al cambiamento richiesto ("Cristo non è morto per tutti? La Chiesa ha cambiato il suo insegnamento? E' capace di farlo e può farlo? Si tratta di una reazione che vuole distruggere l'eredità del Concilio?") negando per esse ogni fondamento. A Papa Ratzinger, da sempre, sta a cuore soprattutto suggerire la gratuità della salvezza portata da Gesù. Fin da quando era giovane teologo, ha sempre diffidato delle formule teologiche che interpretano la storia della salvezza in chiave determinista, come un meccanismo obbligante a cui tutti sono sottomessi, che lo vogliano o meno. Anche da prefetto dell’ex Sant’Uffizio ha manifestato la sua costante allergia per le teologie secondo cui la grazia è data “a priori” a tutti gli uomini.

Un apriorismo che secondo lui sfigura la dinamica gratuita e storica della redenzione operata da Cristo, toglie tutto il gusto dell’avventura cristiana e contiene il rischio di un imperialismo religioso ed etico nei confronti dei non cristiani. Per questo, già molto prima di diventare Papa, lui sottolineava l’urgenza di cogliere nella formula di consacrazione l’intenzione autentica di Cristo. Come ha scritto in un suo saggio del 2001, "se c’è l’una o l’altra formula ['per tutti” o “per molti'], in ogni caso dobbiamo ascoltare la totalità del messaggio: che il Signore ama davvero tutti ed è morto per tutti. E l’altra cosa: che egli non spinge in disparte la nostra libertà in una magia divertita, bensì ci lascia dire sì nella sua grande misericordia".


Vatican Insider  28 aprile 2012


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