"E' così potente la gloria di Dio, che soltanto dietro a un velo le creature possono sostenere la Sua presenza"
di Michael R. Carey
A volte mi sento fare questa domanda: "Lei è docente di Teologia morale. Cosa ha a che fare la moralità con l'architettura sacra?". Una risposta a questa domanda è considerare quanto profondamente la persona umana è coinvolta nella liturgia. Se prendiamo la teologia morale nel suo senso classico, allora vediamo che essa abbraccia l'intera gamma dell'attività umana, dalle sue inclinazioni più primitive alle esperienze più elevate della grazia di Dio in noi. Comprende non soltanto la coscienza umana, ma anche le virtù e i doni dello Spirito Santo, che la Tradizione ci insegna essere sapienza, scienza, intelletto, consiglio, fortezza, pietà e timor di Dio. In questo elenco, io credo che il timore - il timore di Dio - svolga un ruolo speciale in rapporto alla liturgia, e in modo specifico all'architettura liturgica.
Alla luce delle nostre attuali sensibilità, è sensato chiederci se il timor di Dio sia un atteggiamento appropriato per la liturgia. In un suo sermone, il Beato Cardinale John Henry Newman, si poneva la stessa questione. Si domandava: "i sentimenti di timore e tremore sono o no sentimenti cristiani? .. Io risponderò in un modo che credo nessuno potrà ragionevolmente obiettare. Essi appartengono alla classe di sentimenti che dobbiamo avere - e avere a un livello intenso - se letteralmente vedessimo Dio Onnipotente; sono perciò la classe di sentimenti che dobbiamo avere se ci rendiamo conto della Sua presenza. Nella misura in cui crediamo che Egli è presente, noi li avremo. Non averli significa non rendersi conto, non credere che Egli è presente".
Perché il dono del timore agisca in noi, abbiamo bisogno del senso dello stare alla presenza di Dio, il senso del sacro. Spetta precisamente all'architettura liturgica aiutare a suscitare questo senso. La via onorata nei secoli per indicare la presenza del sacro è quello che io chiamerei "il velo sui misteri di Dio". Nella tradizione ebraica, si usavano i veli sia per il Santuario del deserto che per il Tempio di Gerusalemme. Nell'era cristiana, si è fatto uso dei veli in diversi modi: ha preso la forma di veli di stoffa da porre intorno all'altare e al tabernacolo, ma in altri periodi della storia dell'architettura, la velazione si effettuava con una iconostasi (parete divisoria tra la navata e il presbiterio), o un tramezzo, come la balaustra per la comunione.
I veli angelici
L'istinto di nascondere il sacro o di nascondersi da esso ha profonde radici nella Sacra Scrittura. Il profeta Isaia, ad esempio, parla di una visione che gli fu concessa un giorno in cui si trovava nel tempio. Qui egli vide "il Signore seduto su un trono alto ed elevato; i lembi del suo manto riempivano il tempio" (Is. 6,1). Isaia poi disse, "Ohimè! Io sono perduto .. eppure i miei occhi hanno visto il re, il Signore degli eserciti" (Is. 6,5). Il profeta osservò anche il portamento degli angeli servitori, i serafini. Questi esseri celesti sono un coro di fieri angeli che stanno costantemente alla presenza di Dio, alla sua gloria, e acclamano la sua santità. Sono loro che esclamano: "Santo, santo, santo il Signore degli eserciti! Tutta la terra è piena della sua gloria" (Is. 6,3), parole che abbiamo adattato e che usiamo nel Sanctus della Messa.
Quando Isaia vide i serafini, notò che erano velati. Avevano sei ali, "con due si coprivano la faccia, con due si coprivano i piedi e con due volavano" (Is. 6,2). Per il fatto che il profeta ebbe la visione dei serafini che servono all'altare dell'Onnipotente, deduciamo che essi non si erano velati solo per Isaia, ma perché stanno alla presenza di Dio. I serafini velati assicurano Isaia che aveva ben ragione a temere di guardare Dio senza la protezione di un velo. E' così potente la gloria di Dio, che soltanto dietro a un velo le creature possono sostenere la Sua presenza.
Il velo di Mosè
Se i serafini hanno il privilegio di stare abitualmente alla presenza di Dio, non così gli uomini. Quando Dio manifesta la sua Presenza sulla terra, è un evento così straordinario da essere ricordato per sempre. Un giorno Dio manifestò la sua Presenza a Mosè in forma di "fiamma di fuoco dal mezzo di un roveto" (Es. 3,2). Mosè ne fu attirato e si avvicinò al roveto ardente. Ma Dio gli disse: "Non avvicinarti oltre!... Perché il luogo sul quale tu stai è suolo santo!" (Es. 3,5). Notiamo subito che la Presenza di Dio rende un luogo particolarmente santo, e che tale luogo è ben distinto dagli altri.
Inoltre ci viene detto che "Mosè si coprì il volto, perché aveva paura di guardare verso Dio" (Es. 3,6). Non sappiamo se Mosè lo fece con le mani o con il suo mantello o con altro. In qualche modo, Mosè si creò un velo che lo riparava dalla Presenza Divina.
Tuttavia, Mosè apparentemente non fu soddisfatto da questo incontro velato con Dio e perciò chiese di vedere il Suo volto. Ma Dio gli rispose: "Tu non potrai vedere il mio volto, perché nessun uomo può vedermi e restare vivo" (Es. 33, 20). Dio aggiunse come concessione alla richiesta di Mosè: "Ecco un luogo vicino a me. Tu starai sopra la rupe: quando passerà la mia gloria, io ti porrò nella cavità della rupe e ti coprirò con la mano, finché non sarò passato. Poi toglierò la mano e vedrai le mie spalle, ma il mio volto non si può vedere" (Es. 33,21-23). Qui il Signore mise la propria mano davanti agli occhi di Mosè perché non vedesse il suo volto glorioso.
Le ripetute richieste di Mosè di vedere il volto di Dio spiegano molto bene la disciplina della velazione. Mosè ci dimostra che gli esseri umani hanno un desiderio innato non soltanto di stare alla presenza di Dio, ma anche di vederne il volto, cioè il suo Essere, quella che noi chiamiamo 'visione beatifica'. Un desiderio che non sarà mai completamente realizzato in questa vita. Il velarsi è quel meccanismo che permette al nostro desiderio di compiersi almeno parzialmente.
In occasioni estremamente rare e per intervento di una grazia eccezionale, Dio ha concesso agli esseri umani di vedere la sua gloria. Pietro, Giacomo e Giovanni ebbero questo privilegio durante la Trasfigurazione di Nostro Signore sul monte Tabor, e al tempo del Vecchio Testamento, questa grazia fu data ad Elia, e soprattutto a Mosè.
Dio concesse a Mosè il dono straordinario di vedere il Suo volto in questa vita quando salì sul monte Sinai per ricevere i 10 comandamenti. Fu così grande la gloria di Dio che si impresse sul viso di Mosè. Scendendo dal monte santo, Mosè non si coprì la faccia, ma riverberava a tal punto la gloria del Signore, che il popolo aveva paura di avvicinarsi a lui. Malgrado ciò, Mosè disse loro di avvicinarsi in modo da ascoltare quanto aveva da proclamare. Sembra che egli volutamente avesse voluto restare non velato per consegnare i 10 comandamenti, affinché il popolo vedesse la gloria di Dio riflessa sul suo viso e capisse così che egli parlava con la medesima autorità di Dio. Ma appena Mosè finì di parlare, "si pose un velo sul viso" (Es. 34,33). A questo punto, il velo non era per proteggere Mosè, ma il popolo dall'ardente splendore della gloria divina. Mosè sapeva che la gloria di Dio, pur semplicemente riflessa sul viso di una creatura, è così santa e potente che deve essere velata.
Il velo della Tenda
Dopo che Mosè attuò l'incontro con Dio sul monte Sinai, gli ebrei vagarono nel deserto per 40 anni. Per tutto quel tempo, si costruirono una tenda mobile contenente l'arca dell'alleanza che costituiva il luogo della dimora di Dio con il suo popolo. La tenda fu costruita secondo le direttive date da Dio stesso, compresi diversi generi di veli per coprirsi dalla Sua presenza onnipotente. Il velo più importante era quello che avvolgeva l'arca dell'alleanza all'interno della tenda. Era una cortina "di porpora viola e di porpora rossa, di scarlatto e di bisso ritorto" (Es. 36,37) con figure disegnate di cherubini, gli angeli che sono i guardiani della presenza di Dio.
Dopo che i due figli di Aronne morirono per essere entrati illegittimamente nel santuario, furono introdotte delle restrizioni per non oltrepassare la cortina che dava sul Santo dei Santi. Di quello strano incidente, sappiamo solo che i figli di Aronne "presentarono davanti al Signore un fuoco illegittimo, che il Signore non aveva loro ordinato" (Lev. 10,1). La conseguenza immediata fu che "un fuoco uscì dalla presenza del Signore e li divorò e morirono così davanti al Signore". Come spiegazione, il Signore disse ad Aronne: "In coloro che mi stanno vicino mi mostrerò santo e alla presenza di tutto il popolo sarò glorificato" (Lev. 10,3). Dopo quelle morti, il Signore ordinò a Mosè di dire ad Aronne: "non entri in qualunque tempo nel santuario oltre il velo... affinché non muoia..." (Lev. 16,1). Nessuno quindi poteva oltrepassare il velo, nemmeno i sacerdoti. Soltanto il sommo sacerdote, una volta all'anno e dopo uno speciale rito di purificazione, poteva entrarvi per le cerimonie di espiazione dello Yom Kippur. La santità del santuario era quasi del tutto impenetrabile, solo Dio vi poteva dimorare.
Il tempio di Gerusalemme
Con il tempo, gli ebrei rinunciarono alla tenda mobile in favore di un tempio permanente a Gerusalemme. Progettato dapprima dal re Davide e poi costruito dal figlio Salomone, il disegno del tempio era molto simile alla Tenda del convegno. Iniziato verso il 957 a.C., progetto, dimensioni e materiali del tempio sono elencati nel Primo Libro dei Re e nel Secondo Libro delle Cronache. Il primo resoconto parla della porta del sacrario che era costruita "con battenti di legno d'ulivo" (1 Re 6,31), indicando che vi era una parete. Il secondo racconto invece dice che vi era "un velo di stoffa di violetto, di porpora, di cremisi e di bisso; sopra vi erano ricamati cherubini" (2 Cron. 3,14). Probabilmente, venivano usati entrambi, come indica un affresco trovato a Dura Europos. In ogni caso, venivano usati sia un velo di stoffa che una struttura più corposa - una parete - o ambedue. Il tempio fu distrutto al tempo dell'esilio babilonese, ricostruito sotto la direzione di Zorobabele, e completato verso il 515 a.C. Gran parte dell'opera fu merito del sommo sacerdote Simone, del quale è scritto che era "glorioso... quando usciva dal santuario dietro il velo" (Sir. 50,5) - letteralmente, "la casa del velo". Infine, un secondo tempio molto più grandioso fu iniziato dal re Erode nel 20 a.C. Sebbene l'arca dell'alleanza fosse già perduta da gran tempo, anche in questo tempio fu collocata una cortina per delimitare il Santo dei Santi.
Il velo nel Nuovo Testamento
Il Nuovo Testamento fa alcuni importanti riferimenti al velo del tempio. Nel Vangelo, ad esempio, leggiamo che alla morte di Cristo "il velo del tempio si squarciò in due, da cima a fondo" (Mt. 27,51). Come è da intendere questa frase? Ce lo spiega la Lettera agli Ebrei: "Fratelli, poiché abbiamo piena libertà di entrare nel santuario per mezzo del sangue di Gesù, via nuova e vivente che egli ha inaugurato per noi attraverso il velo, cioè la sua carne, e poiché abbiamo un sacerdote grande nella casa di Dio, accostiamoci con cuore sincero..." (Eb. 10,19-22).
Queste parole dimostrano che il Nuovo Testamento usa talvolta il velo come metafora. Qui sta per "il sangue di Gesù" e "la sua carne", cioè l'umanità di Cristo. Poiché egli è il "sommo sacerdote" che liberamente entra nel santuario, noi pure possiamo entrarvi "per Cristo, con Cristo ed in Cristo". E' del tutto appropriato quindi che i santuari cristiani abbiano spesso una barriera di demarcazione che possa servire anche da balaustra per ricevere il Corpo e il Sangue di Cristo. Un progetto di chiesa che elimini una struttura velante attorno al santuario ha perciò importanti ramificazioni teologiche. Se il santuario è quel luogo sacro che contiene in modo speciale la reale presenza del Signore sull'altare e nel tabernacolo, e se il velo o la struttura velante attorno al sacrario rappresenta l'umanità di Cristo, come ci insegna la Lettera agli Ebrei; e se inoltre possiamo accedere alla presenza di Dio solo attraverso l'umanità di Cristo, allora la struttura velante è teologicamente necessaria.
Se il velo del tempio si squarciò al momento della morte di Cristo, ciò non significa certo che il cristianesimo abbia eliminato la velazione. Significa piuttosto che il velo del tempio, simbolo della nostra alienazione da Dio, è stato sostituito dal velo dell'umanità di Cristo, divenuta mediazione della nostra riconciliazione con Lui. Una struttura velante continua quindi ad essere della massima importanza per una corretta spiritualità liturgica. Rimuoverla significherebbe eliminare simbolicamente la necessità dell'umanità di Cristo, come se potessimo entrare alla presenza della divinità senza di essa.
Veli d'altare e veli del presbiterio
Nei primi secoli dopo Cristo, ai cristiani non era concesso di rendere culto pubblicamente. Si riunivano quindi nelle case, tanto che alcune di esse venivano usate solo per fini liturgici, così che queste chiese-case manifestavano già elementi di architettura sacra. C'è a Roma una chiesa, ad esempio, dedicata a San Giovanni e San Paolo, i due apostoli martiri nominati nel Canone Romano della Messa, al di sotto della quale si trovano i resti di un'antica chiesa cristiana che era originariamente una villa romana. Consisteva di due piani ed era elegantemente decorata con affreschi. Gli archeologi hanno trovato che sopra alla sala degli affreschi vi è una piccola stanza che mostra, all'interno di cornici tratteggiate da righe rosse, una serie di dipinti che sembrano di ispirazione cristiana. Tra questi, l'immagine di un uomo con le mani alzate in preghiera, che sta dinanzi a cortine sollevate ad indicare l'ingresso delle anime in paradiso.
Anche durante gli anni in cui i cristiani erano ferocemente perseguitati e i loro luoghi di culto non erano che sommari adattamenti di abitazioni comuni, ponevano sempre grande attenzione alla velazione per delimitare lo spazio sacro. L'ingresso nel sacro santuario era simbolo dell'ingresso nel paradiso stesso.
Quando i cristiani poterono finalmente costruire liberamente le chiese, continuarono a usare i veli per separare i luoghi più sacri. E' significativo che, man mano che si sviluppavano la spiritualità liturgica e l'architettura, l'altare veniva sempre installato dietro a un velo o struttura velante, in contrasto con il tempio ebraico nel quale l'altare stava all'interno di un santuario chiuso e definito. I cristiani al contrario credono, pare fin dall'inizio, che ci sia la reale presenza di Dio sull'altare e che per questo vada velato.
Nelle prime chiese basilicali, l'altare veniva eretto sotto un ciborio, struttura di quattro colonne a sostegno di una tettoia. Esempio di un altare simile è quello donato dall'imperatore Costantino alla Basilica Laterana qualche anno prima del 337 d.C. Le colonne dell'altare portavano delle cortine in modo da velarlo completamente. Gli antichi testi liturgici spiegano che i veli dell'altare venivano calati al Prefazio della Messa per rialzarsi dopo che il sacerdote aveva ricevuto la Santa Comunione. Il dialogo del Prefazio avveniva perciò attraverso il velo dell'altare. La Preghiera Eucaristica veniva recitata ovviamente in silenzio, come era normale fino alle riforme del Concilio Vaticano II. Nella liturgia romana, la prassi di calare un velo attorno all'altare perdura fino al XVI secolo, come testimoniamo riferimenti precisi in messali del 1532 e del 1544. Quando l'altare non è costruito secondo lo stile ciboriale, è tradizionalmente collocato nell'abside della chiesa. La struttura velante è posta quindi all'ingresso del presbiterio o santuario. Le barriere o cancelli del presbiterio, che si trovano nelle chiese fin dall'inizio del IV secolo, erano di stoffa, legno o altro materiale.
Nei riti orientali il "cancellus" prese la forma di iconostasi, parete di icone che separa il presbiterio dalla navata. Nelle prime chiese greche, l'iconostasi era una semplice barriera, alta fino alla cintola o anche meno, che divideva l'altare dai fedeli. Talvolta erano colonne sulle quali venivano appesi quadri di santi. Le strutture vennero infine sempre più ornate di icone fino a giungere alla solida partizione che conosciamo oggi come iconostasi. I sacri misteri si celebrano sempre dietro alla iconostasi, nello spazio sacro creato da essa. Scrive Pavel Florensky: "In realtà, l'iconostasi è un confine tra il mondo visibile e quello invisibile, e funziona da confine per il fatto di costituire un ostacolo al nostro guardare l'altare, rendendolo accessibile alla nostra coscienza per mezzo di una rassegna unificata di santi (cioè, dalla nuvola dei testimoni) che circonda l'altare dove è Dio, l'ambito nel quale dimora la gloria celeste, proclamando così il Mistero. L'iconostasi è visione".
Nei riti occidentali, la struttura parallela all'iconostasi è il tramezzo, una parete mobile fatta di legno o metallo a demarcazione del presbiterio rispetto alla navata, con incisioni di santi e simboli, spesso sormontata da una croce. Questo elemento di architettura sacra è particolarmente utile per comprendere l'interazione tra la disciplina della velazione e il profondo desiderio dei fedeli di vedere la presenza di Dio negli elementi sacri della Messa. Eamon Duffy ci dice nel suo libro "La spogliazione degli altari", che i tramezzi erano traforati di piccoli "spioncini". Chi stava in ginocchio davanti al tramezzo poteva a fatica guardare attraverso di essi per dare un'occhiata furtiva dell'ostia e del calice elevati alla consacrazione. L'istinto religioso qui in atto sembra essere esattamente identico a quello che si trova nel racconto di Mosè e del roveto ardente. Nessuno poteva direttamente guardare la presenza divina e rimanere vivo. Nella Messa, la presenza divina restava velata sotto le apparenze del pane e del vino ed ulteriormente velata grazie al tramezzo di protezione. I fedeli, grazie a tali scudi liturgici e sacramentali, potevano allora osare di alzare lo sguardo all'ostia elevata e al calice, per adorare la sacra presenza ivi nascosta.
Gli storici di architettura ecclesiastica ci dicono che fino "al XV o XVI secolo i cancelli non erano che una barriera" e che soltanto "in seguito si trasformarono in balaustre da comunione". Come tali, i cancelli non persero il loro scopo originario, semplicemente ne guadagnarono un altro. Le balaustre per la comunione, forme differenti di cancelli, volutamente ed effettivamente separavano la navata della chiesa dallo spazio ancora più sacro del santuario (o presbiterio). Costituivano quindi un velo tra il più sacro e il meno sacro.
I veli e il Vaticano II
Tutti questi elementi di velazione dei misteri, radicati nella fede e nel culto ebraici, furono osservati dalla liturgia cattolica fino alle riforme del Vaticano II. La ragione della velazione è fondata nella "convinzione che il mistero che si attua sull'altare doveva essere nascosto agli occhi degli uomini". Dei veli attorno all'altare non ne abbiamo oggi quasi più traccia. Nell'architettura ecclesiastica contemporanea, non esiste più il velo protettivo tra l'assemblea e la sacra presenza di Dio. L'altare sta al centro dell'assemblea e i sacri misteri si celebrano sotto gli occhi di tutti. I misteri, invece di velarli, oggi li mettiamo in mostra.
Come dobbiamo interpretare l'abbandono di una tradizione tanto antica? L'abbandono pare che dipenda da certe ambiguità delle direttive liturgiche della Chiesa. Per esempio, la "Istruzione generale del Messale Romano" del 1970 dispone che "il presbiterio debba essere oltre che separato anche rialzato dalla navata mediante una struttura distinta e ben arredata". Per quanto la "struttura distinta" delle balaustre per la comunione sembrino rispondere molto bene alle direttive, esse sono state rimosse dalle vecchie chiese e uniformemente omesse nelle nuove. Il "rialzamento del presbiterio" si osserva forse secondo la lettera della norma vigente, ma non indica alcuna sorta di velazione, così come era intesa in tutta la tradizione liturgica giudeo-cristiana.
Il documento "Inter Oecumenici" del 1964 dice che "l'altare deve essere di preferenza fisso e separato dalla parete in modo da girarvi attorno e celebrare rivolti verso il popolo". Da notare che è solo una preferenza e che, anche se scelta, si potrebbe facilmente attuare mantenendo il santuario tradizionale. Eppure, ciò ha condotto il più delle volte a soluzioni diverse in cui il senso di santuario chiuso è gravemente diminuito.
Nessuna sorpresa, pertanto, che la "Terza Istruzione sulla corretta applicazione della Costituzione sulla Sacra Liturgia" (1970) riaffermi l'importanza del sacro, quando dichiara: "La riforma liturgica non è sinonimo della cosiddetta desacralizzazione e non deve essere occasione per quella che viene chiamata secolarizzazione del mondo. I riti liturgici devono conservare un carattere sacro e dignitoso". Il problema è che se i sacri misteri sono non velati, perdono il loro sacro carattere. La Tradizione ci insegna che "un mistero - il 'tremendum' - per essere mistero, ha bisogno di essere nascosto, in modo da acuire il nostro desiderio per la sua rivelazione".
Conclusione
L'architettura ecclesiastica contemporanea fa spesso progetti di santuario (o presbiterio) con una visibilità e accessibilità completamente contrari alla tradizione liturgica. Aver tolto il velo ai misteri nell'architettura liturgica post-conciliare è stata un'idea largamente fuorviante, anche se bene intenzionata. In pieno corso, avvertiamo che qualcosa di grande importanza è stato smarrito, e che deve essere ritrovato.
Per questa missione, siamo guidati proprio del documento liturgico 'Sacrosanctum Concilium' del Vaticano II. Qui leggiamo: "alcuni elementi della liturgia che per incidenti della storia andarono perduti, siano ristabiliti, secondo la tradizione dei Padri, nella misura che sembrerà opportuna o necessaria" (Sacrosanctum Concilium, n.50). Un articolo che qualche innovatore liturgico ha usato per eliminare le strutture onorate nei secoli di santuario e di sacro. Per ironia, noi potremmo usare quelle stesse parole per criticare le innovazioni iconoclastiche come "incidenti della storia". Ma - comunque le consideriamo - è tempo di ristabilirle.
Tra ciò che deve essere ristabilito, vi sono anche quegli elementi architetturali che rafforzano la sacra natura della liturgia. Per la tradizione giudeo-cristiana, Dio dimora su un suolo santo al quale non possiamo avvicinarci troppo o andarvi sfacciatamente. La tradizione ci ha insegnato anche che la maniera per delimitare questi sacri luoghi è mediante una sorta di velazione.
Sono questioni di importanza non superficiale. Sono tradizioni antiche che rivelano istinti religiosi profondamente radicati. Il nostro culto non riuscirà ad esprimere adeguatamente i misteri, fino a che non riprenderà ad osservare la velazione dei misteri. Staremo da impudenti, ma da pericolosamente ignoranti, dinanzi alla presenza accecante di Dio nella quale "nulla si sottrae al suo calore" (Sal. 19,7). Dovuto in parte all'insensibilità architettonica verso questi temi, è doveroso chiederci: siamo diventati così ciechi da non riconoscere più la presenza sacra di Dio, o così incoscienti da non temerla più?
fonte: Sacred Architecture, Journal of the Institute of Sacred Architecture, vol. 3/2000
http://www.sacredarchitecture.org/articles/veiling_the_mysteries/
trad. italiana a cura di d. Giorgio Rizzieri
Nessun commento:
Posta un commento