giovedì 5 aprile 2012

Benedetto XVI durante messa crismale cita l’appello firmato dai sacerdoti austriaci e invita a non «trasformare la Chiesa secondo i nostri desideri e le nostre idee»







di Andrea Tornielli

Nell’omelia che ha tenuto stamane in San Pietro, durante la messa crismale, Benedetto XVI ha citato esplicitamente l’appello dei preti dissenzienti austriaci, nel quale si chiedono riforme e si apre alla possibilità del sacerdozio femminile. Parlando della «conformazione a Cristo» del prete, e delle difficoltà a realizzarla «nella situazione spesso drammatica della Chiesa di oggi», il Papa ha detto: «Di recente, un gruppo di sacerdoti in un Paese europeo ha pubblicato un appello alla disobbedienza, portando al tempo stesso anche esempi concreti di come possa esprimersi questa disobbedienza, che dovrebbe ignorare addirittura decisioni definitive del magistero – ad esempio nella questione circa l’ordinazione delle donne, in merito alla quale il beato Papa Giovanni Paolo II ha dichiarato in maniera irrevocabile che la Chiesa, al riguardo, non ha avuto alcuna autorizzazione da parte del Signore».

 «La disobbedienza è una via per rinnovare la Chiesa?», si è chiesto Ratzinger. «Vogliamo credere agli autori di tale appello – ha aggiunto – quando affermano di essere mossi dalla sollecitudine per la Chiesa; di essere convinti che si debba affrontare la lentezza delle Istituzioni con mezzi drastici per aprire vie nuove – per riportare la Chiesa all’altezza dell’oggi. Ma la disobbedienza è veramente una via? Si può percepire in questo qualcosa della conformazione a Cristo, che è il presupposto di un vero rinnovamento, o non piuttosto soltanto la spinta disperata a fare qualcosa, a trasformare la Chiesa secondo i nostri desideri e le nostre idee?»

 Il riferimento del Pontefice è alla cosiddetta «Pfarrer-Initiative», un «appello alla disobbedienza» nel quale vengono richieste urgenti riforme nella Chiesa, sottoscritto da 329 parroci austriaci. I firmatari hanno coinvolto altri gruppi di base (come ad esempio «Noi siamo Chiesa»), che da anni avanzano richieste simili alla Santa Sede, e cioè l’abolizione dell’obbligo del celibato per i preti della Chiesa latina, la comunione ai divorziati risposati e il sacerdozio femminile. I dissenzienti hanno minacciato di voler procedere con le «messe» celebrate dai laici, nel caso non vengano accolte le loro richieste di ordinare preti uomini sposati e donne.

 Benedetto XVI, dopo aver citato l’appello, ha continuato osservando che in effetti Gesù «ha corretto le tradizioni umane che minacciavano di soffocare la parola e la volontà di Dio», per risvegliare «l’obbedienza alla vera volontà di Dio», contro l’arbitrio dell’uomo. E ha smentito che il richiamo all’obbedienza rappresenti una difesa dell’immobilismo, dell’irrigidimento e della tradizione. «No», ha spiegato il Papa, «chi guarda alla storia dell’epoca post-conciliare, può riconoscere la dinamica del vero rinnovamento, che ha spesso assunto forme inattese in movimenti pieni di vita e che rende quasi tangibili l’inesauribile vivacità della santa Chiesa».


«Resta chiaro – ha aggiunto – che la conformazione a Cristo è il presupposto e la base di ogni rinnovamento». Ratzinger ha quindi detto che se la figura di Gesù può apparire «a volte troppo elevata e troppo grande», ci sono state date «“traduzioni” in ordini di grandezza più accessibili e più vicini a noi». E ha citato la «grande schiera di sacerdoti santi», da «Policarpo di Smirne e Ignazio d’Antiochia attraverso i grandi pastori quali Ambrogio, Agostino e Gregorio Magno, fino a Ignazio di Loyola, Carlo Borromeo, Giovanni Maria Vianney, fino ai preti martiri del Novecento e, infine, fino a Papa Giovanni Paolo II che, nell’azione e nella sofferenza ci è stato di esempio nella conformazione a Cristo».

 Sono i santi, ha affermato Benedetto XVI, a indicarci «come funziona il rinnovamento e come possiamo metterci al suo servizio», spiegando che «Dio non guarda ai grandi numeri e ai successi esteriori, ma riporta le sue vittorie nell’umile segno del granello di senape».

Il Papa ha quindi ricordato che nel recente concistoro diversi cardinali «hanno parlato di un analfabetismo religioso che si diffonde in mezzo alla nostra società così intelligente. Gli elementi fondamentali della fede, che in passato ogni bambino conosceva, sono sempre meno noti. Ma per poter vivere e amare la nostra fede – ha aggiunto – per poter amare Dio e quindi diventare capaci di ascoltarLo in modo giusto, dobbiamo sapere che cosa Dio ci ha detto».

Un contenuto che si trova innanzitutto nella Sacra Scrittura. Ma per trasmetterlo in modo che «tocchi veramente il nostro cuore», c’è bisogno dell’aiuto della parola «della Chiesa docente». A questo proposito il Papa ha citato i testi del Concilio Vaticano II e il Catechismo della Chiesa cattolica, definendoli «strumenti essenziali», come pure i documenti di Giovanni Paolo II, «tesoro che è ancora lontano dall’essere sfruttato fino in fondo».

 Infine, Benedetto XVI ha ricordato, portando l’esempio del Curato d’Ars, l’importanza per i preti dello «zelo per le anime»: espressione «fuori moda» e in alcuni ambienti «considerata addirittura una parola proibita, perché – si dice – esprimerebbe un dualismo tra corpo e anima, dividendo a torto l’uomo». Il Papa ha detto che «naturalmente, come sacerdoti ci preoccupiamo dell’uomo intero, proprio anche delle sue necessità fisiche – degli affamati, dei malati, dei senza-tetto», tuttavia «non ci preoccupiamo soltanto del corpo, ma proprio anche delle necessità dell’anima dell’uomo: delle persone che soffrono per la violazione del diritto o per un amore distrutto; delle persone che si trovano nel buio circa la verità; che soffrono per l’assenza di verità e di amore». E «le persone non devono mai avere la sensazione che noi compiamo coscienziosamente il nostro orario di lavoro, ma prima e dopo apparteniamo solo a noi stessi. Un sacerdote non appartiene mai a se stesso».


Vatican Insider  5 aprile 2012

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