mercoledì 14 dicembre 2011

Commento di San Tommaso d’Aquino al Padre nostro - II parte






Sia santificato il tuo nome

È questa la prima domanda della preghiera insegnataci dal Signore, con la quale chiediamo che il nome di Dio si manifesti e risplenda in noi.
Ora, il nome di Dio è meraviglioso (ammirabile): perché opera meraviglie in tutte le creature. Dice infatti Gesù nel Vangelo parlando dei futuri credenti: “Nel mio nome scacceranno i demòni, parleranno lingue nuove, prenderanno in mano i serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno, imporranno le mani ai malati, e questi guariranno” (Mc 16,17).

Il nome di Dio è amabile: perché “non vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo, nel quale è stabilito che possiamo essere salvati” (At 4,12).
E la salvezza tutti dobbiamo amarla.
Abbiamo in proposito l’esempio del Santo vescovo Ignazio, il quale amò tanto il nome di Cristo che, quando Traiano gli chiese di rinnegarlo, rispose: “Non riuscirai a togliermelo dalla bocca”. E quando minacciò di tagliargli la testa per levarglielo dalla bocca, egli rispose: “Anche se tu me lo togliessi dalla bocca, non potrai togliermelo dal cuore”. Allora Traiano gli volle tagliare la testa e comandò che gli fosse estratto il cuore: e fu trovato che recava il nome di Cristo a caratteri d’oro. Il martire l’aveva messo sul proprio cuore come un sigillo (Ct 8,6).

Il nome di Dio è venerabile. Dice San Paolo: “Dio lo ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni alto nome; per¬ché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra” (Fil 2,9-10). Gli esseri dei cieli sono gli Angeli e i beati, e si inginocchiano per amore. Gli esseri della terra sono coloro che vivono in questo mondo e lo fanno per il desiderio di conquistare la gloria e per fuggire la pena. Gli esseri che stanno sotto terra sono i dannati, che lo fanno per paura (Fil 2, 9 10).

Il nome di Dio è ineffabile: perché ogni lingua è incapace di esprimerlo. Per questo la Scrittura a volte ricorre a metafore prese dalle creature. Così nel Vangelo per la sua fermezza viene detto Pietra, come nella frase: “su questa Pietra edificherò la mia Chiesa” (Mt 16,18). Oppure per la sua virtù purificatrice viene detto fuoco, perché, come il fuoco purifica i metalli, così Dio purifica i cuori dei peccatori: “Il Signore tuo Dio è fuoco divoratore” (Dt 4, 24). E per la sua virtù di illuminare viene detto luce, perché, come la luce illumina le tenebre materiali, così Dio illumina quelle della mente. Per questo il salmista diceva: “Tu, Signore, sei luce alla mia lampada; il mio Dio rischiara le mie tenebre” (Sal 18,29).

Per tutte queste ragioni chiediamo che questo santo nome sia a tutti manifestato e da tutti sia riconosciuto e tenuto per santo. Santo ha tre significati.

Innanzitutto può indicare ciò che è sancito, e perciò fermo, stabile. Si comprende allora perché i beati del cielo siano chiamati santi, per la loro stabilità nella eterna felicità. Sulla terra, invece, non possiamo essere santi in quanto siamo continuamente instabili, come rilevava S. Agostino di se stesso: “Signore, sono scivolato lontano da te e ho troppo errato, sono stato incostante lontano dalla tua stabilità”.

Santo può significare anche “non terreno”. I Santi che stanno in cielo non hanno più alcun affetto per le cose del mondo. Ad essi si può infatti applicare quello che San Paolo diceva di sé: “Tutto ormai io reputo una perdita di fronte alla sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore, per il quale ho lasciato perdere tutte queste cose e le considero come spazzatura” (Fil 3,8).

Va notato che qui per terra sono da intendere i peccatori. E per tre motivi.
Primo, per la somiglianza che c’è tra questi e quelli.
I peccatori assomigliano alla terra in ragione del frutto. Infatti la terra se non viene coltivata produce soltanto rovi e spine, come si legge nella Scrittura: “Spine e rovi produrrà per te” (Gen 3,18). Analogamente l’anima del peccatore, se non è coltivata dalla grazia, produce solo i rovi e le punture del peccato.

Secondo, a motivo dell’opacità: “La terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l’abisso” (Gen 1,2).

Terzo, per l’aridità. La terra infatti è un elemento secco ed è portato a sfaldarsi se non è tenuto compatto dall’umidità dell’acqua. Ed è per questo che la natura pose la terra vicino alle acque, secondo quanto dice il salmista: “Ha stabilito la terra sulle acque” (Sal 136,6), perché l’umore dell’acqua elimina l’aridità o secchezza della terra. Analogamente il peccatore ha l’anima secca e arida, come dice il salmista: “Sono davanti a te come terra riarsa” (Sal 143,6).Infine il termine santo significa ciò che è tinto dal sangue.

Perciò i santi del cielo vengono chiamati santi perché tinti dal sangue, secondo quanto sta scritto: “Essi sono coloro che sono passati attraverso la grande tribolazione e hanno lavato le loro vesti renden¬dole candide col sangue dell’Agnello” (Ap 7,14). E del Signore possono dire: “Ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue” (Ap 1,5).


Venga il tuo Regno

Lo Spirito Santo ci insegna ad amare, desiderare e chiedere rettamente. E in questo modo produce in noi il dono del Timore, dal quale siamo spinti a chiedere che il nome di Dio sia santificato.
Egli produce anche un secondo dono, ed è quello della Pietà, la quale propriamente è un dolce e devoto affetto verso il padre e verso qualsiasi persona che soffre. Dio è nostro Padre, e verso di lui non dobbiamo avere soltanto rispetto e timore, ma anche un dolce e pio affetto.
E questo affetto ci spinge a chiedere che venga il regno di Dio vivendo “con sobrietà, giustizia e pietà in questo mondo, nell’attesa della beata speranza e della manifestazione della gloria del nostro grande Dio” (Tt 2,12-13).

Qualcuno potrebbe obiettare: “Il Regno di Dio c’è sempre stato: perché allora chiedere ancora che esso venga?”.

Ebbene, la nostra richiesta si può intendere in tre modi.

1°- Un re può aver diritto a un regno e a governarlo. Ma può capitare che il suo potere non sia ancora effettivo, perché le persone del regno non gli sono ancora soggette. Il suo regno sarà reale solo quando le persone di quel regno gli saranno sottomesse.
Ora Dio per sua natura è già Signore di tutti gli esseri. E lo è anche Cristo in quanto Dio. Ma in quanto uomo, sebbene Dio gli abbia dato “potere, gloria e regno” (Dn 7,14), il suo regno non è ancora effettivo. È necessario pertanto che tutti gli esseri gli siano soggetti e questo avverrà alla fine dei tempi: “Bisogna infatti che egli regni finché non abbia posto tutti i nemici sotto i suoi piedi” (1 Cor 15,25).

Ecco perché possiamo dire: “Venga il tuo regno”.
E lo diciamo per tre finalità: per la conversione dei giusti, la punizione dei peccatori, la distruzione della morte.

In effetti gli uomini saranno assoggettati a Cristo in due modi: spontaneamente o contro la loro volontà. Siccome la volontà di Dio è talmente efficace da doversi compiere in ogni caso ed egli vuole che tutti gli esseri vengano sottomessi a Cristo, non resta agli uomini che questa alternativa: o fare la volontà di Dio sottoponendosi spontaneamente, come fanno i giusti, alle sue disposizioni, oppure subirla quando Dio imporrà loro la sua volontà, come fa coi peccatori e coi suoi nemici, punendoli. Ma questo avverrà alla fine dei mondo, quando egli “porrà i suoi nemici a sgabello dei suoi piedi” (Sal 110,1).

Di conseguenza mentre è cosa dolce per i santi chiedere che venga il Regno di Dio, perché è chiedere di essere totalmente assoggettati a lui, per i peccatori invece è cosa spaventosa, perché per loro chiedere che venga il Regno di Dio equivale a chiedere di essere sottoposti alle pene che infliggerà loro la volontà di Dio. A costoro si rivolgeva minaccioso il profeta Amos quando diceva: “Guai a coloro che attendono il giorno del Signore! Che sarà per voi il giorno del Signore? Sarà tenebre e non luce” (Am 5,18).

E con ciò stesso sarà distrutta anche la morte. Infatti essendo Cristo la vita stessa, non può esservi nel suo regno la morte che è negazione della vita. Per questo San Paolo dice: “L’ultimo nemico ad essere annientato sarà la morte” (1 Cor 15, 26). La distruzione della morte avverrà nella risurrezione, quando il Signore Gesù “trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso, in virtù del potere che ha di sottomettere a sé tutte le cose” (Fil 3,21).

2°- Per Regno di Dio si può intendere la gloria del Paradiso.
Non sembri strana questa interpretazione perché dire regno è dire regime. Ora il miglior regime è quello dove non si fa nulla contro la volontà di chi governa. Ebbene Dio vuole la salvezza degli uomini: “Egli vuole che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità” (1 Tm 2,4). Ma questo si avvera in modo perfetto in paradiso, dove nulla contrasterà più la salvezza degli uomini: “Il Figlio dell’uomo manderà i suoi angeli, i quali raccoglieranno dal suo regno tutti gli scandali e tutti gli operatori di iniquità” (Mt 13,41).

In questo mondo, invece, molti sono gli impedimenti che ostacolano la salvezza degli uomini. Pertanto, quando nella preghiera diciamo “venga il tuo Regno”, chiediamo di essere fatti partecipi del Regno celeste e della gloria del Paradiso.

E questo Regno è sommamente desiderabile per tre motivi.

Primo, per la somma giustizia che vi regna, perché lì si avvera quanto ha detto il profeta: “Il tuo popolo sarà tutto di giusti” (Is 60,21). Mentre quaggiù i buoni sono mescolati coi cattivi, lassù invece non vi sarà nessun peccatore o malvagio.

È desiderabile poi per la perfettissima libertà che lì c’è. Mentre infatti qui in terra non c’è libertà, nonostante che per impulso naturale tutti la desiderino, in cielo vi sarà totale libertà contro ogni sorta di schiavitù: “la creazione stessa attende con impazienza... di essere liberata dalla schiavitù della corruzione” (Rm 8,19.21). Anzi in Paradiso tutti non soltanto saranno liberi, ma regneranno. Dice infatti l’Apocalisse: “Li hai costituiti per il nostro Dio un regno di sacerdoti e regneranno sopra la terra” (Ap 5,10). E ne è motivo il fatto che tutti avranno una volontà sempre all’unisono con quella di Dio, in quanto Dio vuole quello che vogliono i santi e questi quello che vuole Dio; sicché la volontà di Dio diventa loro volontà.
Perciò tutti regneranno, perché sarà fatta la volontà di tutti e Dio sarà la corona di tutti: “In quel giorno sarà il Signore degli eserciti una corona di gloria, uno splendido diadema per il resto del suo popolo” (Is 28,5).

Questo regno sarà infine desiderabile per la mirabile abbondanza di beni: “Orecchio non ha sentito, occhio non ha visto che un Dio, fuori dite, abbia fatto tanto per chi confida in lui” (Is 64,3). E ancora: “Egli sazia di beni i tuoi desideri” (Sal 103,5).
Si noti che l’uomo troverà solo in Dio tutti i beni e in una misura tanto più eccellente e perfetta di quanto si possa desiderare in questo mondo. Vai tu in cerca del piacere? Lo troverai in Dio in sommo grado. Desideri le ricchezze? Avrai in abbondanza quei beni a cui le ricchezze sono ordinate. E così si dica di ogni altro bene. Sant’Agostino dice nelle sue Confessioni: “L’anima quando col peccato si allontana da te va cercando al di fuori di te quella purezza e quella limpidità che si può trovare se non tornando a te”.

3° C’è poi un terzo modo di intendere il Regno di Dio. Talvolta in questo mondo a regnare è il peccato. E questo succede quando l’uomo è disposto a seguire e ad assecondare pienamente l’inclinazione al peccato, mentre S. Paolo ammonisce: “Non regni il peccato nel vostro corpo mortale, sì da sottomettervi ai suoi desideri” (Rm 6,12).
Dio invece deve regnare nel tuo cuore, come dice Isaia: “Sion, regnerà il tuo Dio” (Is 52,7). E questo avviene quando l’uomo è pronto ad obbedire a Dio e ad osservare i suoi comandamenti. Quando preghiamo che venga il Regno di Dio, noi chiediamo che non regni in noi il peccato, ma Dio.

Questa richiesta ci fa giungere alla beatitudine menzionata da Matteo 5,4: “Beati i miti”. Infatti, dal momento che l’uomo desidera che Dio sia Signore di tutti, non si vendica da sé delle offese ricevute ma riserva tutto ciò a Dio. Se infatti ti vendicassi, non chiederesti che venga il Regno di Dio.
Inoltre se tu aspetti il Regno di Dio, cioè la gloria del Paradiso, non devi preoccuparti della perdita delle cose del mondo.
E infine se tu chiedi che in te regni Dio e regni Cristo, dal momento che Cristo è stato mitissimo, anche tu devi essere mite: “Imparate da me, che sono mite ed umile di cuore” (Mt 11,29). E “avete accettato con gioia di essere spogliati delle vostre sostanze, sapendo di possedere beni migliori e più duraturi” (Eb 10,34).


Sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra

Il terzo Dono prodotto in noi dallo Spirito Santo è il Dono della Scienza. Lo Spirito Santo, infatti, non solo produce in noi il Dono del Timore e della Pietà, la quale, come si è detto, è un dolce affetto verso Dio, ma fa sì che l’uomo diventi anche sapiente. Questo chiedeva Davide quando diceva: “Insegnami il senno e la saggezza, perché ho fiducia nei tuoi comandamenti” (Sal 119,66). E questa è la Scienza insegnataci dallo Spirito Santo per la quale l’uomo vive bene.

Ora tra i vari insegnamenti che riguardano la scienza e la sapienza dell’uomo, il più alto è quello che insegna a non confidare nel proprio giudizio, come dice il Libro dei Proverbi: “Non appoggiarti sulla tua intelligenza” (Pr 3,5). Infatti quelli che presumono nel proprio giudizio al punto da non credere agli altri, ma solo a se stessi, sono sempre trovati e giudicati stolti. Si legge nei Proverbi: “Hai visto un uomo che si crede saggio? È meglio sperare in uno stolto che in lui” (Pr 26,12).

È proprio dell’umiltà l’uomo poi non creda al proprio giudizio: questa infatti ha la sua radice nella sapienza, come si legge in Pr 11,2: “i superbi confidano troppo in se stessi”. Questo ce lo insegna lo Spirito Santo col Dono della Scienza, affinché non facciamo la nostra volontà ma quella di Dio.
E in forza di questo Dono chiediamo a Dio che si faccia la sua volontà come in cielo così in terra.

In questo si manifesta il Dono della Scienza: perché quando chiediamo a Dio che si faccia la sua volontà, noi ci mettiamo press’a poco nell’atteggiamento di un malato che per guarire chiede al medico qualcosa. E non chiede specificando che cosa vuole, ma si rimette alla sua volontà. Diversamente se facesse solo di sua testa, sarebbe uno stolto.

Così anche noi dobbiamo chiedere Dio nient’altro al di fuori del compimento della sua volontà, e cioè che la sua volontà si compia in noi. Solo allora infatti il cuore dell’uomo è retto: quando concorda con la volontà divina.
Così ha fatto Cristo: “Sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato” (Gv 6,38).
Cristo infatti, in quanto è Dio, ha la medesima volontà del Padre.
Ma, in quanto uomo, ha una volontà distinta da quella del Padre. E secondo questa volontà dice di non fare la volontà propria ma quella del Padre. E perciò ci insegna a pregare e a chiedere: “Sia fatta la tua volontà”.

Ma qual è il significato di questa domanda? Non dice forse il salmista che “tutto ciò che vuole il Signore lo compie in cielo e sulla terra” (Sal 135,6)? Se Egli fa tutto quello che vuole sia in cielo che in terra, quale senso può avere il chiedere che si faccia la sua volontà?

Per capire questo, bisogna sapere che Dio nei nostri riguardi vuole tre cose. E noi chiediamo che queste tre cose si realizzino.
La prima cosa che Dio vuole da noi, è che noi possediamo la vita eterna. Chi fa una cosa per un determinato scopo, vuole che quella cosa raggiunga lo scopo. Ora Dio ha fatto l’uomo, ma non senza uno scopo, per il nulla. Dice il Salmo: “Forse che hai creato invano tutti i figli degli uomini?” (Sal 88,48). Ebbene, Egli ha creato gli uomini per un fine: non però per le voluttà dei sensi, perché queste le possiedono anche gli animali, ma perché possiedano la vita eterna. Il Signore dunque vuole che l’uomo abbia la vita eterna.

Ora, quando un essere consegue il fine per cui è stato fatto, si dice che si salva, e quando non lo consegue si dice che si perde. E siccome Dio ha fatto l’uomo per la vita eterna, questi si salva quando la consegue. E questo Dio vuole: “Questa infatti è la volontà del Padre mio, che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna” (Gv 6,40).

Questa volontà è già compiuta negli Angeli e nei santi che sono nella Patria celeste perché vedono Dio e fruiscono di lui. Ma noi desideriamo che la volontà di Dio si compia in noi che siamo in terra così come si è compiuta nei santi in cielo. E questo chiediamo quando diciamo: “Sia fatta la tua volontà”.

La seconda cosa che Dio vuole da noi, è che osserviamo i suoi comandamenti. Chi infatti desidera una cosa non solo vuole ciò che desidera ma anche i mezzi per conseguirla.
Anche il medico, che vuole la guarigione del malato, vuole nello stesso tempo la dieta, le medicine e quanto altro è necessario per la sua salute.
Ebbene, come Dio vuole che noi conseguiamo la vita eterna, così vuole anche che facciamo quanto è necessario per conseguirla, e la conseguiamo osservando i suoi comandamenti. Dice il Signore: “Se vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti” (Mt 19,17). E S. Paolo: “Sia razionale il vostro culto... per ravvisare quale sia la volontà di Dio, buona, gradevole e perfetta” (Rm 12,l 2).

Buona perché è utile, in quanto, come dice Isaia: “Io sono il Signore tuo Dio che ti insegno per il tuo bene, che ti guido per la strada su cui devi andare” (Is 48,17).
Gradevole perché, anche se non è piacevole per gli altri, è dilettevole per chi ama Dio. Si legge nel Salmo: “Una luce si è levata per il giusto, gioia per i retti di cuore” (Sal 97,11).
Perfetta perché è bella spiritualmente, in quanto il Signore ci vuole “perfetti com’è perfetto il Padre celeste” (Mt 5,47).
Perciò quando diciamo “sia fatta la tua volontà”, noi chiediamo di poter osservare i comandamenti di Dio.

Ma questa volontà di Dio mentre si compie nei giusti, che vengono indicati con la parola cielo, non si compie ancora nei peccatori, indicati con la parola terra. Pertanto chiediamo che si compia la volontà di Dio in terra, ossia nei peccatori, come in cielo, ossia nei giusti.

Anche dalla terminologia adoperata ci viene un insegnamento. Non dice: fa’, e neppure facciamo; ma sia fatta la tua volontà, perché per avere la vita eterna sono necessarie due cose: la grazia di Dio e la volontà dell’uomo.
Infatti sebbene Dio abbia creato l’uomo senza l’uomo, tuttavia non lo giustifica senza la sua cooperazione. Dice Sant’Agostino: “Chi ha creato te senza di te, non giustificherà te senza di te”, perché egli vuole che l’uomo cooperi. “Convertitevi a me e io mi rivolgerò a voi” (Zc 1,2); e San Paolo: “Per grazia di Dio sono quello che sono, e la sua grazia in me non è stata vana” (1 Cor 15,10).

Non presumere perciò di te stesso ma confida nella grazia di Dio, e non essere negligente, ma impegnati. Per questo non si dice facciamo, affinché non sembri che nulla operi la grazia di Dio, e neppure fa’, affinché non sembri che nulla operino la nostra volontà e il nostro sforzo, ma sia fatta, cioè per la grazia di Dio e per l’impegno e lo sforzo nostro.

La terza cosa che Dio vuole per noi è che siamo restituiti allo stato e alla dignità in cui fu creato il primo uomo: stato e dignità così grandi, che il suo spirito e la sua anima non provavano nessuna ribellione da parte della carne e della sensualità.

Finché la sua anima rimase soggetta a Dio, anche il corpo rimase così soggetto allo spirito da non sperimentare alcuna corruzione, né di morte, né di malattia, né di altre passioni.

Da quando invece lo spirito e l’anima, che era intermediaria tra Dio e la carne, col peccato si è ribellata a Dio, anche il corpo si è ribellato all’anima e da allora cominciò a sperimentare la morte e la malattia e una continua ribellione della sensualità allo spirito. Descrivendo questa condizione S. Paolo dice: “Nelle mie membra vedo un’altra legge, che muove guerra alla legge della mia mente” (Rm 7,23) e “la carne ha desideri contrari allo spirito e lo spirito ha desideri contrari alla carne” (Gal 5,17).

Vi è dunque una continua lotta tra la carne e lo spirito, e l’uomo con il peccato va sempre più peggiorando. È pertanto volontà di Dio che l’uomo venga restituito allo stato primitivo, in modo che nella carne non ci sia nulla che contrasti lo spirito: “Questa è la volontà di Dio, la vostra santificazione” (1 Ts 4,3).

Questa volontà di Dio non potrà realizzarsi in questa vita, ma solo nella risurrezione dei santi, quando il corpo risorgerà glorificato e sarà incorruttibile e nobilissimo, perché “si semina ignobile e risorge glorioso” (1 Cor 15,43). Essa, quanto allo spirito, si compirà nei giusti mediante la giustizia, la conoscenza e la vita.

E perciò, quando diciamo “sia fatta la tua volontà”, preghiamo che essa si compia anche nella carne, dove con la parola cielo intendiamo lo spirito e con terra intendiamo la carne.

Questo allora il significato: “Sia fatta la tua volontà”, così in terra, ossia nella nostra carne, come in cielo, ossia nel nostro spirito mediante la giustizia.

Grazie a questa invocazione, noi giungiamo a quella beatitudine del pianto di cui ha parlato il Signore: “Beati gli afflitti perché saranno consolati” (Mt 5,4).
E ciò si verifica in ciascuna delle tre spiegazioni.

In base alla prima: poiché desideriamo la vita eterna, il vederla differita ci è causa di afflizione, come dice anche il Salmo: “Ahimè, è stato prolungato il mio soggiorno” (Sal 120,5).
Questo desiderio del cielo nei santi è stato talvolta tanto grande da far loro desiderare la morte, che di per sé andrebbe evitata. Dice S. Paolo: “Siamo pieni di fiducia e preferiamo andare in esilio dal corpo ed abitare presso il Signore” (2 Cor 5,8).

Ma anche in base alla seconda interpretazione, quelli che osservano i comandamenti di Dio sono anch’essi nell’afflizione, perché per quanto essi siano dolci all’anima, sono però amari per la carne, che è continuamente macerata. Dice il Salmo: “nell’andare, se ne va e piange” quanto alla carne, “ma nel tornare, viene con giubilo” quanto all’anima (Sal 126,6).

Ugualmente in base alla terza spiegazione, dalla lotta che c’è continuamente tra la carne e lo spirito, ne deriva l’afflizione.
È impossibile infatti che l’anima non rimanga ferita dalla carne, almeno per quanto riguarda i peccati veniali. E, dovendoli espiare, è nel pianto. Dice il salmista: “Ogni notte inondo di pianto il mio giaciglio”, cioè le oscurità del peccato, “irroro di lacrime il mio letto” (Sal 6,7), cioè la mia coscienza.
E coloro che in questo modo piangono, giungono alla Patria, alla quale ci conduca Dio.


continua

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