lunedì 12 dicembre 2011
Che cosa è il Magistero della Chiesa?
Di padre Giovanni Cavalcoli
Credo che sul significato di questo termine, oggi molto discusso, occorra far chiarezza. Il termine “Magistero”, come sanno gli storici della dottrina cattolica, è di coniazione relativamente recente, risale al sec. XIX, ma la realtà espressa da quel termine risale a Cristo stesso. E’ Lui stesso che ha istituito il Magistero, quando ha dato agli apostoli (e ai loro successori fino alla fine del mondo) l’incarico di annunciare il Vangelo sino agli estremi confini della terra, promettendo loro l’assistenza dello Spirito Santo che li avrebbe resi maestri (magister, magisterium, maestro) dell’umanità in relazione all’eterna salvezza, trasmettendo oralmente (Tradizione apostolica) e per iscritto (Sacra Scrittura) quella dottrina che è Parola di Dio, ossia quelle parole di Cristo circa le quali Egli stesso disse “cielo e terra passeranno, ma le mie parole non passeranno”.
Si tratta dunque di verità divine, come tali immutabili ed assolutamente vere, oggetto della fede teologale. Esse costituiscono il dato della divina Rivelazione, contenuto quindi nella Scrittura e nella Tradizione. Questo dato è stato affidato da Cristo al Magistero, un patrimonio dottrinale, che Egli ha incaricato di insegnare, predicare, trasmettere, custodire, interpretare, spiegare ed esplicitare a tutta l’umanità. Abbiamo qui quella che si chiama la “Chiesa docente”, distinta dalla “Chiesa discente”, che è il Popolo di Dio, in quanto istruito dai successori degli Apostoli sotto la guida del Papa.
Questo Magistero possiamo chiamarlo anche “Tradizione ecclesiale”, fondata sulla Tradizione Apostolica e ad essa sempre fedele. E’ detto anche “Tradizione vivente”, perché costituita dal Magistero vivo ed attuale del collegio apostolico in unione con il Papa.
Il Magistero quindi non è altro che il collegio dei vescovi, successori degli Apostoli, uniti al Papa, successore di Pietro, in quanto maestri della fede ossia concordi annunciatori della Parola della salvezza, assistiti dallo Spirito della verità. Il collegio apostolico in questo senso annuncia infallibilmente la verità salvifica, che in se stessa resta sempre la stessa col medesimo significato.
Tuttavia la Chiesa e i singoli fedeli nel corso del tempo, sempre con l’assistenza dello Spirito Santo, conoscono sempre meglio il divino deposito della Rivelazione, per cui si verifica un progresso, un’evoluzione omogenea e nella continuità della medesima Parola di Dio. Da qui nasce il progresso dogmatico ed un continuo aumento e perfezionamento della conoscenza di fede.
Sia il progresso che la conservazione del deposito rivelato avvengono secondo alcune modalità che rispondono a forme naturalmente umane di cercare, attingere ed esprimere la verità. Esiste così un Magistero ordinario ed un Magistero straordinario, un Magistero semplice ed un Magistero solenne. Esistono gradi di autorità nell’insegnamento della dottrina della fede.
Quando si pone un problema di rinnovamento o di riforma o di progresso, il Magistero gode di un carisma di sicuro discernimento nel dirci che cosa va conservato e cosa può essere abbandonato perché superato, anacronistico o addirittura sbagliato e qual è il vero progresso distinguendolo dal tradimento, dall’infedeltà e dalla distruzione. In nome di un sano progressimo la Chiesa disapprova e a volte addirittura condanna chi vuol conservare ciò che va lasciato e in nome di un sano tradizionalismo la medesima Chiesa disapprova chi vuol mutare abbandonando la tradizione. Il vero cattolicesimo sta nell’abbinare questi due atteggiamenti così come fa la Chiesa, senza “piegare né a destra né a sinistra”.
Le verità rivelate tradizionali, accertate, sicure, evidenti, comunemente note nella predicazione o catechesi corrente, raccolte nel Simbolo della Fede o espresse formalmente ed esplicitamente da Nostro Signore Gesù Cristo, semplicemente insegnate, ripetute e trasmesse oralmente o per iscritto, sono l’oggetto del Magistero ordinario, ossia dell’insegnamento del collegio episcopale unito al Papa.
Il Magistero straordinario si ha invece, come dice la parola stessa, in modo insolito, eccezionale, speciale, per motivi particolarmente gravi o importanti. Esso è impartito in circostanze e modalità speciali, per insegnare un approfondimento o un chiarimento della dottrina rivelata. Potremmo dire una nuova dottrina, non però nel senso di un’aggiunta al dato rivelato consegnato da Cristo agli apostoli, ma nel senso di una nostra migliore conoscenza del medesimo dato rivelato. Gli organismi di questo insegnamento straordinario sono il Sommo Pontefice da solo oppure il Concilio ecumenico. Sia il Magistero ordinario che quello straordinario sono infallibili, nel senso che non sbagliano né possono sbagliare. Non possono smentire il già detto e non posson dire cose che in futuro smentiranno.
La distinzione, invece, fra Magistero semplice e Magistero solenne riguarda i gradi di autorevolezza o di certezza delle dottrine, ossia il grado col quale la Chiesa - il Magistero - si impegna nell’insegnare la dottrina della fede ovvero la verità rivelata. Esiste un Magistero semplice, per il quale siamo certi che la Chiesa ci insegna la verità, ossia non sbaglia; ma questa certezza ha due gradi: possiamo esser certi che si tratta di materia di fede o prossima alla fede, ma la Chiesa stessa non vede ancora chiaro o con certezza i termini precisi di questo dato di fede.
Occorrono nuove indagini, affidate soprattutto agli storici ed ai teologi, per cui la discussione nel Popolo di Dio resta aperta. Tuttavia non è lecito dubitare di quanto la Chiesa insegna. E’ questo il cosiddetto “Magistero autentico”. Esso, poiché tratta di materia di fede, è già infallibile, ma tale infallibilità non è dichiarata dalla Chiesa, alla quale, come ho detto, non sono ancora chiari e certi i termini precisi del dato che viene insegnato. Questi gradi sono esposti nella Dichiarazione della CDF annessa alla Lettera apostolica di Giovanni Paolo II “Ad tuendam fidem” del 1998.
Un grado superiore di certezza, ma ancora come Magistero semplice, si ha quando la Chiesa insegna certamente, chiaramente ed univocamente agli occhi del teologo una dottrina che è di fede o prossima alla fede, quindi in continuità con la Scrittura e la Tradizione, anche se dottrina nuova (“progresso nella continuità”), ma non dice che è di fede o è contenuta nella Rivelazione. E’ una dottrina definitiva, immutabile, irreformabile ed infallibile, ma ciò non risulta con chiarezza perché la Chiesa non lo dice. Ci può esser certezza teologica che è di fede, ma non c’è certezza di fede che è di fede
. Infine, grado relativo alla vera e propria certezza di fede, coinvolgente la fede teologale, certezza che se viene negata o messa in dubbio si cade nell’eresia, è la “definizione dogmatica”, caratteristica del Magistero solenne, evento, questo, assai raro, per il quale la Chiesa si pronuncia definitivamente su certe opinioni legittimamente discusse e confuta eventualmente in modo definitivo e con certezza certi errori contrari. Queste definizioni possono essere date dal Papa da solo o dal Concilio ecumenico.
Oggetto del Magistero è la divina Rivelazione, nei suoi contenuti teoretico-dottrinali e morali, le cui fonti sono la Scrittura e la Tradizione. Per questo il Magistero è interprete infallibile dell’una e dell’altra, intervenendo in ultima istanza a far definitiva chiarezza e a dar risolutiva certezza circa certi dati della Rivelazione precedentemente interpretati dai teologi e circa i quali restano controversie, dubbi o discussioni o a volte si danno anche negazioni o false interpretazioni.
Il Magistero morale in genere, in quanto cioè orientato alla guida ed al regolamento degli atti umani, può comprendere un aspetto riguardante i princìpi della morale e della sacramentaria, e qui abbiamo dati della Rivelazione - per esempio la legge morale naturale, i comandi di Cristo e i dieci comandamenti della Legge mosaica -. In questo ambito la Chiesa è infallibile, in quanto esso fa parte della dottrina della fede. Ma la guida pratica della Chiesa tocca anche altri piani dell’agire umano, che tendono verso l’azione concreta, come il piano della liturgia, del rituale sacramentale, della pastorale, del diritto, delle norme particolari e positive, che mutano e variano a seconda dei tempi e dei luoghi. Su questo piano il Magistero non è infallibile, ma dipende dalla semplice prudenza umana, e comunque merita sempre rispetto e considerazione, per cui non è lecito allontanarsene se non in base a ragioni gravi e con somma prudenza.
Nel corso della storia la Chiesa e i singoli fedeli, secondo la promessa stessa di Cristo e con l’assistenza del suo Spirito, conoscono sempre meglio il deposito della Rivelazione; esiste un progresso nella conoscenza del dato rivelato, che comporta un aumento ed un affinamento di nozioni, e quindi l’introduzione di nuovi modi espressivi e di nuovi vocaboli corrispondenti, eventualmente desunti dagli aspetti validi delle culture del proprio tempo o anche di tempi precedenti. E’ chiaro che i contenuti essenziali della Rivelazione restano sempre gli stessi col loro immutabile significato; ciò che muta è solo il nostro modo di conoscerli, che diventa sempre più perfetto, esplicito, avanzato, dettagliato, preciso e profondo. Si ha qui il progresso dogmatico.
Ora il Magistero sorveglia e garantisce anche questo progresso, che, allorchè il Magistero lo ritiene opportuno o necessario, viene sancito nella definizione di nuovi dogmi o nei nuovi insegnamenti dei Concili ecumenici, sia che l’aggancio alla Rivelazione venga esplicitamente dichiarato (definizione dogmatica) - primo grado -, sia che la nuova dottrina sia posta senza esser dichiarata formalmente di fede - secondo grado -, sia che questa nuova dottrina sia insegnata senza che la Chiesa stessa sia certa del suo aggancio con la fede - terzo grado -.
Esistono due criteri per riconoscere il progresso dottrinale promosso dal Magistero: un criterio che muove dal passato per giudicare il presente e un criterio che muove dal presente per giudicare il passato. Il primo criterio è quello delle fonti della Rivelazione: il deposito rivelato già fissato nella Scrittura e nella Tradizione e che si riassume nel Simbolo della Fede: confrontando la nuova dottrina con queste fonti e dati essenziali della Parola di Dio, possiamo considerare la fondatezza e l’attendibilità della nuova dottrina, la sua continuità con l’immutabile Verità del Vangelo. Qui il Magistero antico ha un carattere fondante e giudica il Magistero moderno. Per esempio il Concilio di Trento o il Vaticano I sono criteri per discernere il valore delle novità del Vaticano II.
Ma esiste anche il criterio inverso: il Magistero moderno, per esempio il Vaticano II, giudica quello antico. E qui non si tratta di utilizzare il Magistero fondante, ma quello confermante o progredente, così come per esempio apprezziamo il valore maggiore di una conoscenza moderna in campo scientifico o filosofico rispetto a quanto sullo stesso argomento si sapeva già nel passato. In questo senso la nozione della liturgia, della Rivelazione, della Chiesa, del laicato, della vita religiosa, del sacerdozio, dell’uomo, del rapporto Chiesa-mondo, del rapporto fra le religioni o della mariologia ed altri temi nel Vaticano II, è più “progredita” della conoscenza che ci viene offerta dal Magistero preconciliare.
Questi due criteri devono essere sapientemente congiunti per potersi mantenere nella verità cattolica, evitando esclusivismi che porterebbero, per motivi opposti, fuori della verità: il criterio tradizionalista che rifiuta di giudicare il passato alla luce del presente e il criterio progressista-modernista che rifiuta da giudicare il presente alla luce del passato. I criteri sono sì reciprocamente opposti e quindi a tutta prima sembrano tra loro incompatibili, ma siccome obbediscono a due princìpi diversi: il fondamento e la confermazione, sono in realtà reciprocamente complementari e solo nel loro uso simultaneo e coordinato danno la pienezza della verità cattolica. Questo principio non fa altro che riprendere il noto asserto scolastico: causae ad invicem sunt causae sub diverso respectu (le cause si causano tra di loro, però sotto un diverso rapporto).
L’attuale doloroso per non dire scandaloso contrasto all’interno alla Chiesa tra lefevriani e modernisti - esempio eclatante è la conflittualità in campo liturgico - circa il vero significato del Concilio Vaticano II in rapporto al Magistero precedente, si potrà risolvere soltanto adottando queste misure, che hanno il loro fondamento sia nel Magistero antico che in quello moderno, “continuità nello sviluppo” e nella migliore conoscenza di ciò che la Chiesa già sa e sempre saprà sino al ritorno del suo Signore.
fonte: http://win.libertaepersona.org
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