martedì 13 dicembre 2011

Innovare nella tradizione





di Mons. Nicola Bux
(tratto da: Come andare a Messa e non perdere la fede, PIEMME 2010)

Un vescovo ausiliare, già preside di facoltà teologica, a un frate che con candore gli spiegava perché nella sua comunità celebrasse la messa in forma straordinaria, ha ammesso con inquietudine che un «virus tradizionalista ormai sta infettando tutti»: alludendo alla crescente attenzione di preti, seminaristi e fedeli verso la messa che Benedetto XVI ha ripristinato come forma straordinaria del rito romano, o messa tridentina o, per essere esatti, messa damaso-gregoriana, dall'impianto ancora sussistente in essa fornito dai due Papi tra tarda antichità e alto medioevo.

Il Signore fa nuove tutte le cose, dice l'ultimo libro della Bibbia, c'è da stare sicuri. La novità? Secondo un prete, il Papa riproponendo la messa di san Gregorio, sta preparando la Chiesa al martirio: le avvisaglie ci sono. Il nuovo movimento liturgico, il riproporsi di quanto nel '900 dom Guèranger avviò a Solesmes, forse si forgerà attraverso il martirio.

La liturgia fa parte della tradizione e non si comprende fuori di essa: è tra le fonti della rivelazione descritte dalla Dei Verbum, la costituzione conciliare sulla divina rivelazione. Il culto divino evoca la sovranità del Signore su tutto, la sua maestà infinita, la sua grandezza, il suo mistero, il suo diritto all'adorazione: «Adora il Signore Dio tuo con tutto te stesso».

Ma cosa ha di speciale la messa di Gregorio Magno? Molte cose. Una in particolare, secondo alcuni esperti: con i suoi riti è un presidio dalle tentazioni del diavolo -la messa non e molto gradita da costui e cerca in vari modi di deformarla- l’esperienza dimostra che si tratta di paletti quasi "mistici" che la tradizione ha messo per presidiare verità fondamentali.

In che senso? Ritus sarebbe parola sanscrita per "ordine", in latino si dice ordo (includendo peso, misura e proporzione); il disordine, si sa, è di satana. Prima di tutto la lingua sacra latina nella quale si celebra quella messa, si è caricata, dicono alcuni esorcisti, di tutta la potenza delle preghiere e dei meriti dei santi, come le "coppe ricolme" dell'Apocalisse; poi, l’invocazione ripetuta di san Michele arcangelo; infine, a mio avviso, il modo di pregare. Dice san Cipriano: «Per coloro che pregano, le parole e la preghiera siano fatte in modo da racchiudere in sé silenzio e timore. Pensiamo di trovarci al cospetto di Dio. Occorre essere graditi agli occhi divini sia con la posizione del corpo, sia con il tono della voce» (2). Per Martin Mosebach: «Si dovrebbe definire il rito una preghiera corporea, la preghiera del corpo, a cui si aggiunge la preghiera dell’anima e dalla quale l’anima sperimenta quegli stimoli, quella direzione, quella resistenza, che sono necessarie, consentendo che il puro sentimento si trasformi in spirito. Se la carne, come recita la professione di fede, è chiamata all’eternità, allora può anche pregare» (3).

Ancora, bisogna pregare in ginocchio. Madre Teresa pregava sempre in ginocchio, così si esprime l’assoluto abbandono a Dio Padre, al quale dobbiamo donarci interamente, pronti ad ascoltarlo. È possibile constatare che i fedeli non sanno pregare, perché nella liturgia stanno seduti o in piedi, posizioni poco favorevoli alla preghiera. Sono spariti dalle chiese gli inginocchiatoi. Eppure, mentre stare in piedi o seduti sono atteggiamenti comuni a ogni altro raduno, stare in ginocchio è l’atteggiamento tipico della preghiera. La liturgia prevede di stare in ginocchio durante la consacrazione della messa, ma anche durante tutta la preghiera eucaristica e poi prima della comunione (cfr. OGMR 43), ma non può essere attuato, salvo che ci si inginocchi per terra.

Certo, va da sé che lo si debba fare durante l’adorazione eucaristica e nelle celebrazioni a carattere penitenziale: si sta in ginocchio per supplicare ardentemente Dio e adorarlo come creature al loro Creatore: «Poiché egli stesso è presente nell’eucaristia, questa ha sempre, di per se stessa, implicato l’adorazione. Benché nella sua grande forma solenne essa sia stata sviluppata solo nel medioevo, non si trattò né di un cambiamento né di un decadimento, né di alcuna altra cosa, ma solo dell’emergere fino in fondo di ciò che è presente» (4).

Chi guarda oggi con attenzione e affezione alla messa di san Gregorio, non è in preda a inguaribile nostalgia -in gran parte sono i giovani a richiederla e promuoverla- perché non ha conosciuto tale messa in quanto è semplicemente nato tra gli anni '80 e '90: al massimo ha trent’anni. Osservate che tutti i siti su tale messa non possono essere che in gran parte attrezzati da giovani. Invece è in preda a nostalgia chi, pur ammettendo che l'antico rituale aveva il suo fascino, rifiuta quella messa, infliggendo a se stesso una punizione, odiando una parte della sua vita.

Non è vero che i giovani che oggi promuovono la forma straordinaria non abbiano accettato la riforma liturgica, perché sono nati dopo il concilio: semmai si interrogano se essa prevedesse certe cose come l'abolizione del latino o la comunione in piedi; poi leggono la costituzione liturgica e constatano che non le ha prescritte.

Ma i progressisti non demordono e osservano che la Chiesa si è sempre rivolta a Dio con le parole di tutti i giorni: in realtà, chi conosce la storia sa che queste sono state rivolte nella lingua ufficiale del tempo, prima il greco, poi il latino, senza disdegnare quelle dei popoli da evangelizzare; ha custodito le più significative usate dai profeti, da Gesù e dagli Apostoli (amen, alleluia, osanna) incastonandole in modo che l'usura del tempo non ne cambiasse il significato.

La Chiesa prega con le parole di Cristo e non della gente. Le parole divine sono le formule e le preghiere della messa: esse sono sacre perché dette da Gesù (Prendete e mangiate, Padre nostro, La pace sia con voi): pertanto «il presbitero […] deve servire Dio e il popolo con dignità e umiltà, e, nel modo di comportarsi e di pronunziare le parole divine […] deve far percepire ai Fedeli la presenza viva di Cristo» (OGMR 93). Ciò vale innanzitutto per il vescovo.

Ora

La messa si celebra o in lingua latina o in altra lingua, purché si faccia ricorso a testi liturgici approvati a norma del diritto. Salvo le celebrazioni della messa che devono essere svolte nella lingua del popolo secondo gli orari e i tempi stabiliti dall'autorità ecclesiastica, è consentito sempre e ovunque ai sacerdoti celebrate in latino (RS 112).

Joseph Ratzinger osserva: «In generale io penso che tradurre la liturgia nelle lingue parlate sia stata una cosa buona, perché dobbiamo capirla, dobbiamo prendervi anche con il nostro pensiero, ma una presenza più marcata di alcuni elementi latini aiuterebbe a dare una dimensione universale, a far sì che in tutte le parti del
mondo si possa dire: io sono nella stessa Chiesa».


2) SAN CIPRIANO, Trattato sul Padre nostro, 4; CSEL 3, 268.
3) M. MOSEBACH, Eresia dell'in/orme, cit., p. 235.
4) J. RATZINGER, Il Dio vicino. L'Eucaristia cuore della vita cristiana, San Paolo, Cinisello Balsamo 2003, p. 119.

Nessun commento:

Posta un commento