venerdì 23 dicembre 2011
I segni dei tempi
di Don Enrico Bini
Parlare dei segni dei tempi è divenuto un «luogo» classico della predicazione di oggi. Non c'è fedele che non abbia ascoltato in qualche circostanza, questa espressione che indica come la chiesa deve essere attenta ai fenomeni che per la loro frequenza distinguono un'epoca.
Questo termine «segno dei tempi» viene esplicitamente menzionato nei documenti conciliari, come la Gaudium et Spes, e ha incontrato una grande fortuna tanto da divenire una delle formule più significative del Concilio stesso. Per questo motivo, sono necessarie alcune precisazioni, dato che non è infrequente leggere o ascoltare delle interpretazioni, che non rendono pienamente il senso voluto dal magistero.
Una prima inesattezza consiste nel presumere che possa esistere una assimilazione tra l'uso voluto dal magistero del termine segno dei tempi, con il discorso di Gesù sul segno (Mt. 16, 1-3; Lc 11,29). Ben diversi sono i contesti attuali dal senso direttamente messianico ed escatologico dei brani evangelici. Tanto che durante lo stesso concilio gli esegeti rifiutarono un esplicito riferimento ai testi sopra indicati. Questo deve mettere in guardia dalle visioni di alcuni esaltati che cadono in facili ed isteriche utopie. Inoltre non si deve dimenticare che la storia del termine «segno dei tempi» è molto modesta sia nel magistero, sia nella teologia.
Perché si è fatto di questo termine un uso smodato, tanto da definirlo un sorta di «fissione nucleare dottrinale»? La risposta a questo interrogativo l'ho potuta trovare in un articolo di un famoso teologo contemporaneo, che qualche anno fa si è occupato della storia e del significato del termine in questione. In questo testo, si affermano delle posizioni assai singolari che meritano un commento. Infatti, si legge: «Il tempo deve esser considerato come un valore coessenziale che può modificare la vita dello spirito non soltanto nel suo meccanismo, ma nella sua sostanza». In questa frase è contenuta la filosofia di fondo di un uso errato della locuzione «segno dei tempi». Perché se il tempo modifica la vita dello spirito nella sua sostanza, la storia diviene la categoria che impone le proprie modificazioni a tutto.
Si giunge ad una vera e propria tirannia del tempo su ciò che è perenne. Il variare delle epoche non può modificare la sostanza dell'uomo, che è fondata su quell'ordine scritto dal Creatore nella natura e completato dalla grazia. L'enfasi di coloro che hanno voluto spingere la chiesa ad un aggiornamento che ha come premessa la concezione sopra descritta parte da una posizione poco convincente. Infatti, per questi l'aggiornamento non è il frutto della materna sollecitudine della chiesa, ma quasi necessariamente si impone a causa di una modificazione dell'epoca presente.
In questo equivoco si annida uno dei pericoli più grandi per molti cristiani di oggi, che credono più alla storia che allo spirito, più al mutevole che all'eterno. Più avanti il sullodato teologo afferma: «nella sua fede il cristiano si pone in ascolto del mondo moderno, accantonando ormai l'atteggiamento dottrinario e paternalistico di chi possiede per sé e per gli altri una risposta ad ogni problema». Questo significa che se la verità è nella storia, non esiste una possibilità originale da parte della chiesa di esprimere un giudizio che attinga la propria origine da verità a-temporali, quasi che la modernità si debba identificare con la verità. Si è perduto con questa affermazione tutto l’equilibrato insegnamento conciliare che invitava a discernere con attenzione i segni dei tempi alla luce della fede.
L'idolatria verso i segni del tempo ha condotto molti cattolici a «inginocchiarsi» direbbe Maritain, di fronte ai padroni del mondo vecchi e nuovi. Perché l'unica cosa necessaria è allinearsi a tutti i costi alle ideologie e alle mode che si succedono sulla scena della storia. Basti pensare all'esito dei cattolici liberali nel secolo scorso, e alle penose posizioni dei cattolici-comunisti. Si impone infine una considerazione, su come un termine usato correttamente dal magistero, sia divenuto uno strumento per sovvertire la stessa presenza della chiesa nel mondo, attraverso fuorvianti interpretazioni.
(Dicembre 1988)
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