giovedì 15 dicembre 2011
La tirannia dei valori
di Don Enrico Bini
Non vi è sacerdote che nella sua attività pastorale non abbia parlato dei valori. La difesa dei valori religiosi è spesso ribadita dai nostri Vescovi nelle assemblee episcopali nazionali. Si tratta di una terminologia ampiamente accettata che non crea eccessivi problemi. Eppure, dietro l'uso massiccio di questo termine si nascondono importanti problemi che toccano la vita di tutti noi.
Del concetto di valore si sono occupati soprattutto, in questo secolo, filosofi come Scheler, Hartmann e Schmitt. Soprattutto quest'ultimo ha illustrato la genesi dell'uso del termine.
Il valore ha la sua origine nell'economia. La merce e il denaro hanno un valore dipendente da fattori estrinseci dalla natura delle cose. Il valore viene attribuito dal soggetto. Vi è quindi una radice soggettivista. In seguito, dall'economia l'uso del termine valore è passato anche nella filosofia e nel diritto. Si sono esaltati anche i valori spirituali, e anche lo stesso Dio è divenuto un valore.
Questo ha dato la sensazione di poter trovare un punto d'incontro con il mondo moderno. Il valore diviene una prospettiva onnicomprensiva che permette di dare un senso a tutto. Sono state stabilite scale di valori, da quelli materiali a quelli spirituali. Tuttavia, nella logica del valore, quello che conta è il valore stesso, e solo secondariamente il posto in cui si colloca un valore singolo.
Vi è anche qui un'inflessione soggettivista. Stabilisce quello che veramente vale soltanto il soggetto. Al valore non si chiede di essere, ma di avere una validità.
Da queste brevi note, si può vedere come il termine valore è solidale con una prospettiva che è molto lontana dalla tradizione classica. Il processo della secolarizzazione passa anche attraverso questo termine. Il valore è il surrogato della virtù, questa chiede di essere praticata ed ha un riscontro oggettivo. Nel valore, come scrive Schmitt, si vuole rendere commensurabile l'incommensurabile. Questo comporta una valenza di aggressività potenziale della filosofia dei valori.
In questo consiste, quello che Hartmann chiamava la tirannia dei valori. Una volta stabiliti aprioristicamente i valori, devono essere imposti dall'io. Attraverso la distruzione di tutto quello che non ha valore. La negazione di un valore negativo ha un valore positivo.
Molteplici sono le applicazioni concrete di questo principio, soprattutto alla luce della storia del Novecento e delle sue ideologie più distruttive. Non è un caso che il nazionalismo esaltasse i valori vitali. Questo pericolo si annida anche nell'ideologia borghese e liberale, che sotto l'apparente tolleranza, nasconde una radice distruttiva di quello che non è conforme alla propria scala di valori.
Queste brevi considerazioni ci permettono di comprendere l'ingenuità di tanta parte della comunità ecclesiale, che usando in maniera acritica questo termine diviene concettualmente omogenea al processo di secolarizzazione dell'occidente. Si tratta di quel pericolo lucidamente intravisto da Pasolini, che parlava anche per la Chiesa di omologazione al potere, attraverso il passaggio dal paradosso cristiano all'ecumene dei valori. La riflessione su questa trasformazione per illuminare l'attuale cammino ecclesiale verso una nuova evangelizzazione, perché come ha scritto E. Cioran: "Le religioni muoiono per mancanza di paradossi".
(Oltrefiume, n. 10, dicembre 1992)
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