domenica 18 dicembre 2011

Benedetto XVI e l’ateismo contemporaneo. Oggi è indispensabile valorizzare chi anche fuori della Chiesa si mette in cerca della verità





L’annuncio del Dio vicino


Serafino M. Lanzetta,
Istituto teologico Immacolata Mediatrice (Cassino)



Dio, la questione più essenziale, oggi conosce un’incrinatura spaventosa. Il panorama socio-culturale che ci circonda non è dei più incoraggianti. Non c’è più un ateismo forte, che pur nella negazione, chiedeva un confronto con il mistero. Regna invece un grande indifferentismo. Dio, che poteva essere il non-ente, diventa invece il Dio-nulla: per molti, a Dio nulla corrisponde.

Si tratta di una conseguenza diretta del nichilismo, a cui si affianca in modo speculare il fondamentalismo, tragici esiti — come ebbe a dire il Papa nel messaggio per la Giornata mondiale della pace il 1° gennaio 2006 — dello «stravolgimento della piena verità di Dio», in quanto «il nichilismo ne nega l’esistenza e la provvidente presenza nella storia; il fondamentalismo ne sfigura il volto amorevole e misericordioso, sostituendo a Lui idoli fatti a propria immagine».

Già Giovanni Paolo II aveva detto nell’esortazione post-sinodale Christifideles laici che «l’indifferenza religiosa e la totale insignificanza pratica di Dio per i problemi anche gravi della vita non sono meno preoccupanti ed eversivi rispetto all’ateismo dichiarato» (n. 34).

La questione di Dio sembra essere diluita in un pragmatismo della non-curanza, in un lasciarsi vivere dal non-senso. Eppure, proprio in questo orizzonte che potrebbe apparire cupo, deve nuovamente prendere il largo la speranza cristiana: l’annuncio del Dio vicino, di Colui che si è fatto vedere. Quando non c’è Dio in questo mondo subentra la disperazione; quando finalmente lo si conosce nasce la speranza (cfr. Efesini, 2, 12 cit. nella Spe salvi, n. 2). Su questa scommessa davvero grande, sull’annuncio di Dio in questo mondo, Benedetto XVI ha radicato il suo ministero petrino.

Infatti, nonostante tutto, Dio rimane la questione essenziale, la «questione delle questioni», che «ci riporta alle domande di fondo dell’uomo, alle aspirazioni di verità, di felicità e di libertà insite nel suo cuore, che cercano una realizzazione», come il Papa ricordava alla recente plenaria del Pontificio Consiglio per i Laici (25 novembre 2011).

Benedetto XVI non indica alla Chiesa un programma d’azione. La Chiesa, ci ha detto, non ha un suo programma. Non è questo di cui c’è bisogno, ma unicamente di Dio: la sua ricerca, il desiderio di ciò che è veramente grande e per cui vale la pena vivere, la vita vera, la verità e l’amore. Solo dopo si può concepire una retta pastorale; solo partendo dalla verità e dalla sua contemplazione si può escogitare anche la via giusta per arrivare all’uomo.

È necessario anzitutto risvegliare la domanda di Dio nei cuori, che per Benedetto XVI significa affrontare unitamente anche l’altra questione, quella del vero Dio. La cogenza di Dio, l’imprescindibilità dal mistero, deve oggi condurci a far luce sul suo volto: chi è Dio? Per rispondere così anche alla domanda, eco di un sincretismo sempre crescente, ma ultimo risvolto dell’indifferentismo relativistico: quale Dio? Quale Dio se non il Dio vero, quel Dio che ha un cuore e che ha assunto un volto umano? Dio in Cristo, icona del Dio invisibile (cfr. Colossesi, 1, 15), è l’Unico riconoscibile, il quale mentre rivela se stesso nel Figlio fattosi carne, si nasconde agli sguardi profani di una vana curiosità: quel Gesù di Nazaret chiederà ai suoi interlocutori di partire dal lògos per credere in Lui, di avere fede in Dio e anche in Lui (cfr. Giovanni, 14, 1). Egli è il Figlio che dà la vita (cfr. Giovanni, 5, 21), il Mediatore che realizza l’unità tra ragione e amore, senso e vita. È il Lògos amore, svelato pienamente sulla Croce, che compie anche l’unità, in una purificazione trascendente, tra èros umano e agàpe divina. Ritornare a Dio, al Dio vero che si rivela nell’agàpe (una grande intuizione della Deus caritas est): questo è il compito della Chiesa, che non annuncia se stessa ma solo l’Altro. La Chiesa vive per un Altro e non per se stessa.

Cristo, dunque, è Colui che è disceso da Dio e vi è di nuovo risalito per mezzo della sua Croce. La sua via però va oltre la Croce. Gesù — diceva Benedetto XVI nell’Omelia per la domenica delle Palme del 2010 — «sa che la sua via strapperà il velo tra questo mondo e il mondo di Dio; che Egli salirà fino al trono di Dio e riconcilierà Dio e l’uomo nel suo corpo (...) perché nella sua passione Egli ha aperto il confine tra cielo e terra». In una «cordata» di comunione nel «noi» della Chiesa, nella quale è presente il «Tu» del Signore Crocifisso e Risorto, la nostra vita si riapre a Dio, il Dio vivente: «Nel “noi” della Chiesa entriamo in comunione col “Tu” di Gesù Cristo e raggiungiamo così la via verso Dio».

Ora, come fare perché gli uomini del nostro tempo possano ritornare al pensiero del vero Dio, a Colui che offre la verità su Dio e quindi sull’uomo, sulle cose della vita?

Il Pontefice ci dice che è necessario dapprima purificare il nostro concetto di Dio, e così ri-aprirsi alla verità del reale, alle cose vere. Bisogna cominciare da Dio. È con Lui o senza di Lui che cambia tutto. In questo ripartire da Dio-il Dio vero, Benedetto XVI ha escogitato un notevole piano: gli atei, quelli cioè che pur accostandosi a Dio come a uno sconosciuto, sono aperti alla verità, alla bontà, alla vera grandezza. Ecco perché ha voluto una sorta di “Cortile dei gentili”, un nuovo dialogo attraverso il quale «gli uomini possano in una qualche maniera agganciarsi a Dio, senza conoscerlo e prima che abbiano trovato l’accesso al suo mistero, al cui servizio sta la vita interna della Chiesa». Oggi è indispensabile valorizzare questa ricerca di Dio anche fuori della Chiesa. La ricerca della verità-una è sempre una ricerca di Dio.

Già sant’Agostino per provare che il Battesimo è sempre uno anche quando amministrato fuori della Chiesa, poneva l’argomento dell’unicità di Dio e della fede: «Noi constatiamo infatti che il medesimo Dio è adorato al di fuori della Chiesa da coloro che l’ignorano, ma non per questo egli non è Dio; anche la fede, per cui si crede che il Cristo è Figlio del Dio vivo, noi riscontriamo che la professano anche coloro che non fanno parte delle membra della Chiesa, ma non per questo la fede non è unica» (Contro Cresconio, 1, 28).

L’unico Dio è adorato anche da coloro che l’ignorano, o potremmo anche dire: Dio rimane l’anelito del cuore di tanti che vorrebbero adorarlo ma non vi riescono. Vorrebbero conoscere il suo volto e magari vivono un’oscurità di fede. Costoro hanno un ruolo importante, che Benedetto XVI ha indicato nello scorso raduno di Assisi come mediatore e purificatore nello scenario odierno, religiosamente policromo da un lato, e fortemente individualistico dall’altro. Questi (nuovi) atei hanno la forza di togliere a chi è mosso da un’ideologia le sue false certezze, mentre dicono ai credenti di non considerare Dio come una proprietà privata.

Questi atei possono aiutarci ad avvicinarci al vero Dio, a Colui che in fondo cercano nel loro sforzo sincero di apertura al trascendente. Ma Cresconio, grammatico donatista, avrebbe ancora obiettato ad Agostino «è impossibile che anche al di fuori della Chiesa si adori il medesimo, lo stesso, l’unico Dio o che si incontri anche presso coloro che sono al di fuori della Chiesa la stessa fede, che ci fa riconoscere nel Cristo il Figlio di Dio e per cui Pietro è stato chiamato beato». Sant’Agostino gli risponde: «Questo è ciò che mi resta da provare. Tu lo leggi nello stesso discorso del beato Paolo, che ho citato sopra dagli Atti degli Apostoli. Mentre parlava di Dio, poiché aveva trovato un altare con l’iscrizione Al Dio ignoto, disse loro: “Quello che voi adorate senza conoscere, io ve lo annunzio”. Gli ha forse detto: “Poiché lo adorate al di fuori della Chiesa, non è Dio colui che adorate”?».

La Chiesa oggi, in un modo quanto mai attuale, è al servizio di questo annuncio di salvezza.


(©L'Osservatore Romano 18 dicembre 2011)

Nessun commento:

Posta un commento