venerdì 31 maggio 2024

L’evoluzionismo non è una scienza




CULTURA | CR 1849


di Antonino Zichichi, 29 Maggio 2024 

Riportiamo un articolo del famoso scienziato italiano Antonino Zichichi apparso sul numero 184 (aprile-giugno 2024) della rivista Radici Cristiane.

Non esiste alcuna equazione che descriva la teoria dell’origine della vita e dell’Evoluzione Biologica della Specie Umana. Né esistono esperimenti riproducibili in laboratorio che possano essere usati come base matematica per dare credibilità scientifica alle teorie sulle origini della vita.

Una teoria, fino al momento in cui qualcuno non riesce a formularla in modo rigorosamente matematico, resta fuori dalla Scienza. È, pertanto, priva di fondamento scientifico la pretesa che l’origine della vita e l’Evoluzione Biologica della Specie Umana (EBSU) siano verità scientifiche.

Siamo dinanzi a teorie formulate usando le parole, non il linguaggio matematico fatto di formule. E non è tutto. Alla base di queste “parole” non ci sono risultati riproducibili e cioè esperimenti che siano al primo livello di credibilità scientifica come insegnano Archimede e Galilei.

La cultura dominante ha posto il tema dell’evoluzione biologica della specie umana sul piedistallo di una grande verità scientifica in contrasto totale con la Fede. Eppure, l’evoluzione biologica della specie umana non avrebbe mai portato l’uomo sulla Luna. Né a viaggiare con velocità supersoniche. Tanto meno a scoprire la Scienza. L’evoluzione biologica della specie umana ha fatto ben poco. Anzi, assolutamente nulla. L’uomo è esattamente com’era diecimila anni fa.

Gli evoluzionisti dicono che questo è ovvio e che loro hanno sempre detto e ripetuto che i tempi tipici dell’evoluzione umana sono milioni, diecine di milioni di anni. Gli evoluzionisti parlano come se un milione o dieci milioni di anni fossero il risultato di una previsione teorica legata a un’equazione. Se la teoria evoluzionista avesse basi scientifiche serie, essa dovrebbe essere in grado di predire il valore esatto dei tempi che caratterizzano l’evoluzione umana.

L’evoluzionismo pretende di essere scienza


L’evoluzione biologica della specie umana viene usata costantemente per mettere in discussione i valori trascendentali della nostra esistenza. L’atto mistificatorio sta nella presunta esistenza di prove rigorosamente scientifiche che sono lungi dall’essere presenti in questo settore tanto delicato quanto importante della nostra esistenza materiale. Per la cultura dominante è come se la Scienza avesse dimostrato in modo rigorosamente riproducibile che l’uomo discende dalla stessa specie animale che dette poi vita alle scimmie. Si fa assurgere la Teoria della Evoluzione Biologica della specie umana a capitolo fondamentale della Scienza e la si pone in contrasto con l’atto di Fede. Ritorniamo alla domanda fondamentale: come la mettiamo con il passaggio dalla materia inerte alla materia vivente? Problema che, io sostengo, deve essere studiato in modo rigorosamente scientifico. Che abbia ragione lo dimostra il fatto che ci sono, oggi, nel mondo centinaia di laboratori, alcuni dei quali addirittura segreti, in cui si studia “The problem of minimal life”; il problema detto “della vita minima”. Cosa vuol dire? È molto difficile studiare come si fa a passare dalla pietra alla rondine. Pietra e rondine sono realtà estremamente complicate. Passare dalla pietra al gatto, all’uccellino, a forme di vita meno complesse, come sono i moscerini e altri esseri viventi più piccoli è sempre troppo complicato. “The problem of minimal life” è il passaggio da un pezzettino molto piccolo di materia inerte al più semplice tipo di materia vivente. Il problema si riduce a studiare quanti pezzettini di piccolissime cose inerti dobbiamo avere per produrre l’esempio più semplice di cellula vivente. C’è qualcuno che lo sa fare? Nessuno. Ecco perché ci sono centinaia di laboratori che studiano il Secondo Big Bang, detto “The problem of minimal life”. Se l’evoluzionismo biologico fosse Scienza, questo problema sarebbe stato già risolto. E l’EBSU sarebbe Scienza Galileiana di primo livello. Invece alla base dell’EBSU ci sono soltanto “parole”. L’EBSU va messa a confronto con i tempi dell’evoluzionismo culturale. Quanti milioni di anni dovremmo aspettare affinché l’evoluzione biologica porti un’aquila a volare con velocità supersoniche? Un gattino a vedere la faccia nascosta della Luna?

E quanto tempo dovremmo aspettare prima che i nostri posteri possano studiare con altre forme di materia vivente – aquile e gatti – la Logica che regge l’Universo, dal cuore di un protone ai confini del Cosmo? L’evoluzionismo culturale batte quello biologico.

L’uomo non è un animale come gli altri


Gli evoluzionisti affermano di sapere che l’uomo è certamente un animale come tanti altri. Così non è. La specie animale cui noi apparteniamo è dotata di un privilegio unico: la Ragione. È grazie a questo privilegio che siamo riusciti a inventare la memoria collettiva (scrittura), a scoprire la logica rigorosa (matematica), e a scoprire che non siamo figli del caos ma di una struttura logica formidabile. Le cui basi sono: tre colonne e tre forze fondamentali.

Platone, Aristotele, Galilei non sono più con noi. È grazie alla invenzione della scrittura che possiamo sapere cosa pensavano i nostri antenati. I leoni, gli elefanti, le aquile, le scimmie, tanto citate dagli evoluzionisti, non hanno lasciato tracce di memoria collettiva. I leoni non hanno saputo scoprire il Teorema di Pitagora né se esiste il Supermondo.

Un argomento forte dell’evoluzionismo sono le caratteristiche comuni alle innumerevoli specie animali. Ce n’è una di gran lunga più importante. Essa è comune, non solo alle forme di materia vivente, ma anche a quelle di materia inerte. Questa radice comune l’abbiamo scoperta noi fisici. Una pietra, un albero, un’aquila, un uomo sono fatti con le stesse particelle: protoni, neutroni ed elettroni. Non per questo noi fisici traiamo la conclusione che pietre, alberi, aquile e uomo sono realtà identiche. La diversità della nostra specie è straordinariamente unica: nessuno la sa dedurre in modo rigoroso da principi fondamentali legati a equazioni e ad esperimenti riproducibili. Ecco perché nessuno si può arrogare il diritto di avere “scoperto la vera origine della nostra specie”. Nessuno che sappia cosa vuol dire Scienza oserebbe fare simili affermazioni.

C’è chi pretende di avere dimostrato che l’EBSU ha radici nel rigore scientifico. Se io usassi lo stesso rigore di cui parlano gli evoluzionisti, potrei dire che il Supermondo esiste. Infatti, di esso conosco le equazioni e con esse ho saputo scoprire un fenomeno nuovo (in sigla EGM: Evolution of Gaugino Masses) che permette di prevedere tanti dettagli molto importanti sulla struttura del Supermondo.

L’evoluzionismo e la scienza galileiana


Pur avendo elaborato la struttura matematica di questa nuova e formidabile ipotetica realtà, non posso dire se esiste il Supermondo in quanto manca all’appello la prova sperimentale di stampo galileiano. E Galilei insegna che non basta la matematica per sapere com’è fatto il mondo: ci vuole la prova sperimentale riproducibile. L’evoluzionismo biologico della specie umana non si basa su alcuna formulazione matematica, né su alcuna prova sperimentale di stampo galileiano. E Galilei insegna che dove non ci sono né formalismo matematico né risultati riproducibili, non c’è Scienza.

Gli evoluzionisti affermano – come detto in apertura – che l’EBSU è l’ultima frontiera della Scienza galileiana. Essi non sanno che ci sono problemi molto più semplici cui la Scienza galileiana non sa dare risposta. Ho già detto prima che sono impegnato da anni a cercare di dare una risposta certa a questo capitolo fondamentale della ricerca scientifica galileiana. Fintantoché non sappiamo rispondere a domande semplicissime com’è quella sulla esistenza del Supermondo solo i sostenitori della cultura pre-galileiana possono illudersi di avere capito “la vera origine della nostra specie”.

Se Galilei fosse con noi chiederebbe a questi studiosi di scrivere l’equazione in grado di sintetizzare in modo rigoroso questa “vera origine” e di dirgli quali sono i risultati sperimentali “riproducibili” che hanno corroborato la validità della vostra equazione. Ai sostenitori dell’evoluzionismo biologico della specie umana Galilei non farebbe altro che ribadire il suo insegnamento: senza equazioni ed esperimenti riproducibili non c’è Scienza. L’EBSU non è scienza di stampo galileiano esattamente in quanto è priva delle condizioni galileiane indispensabili affinché un’attività di ricerca possa essere qualificata col marchio della Scienza galileiana.

La Cultura Dominante ha fatto credere al grande pubblico che l’origine della vita e l’evoluzione biologica della specie umana siano verità scientifiche di stampo galileiano.
Precisiamo che le verità scientifiche di stampo galileiano hanno tre livelli di credibilità e che l’evoluzione biologica della specie umana è sempre stata ed è ancora oggi sotto il livello minimo di credibilità scientifica. Pretendere di avere capito un fenomeno che non riesce ancora a essere formulabile in termini di rigore logico-matematico tale da essere inserito al livello pur minimo (terzo) di credibilità scientifica ed estenderlo alla specie umana – come fanno i fanatici dell’evoluzionismo – è contro tutto ciò che la Scienza galileiana ci ha permesso di scoprire e capire. Galilei insegna che, fino a quando di equazioni non ce n’è nemmeno una, non si può parlare di Scienza. Infatti, se tutto è Scienza nulla è Scienza. Non è un dettaglio banale. Tanto è vero che ci sono voluti tremila anni, dai greci a Galilei, per arrivarci, e ancora oggi c’è chi non l’ha capito e insiste nel confondere le parole con le equazioni. Il dibattito scientifico in prossimità del Giubileo deve trattare temi legati alla vera grande Scienza non a settori della ricerca che ancora oggi non sono riusciti a superare il livello minimo di credibilità scientifica.








Bloccati in una scatola di follia suicida


Chiesa di San Giacomo a Foligno dell’archietto Massimiliano

Di Sabino Paciolla 31 Maggio 2024

Di seguito segnalo all’attenzione e alla riflessione dei lettori di questo blog l’articolo scritto da Randall Smith, pubblicato su The Catholic Thing. Visitate il sito e valutate liberamente le varie opzioni offerte e le eventuali richieste. Ecco l’articolo nella traduzione da me curata.



Randall Smith*

Ho letto che il Papa è stato intervistato da 60 Minutes. Ho avuto la reazione che probabilmente ha avuto la maggior parte delle persone: “Wow, ma quel programma va ancora in onda?”. Voglio dire, non vedo 60 Minutes da anni. Non guardo più la televisione di rete – chi la guarda? – ma è bello sapere che qualcuno cerca ancora di mantenere in vita queste vecchie tradizioni televisive. Temo però che sia una battaglia persa. È probabile che 60 Minutes diventi presto come Sexagesima Sunday. Le persone chiederanno: “Che cos’è?” e poi un programma di intelligenza artificiale racconterà loro una storia parzialmente vera.

Come la maggior parte delle persone, ho letto solo i titoli dell’intervista papale, non l’intervista stessa. (Quindi, deduco che il Papa abbia detto qualcosa sul fatto che le persone sono “bloccate in una scatola” nel passato, che non sono in grado di andare avanti e che questo è un suicidio. E ha parlato anche di “follia”. Tutto questo sembra essere stato controverso. Non sono sicuro del perché. Voglio dire, sono abbastanza sicuro di capire di cosa stia parlando.

Non siamo stati tutti colpiti da quelle persone che sono “bloccate nel passato” come se fosse ancora il 1965 o il 1972? Alcuni cattolici suonano ancora la stessa melodia sullo “spirito del Concilio”, invece di prestare attenzione a ciò che i documenti del Concilio Vaticano II effettivamente dicono. Ci sono ancora anziani boomers che strimpellano sulle loro chitarre i vecchi inni dei gesuiti di St. Louis degli anni ’70, pensando che sia “per i giovani”, quando “i giovani” non sono più interessati a questo tipo di musica da decenni – se mai lo sono stati. I giovani si inginocchiano sempre più spesso per ricevere la Comunione, imparando i canti gregoriani standard e gli inni di Thomas Tallis, Josquin des Pres e John Taverner.

Ci sono ancora leader ecclesiastici invecchiati che pensano che i progetti di chiese moderniste con pareti imbiancate e “chiese in tondo” siano “all’avanguardia”, anche se quello stile è passato di moda decenni fa, e le congregazioni optano sempre più spesso per chiese contemporanee che si rifanno allo stile classico, romanico o gotico. Verrebbe da dire: “Corbusier, Walter Gropius, Mies van der Rohe e Philip Johnson sono morti. Andate avanti. Non rimanete bloccati in quella scatola modernista – letteralmente.

E abbiamo ancora leader ecclesiastici che sembrano pensare che il modo per richiamare la gente alla Messa sia quello di renderla più “alla moda”, anche se “alla moda” non è un termine che nessuno usa più. Lo uso con i miei studenti solo quando voglio sembrare particolarmente nerd. Dico qualcosa come “Ehi, sono davvero alla moda”, che dimostra quanto io sia totalmente fuori dal mondo, e tutti ridono.

Per qualche motivo, questi reduci degli anni Sessanta sembrano pensare che togliere tutta la bellezza della Chiesa, della liturgia e dei paramenti renderà la Messa più “accessibile”. Tutto ciò che so è che sempre più congregazioni, specialmente quelle con giovani e famiglie, stanno optando per chiese più belle, liturgie più solenni e musica più tradizionale. Anche gli ordini religiosi che si sono ridedicati alle loro radici tradizionali stanno prosperando; quelli che le hanno abbandonate dopo il Concilio stanno morendo o sono morti.

Come si dice spesso, la definizione di follia è fare sempre la stessa cosa e aspettarsi risultati diversi. È quindi una follia pensare di poter continuare a fare ciò che non ha funzionato negli ultimi cinquant’anni e ottenere risultati migliori. Voglio dire, chi concluderebbe dal precipitoso calo della fede e della pratica cattolica a partire dagli anni ’70 che dovremmo permetterci di rimanere bloccati in quella scatola del passato per sempre? Chi concluderebbe dalla quasi estinzione della Chiesa in Europa occidentale, soprattutto in Germania, che dovremmo continuare su questa strada? Sarebbe una follia. È “suicida”.

Se un’azienda prova una strategia di marketing e la gente diminuisce, sarebbe una follia continuare. Se la gente trova i vecchi edifici di MacDonald’s brutti e poco invitanti, ne progetta di nuovi. Non si dice: “Questi sono gli edifici che abbiamo costruito negli anni ’70, quindi è quello che avrete!”. Se Bud Light fa uno spot che allontana i clienti, lo ritira. Non la riproducono in continuazione finché tutti non si stufano e smettono di odiarla, dopodiché alcuni bevono la birra nonostante la stupida pubblicità, dicendo “Sì, è terribile, ma ho smesso di preoccuparmene”, mentre altri decidono di non toccarla mai più.

No, le aziende si ricollegano ai principi fondamentali che ne hanno decretato il successo – principi che potrebbero aver perso di vista nella fretta di presentarsi sul mercato come “nuovi” e “rilevanti” e “all’avanguardia” (Ehi, questo transgender ci aiuterà a vendere la Bud Light!) – e poi capiscono come incarnare quei principi in un nuovo contesto, oppure muoiono.

In questo senso, potremmo prendere esempio da Charles Péguy che scrisse (parafrasando): “Non c’è niente di più interessante, più rilevante e più vivo di Omero, Platone, Dante e Milton. E non c’è niente di più morto, secco e spento del giornale di ieri”.

Così come non c’è nulla di più bello e vivo di un edificio tradizionale come la Cattedrale di Notre-Dame a Parigi. E non c’è niente di più noioso e datato di una chiesa modernista degli anni Settanta. Nessuno sborserà milioni di dollari per riparare le chiese moderniste se vengono danneggiate da un incendio, come è successo per Notre-Dame. Si rallegreranno dell’opportunità di liberarsi della bruttezza, di sgomberare il terreno e di costruire una chiesa in stile classico con una bellezza che durerà per generazioni.

Quindi, forse il Papa ha ragione. Non dovremmo rimanere bloccati in una scatola suicida di un passato superato, insistendo ostinatamente nel continuare a fare cose che per decenni hanno dimostrato di non funzionare e di allontanare le persone. Sarebbe una follia. Sarebbe un suicidio. Voglio dire, non ho letto l’intervista, ma è di questo che il Papa stava parlando, non è vero?





*Randall B. Smith is a Professor of Theology at the University of St. Thomas in Houston, Texas. His latest book is From Here to Eternity: Reflections on Death, Immortality, and the Resurrection of the Body.




“L’uomo e la sua natura”. Torna un classico del pensiero cattolico, contro positivismo e neo-modernismo




31 MAG 2024

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by Aldo Maria Valli

Ricevo dalle edizioni Radio Spada.

*

Con grande piacere presentiamo ai lettori il capolavoro di padre Angelo Zacchi O.P. L’uomo e la sua natura. Scritto dal celebre docente dell’Angelicum a inizio Novecento, questo libro eccellente ci guida alla scoperta della natura umana.

Non si ama Dio perché non lo si conosce; non si riesce neppure ad amare davvero l’uomo, perché non lo si conosce.

Ridotto a materia bruta dominata dagli istinti, illuso che seguire il proprio cuore (rectius: il ventre) sia la strada alla felicità, l’uomo è stato privato del suo orizzonte soprannaturale, innanzitutto in ambito sociale e politico dalla Rivoluzione, e poi in ambito ecclesiale dal golpe neo-modernista instauratosi con il Concilio Vaticano II.

E dopo? Il massimo della spiritualità concessa all’uomo del XXI secolo è paccottiglia paganeggiante new age che invita a secondare ogni pulsione, o fervorini soporiferi da amboni in plexiglas, più adatti a comizi liberali o ad assemblee di ONG.

Come stupirsi che, persa ogni bussola superiore, l’uomo abbia alfine perso anche la cognizione di sé stesso, essere razionale e libero, dotato di anima immortale? La natura, la libertà dell’uomo! Poche parole sono state così bistrattate negli ultimi decenni, e infine storpiate al punto da diventare irriconoscibili nel significato oggi comunemente inteso. Biologia e filosofia, darwinismo fuori tempo massimo e allucinazioni transumaniste si sono alleate nella sovversione, riducendo l’uomo contemporaneo a una scimmia semicolta con l’ansia e la connessione veloce.

Γνῶθι σεαυτόν – conosci te stesso – recita la retta sapienza naturale: a tale obiettivo guarda l’opera del padre Zacchi, un trattato completo ma sempre accessibile sulla natura umana.

Scriveva il provinciale romano dei domenicani, padre Silli, commemorando con stima e affetto nel 1952 il suo maestro: «Quale il motivo di questa lunga durata delle opere lasciateci dal padre Zacchi, specialmente in un’epoca come la nostra amante di novità? Penso che siano principalmente due: la sua chiarezza e la sua freschezza. Il padre Zacchi, nel suo insegnamento e nei suoi vari scritti, ha rispecchiato quello che forma la gloria di san Tommaso d’Aquino: stylus brevis, grata facundia, celsa, clara, firma sententia. […] Egli ebbe modo […] di opporsi al positivismo e al modernismo che in quegli anni imperavano e all’idealismo che prendeva piede, non con irruenza, ma con amabilità».

Ciò che in campo scientifico può risultare (parzialmente) datato in quest’opera è ampiamente compensato dall’impressionante attualità dei problemi, delle obiezioni e delle argomentazioni svolte in un botta e risposta dell’autore con filosofi e studiosi dell’età moderna e della contemporaneità, a conferma che gli errori di oggi sono vecchi senza essere antichi. Il tutto è affrontato dal padre Zacchi con uno stile brillante, immaginifico, appassionato.

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Padre Angelo Zacchi, L’uomo e la sua natura, edizioni Radio Spada, pagine 406, euro 26




giovedì 30 maggio 2024

SONO I NUMERI CHE INDICANO L’ISLAMIZZAZIONE



Non so se stiamo esagerando negli allarmi per gli episodi di Torino e Treviso, fatto sta che il sermone tenuto dall’imam musulmano nell’Università di Torino occupata da studenti anti-israeliani e l’esenzione dalle lezioni di letteratura italiana concessa da una scuola di Treviso a studenti che si sentivano “offesi” dalla Divina Commedia di Dante “indicano un fenomeno di islamizzazione che sta prima di tutto nei numeri, vista la forte immigrazione e il crollo demografico europeo, a questo si aggiunge una secolarizzazione radicale che prelude al crollo della nostra civiltà”. 

(Eugenio Capozzi, “Euro-islam, è la demografia a condannarci”, 27.5.24, LaNuovaBussola Quotidiana)…





Maggio 29, 2024 editoriale


DOMENICO BONVEGNA

Tuttavia questi ultimi episodi rappresentano una costante sudditanza culturale e psicologica delle istituzioni culturali e formative italiane verso pretese, incompatibili con i principi fondanti della società liberale occidentale, provenienti da segmenti delle minoranze islamiche presenti nel nostro paese. Pertanto secondo il professore Capozzi, è troppo facile indignarsi, ogni volta che si verificano episodi del genere, ma si potrebbero fare altri esempi oltre a quelli di Torino e Treviso. 

Ma come vengono commentati questi fatti dai vari benpensanti moderati che non si riconoscono in quel progressismo sinistro, politicamente corretto. Giustamente si indignano perchè registrano un comportamento che rasenta il masochismo tra i progressisti. Infatti, esiste un ossequio dell’ideologia “diversitaria”, e del politically correct un senso di colpa occidentale verso qualsiasi cultura identificata come “vittima” e di presunte discriminazioni – nei confronti di atteggiamenti, idee, prese di posizione, costumi, atti che sarebbero inflessibilmente condannati se i loro autori fossero connazionali autoctoni, o comunque non membri delle minoranze dichiarate a prescindere “giuste”. 

Inoltre, si sottolinea “i due pesi e le due misure adottati dalla cultura mainstream progressista rispetto al rapporto tra religione e vita civile: aggressiva e petulante intransigenza laicista contro ogni pretesa invasione “clericale” del cattolicesimo, e all’inverso “tappeto rosso” a riti, culti, interdizioni islamiche in ogni sede (per sintetizzare: presepe no, vacanze per il Ramadan sì)”. 

Infine, un’altra osservazione che si fa, abbastanza imbarazzante, si evidenzia, “come la irrefrenabile pulsione alla “sottomissione” houellebecquiana del progressismo italiano (e occidentale) all’islam raggiunga vette di nonsense e di corto circuito logico quando, come abbiamo visto negli ultimi mesi nelle dimostrazioni “pro-pal” negli atenei e fuori, le frange della sinistra più woke, “transfemministe” e pro-Lgbt+, convergono con la piattaforma di movimenti fondamentalisti islamici che professano le visioni più “patriarcali” e oscurantiste sui diritti delle donne e delle minoranze “di genere”, e che dovunque ne abbiano il potere praticano nei confronti di entrambe oppressione e violenza brutale”. 

Tutte considerazioni vere e fondate, purtroppo, in coloro che evidenziano queste considerazioni, si nota spesso una certa dose di confusione o velleitarismo in merito alle risposte che sarebbe opportuno dare ai fenomeni in oggetto. I commenti sono comprensibilmente amareggiati e scandalizzati e anche giusta l’accorata richiesta alle istituzioni statuali di riaffermare il rispetto dei principi costituzionali e la parità di condizione di tutti i cittadini imponendo alla minoranza musulmana il rispetto di esse. 

Ma in questi appelli, certamente condivisibili in linea di principio, si denota: 
1° “una mancanza di chiarezza di fondo sul punto effettivo della questione in gioco, e una fiducia ingenua nella possibilità di ricondurre i conflitti che si manifestano nella convivenza in una società multiculturale all’interno di uno schema interculturale di astratta equivalenza tra diversi valori all’interno di ordinamenti fondati sul predominio della laicità, sul modello francese postrivoluzionario”. Inoltre rivela, scrive Capozzi, 
2° “una altrettanto ingenua fiducia nella capacità della civiltà occidentale di affermare la priorità delle sue radici profonde rispetto a gruppi – come quelli fondamentalisti islamici – che le negano e contraddicono”.

Tuttavia la realtà che stiamo vivendo è molto diversa da entrambe queste mozioni astratte. Essa, infatti, ci dice che la crescente arrendevolezza della nostra società – e delle altre società europee – all’influenza dell’islam, nella sua forma più radicale, consegue innanzitutto da un mero fattore quantitativo: “la percentuale di immigrati musulmani nelle popolazioni del vecchio continente va aumentando, e corrispondentemente aumenta la loro rilevanza sociale, culturale e politica”. 

Mentre, “Il drammatico crollo del tasso di fertilità in Europa, e dall’altro lato il continuo afflusso degli immigrati extraeuropei nel continente – tra cui quelli da paesi a maggioranza islamica gioca un ruolo preminente – nonché la maggiore propensione di questi ultimi a generare prole, faranno inevitabilmente sì, a meno di una clamorosa inversione di tendenza, che entro pochi decenni le proporzioni tra residenti autoctoni ed eteroctoni si rovescino, facendo diventare realtà lo scenario dell’”Eurabia” (o sarebbe meglio dire “Euro-islam”) prefigurato più di un ventennio fa da Oriana Fallaci”. Qualche studio di demografia ipotizza che entro la fine del secolo gli abitanti del continente sarà di religione musulmana. In certi Paesi o aree metropolitane lo scenario si è già realizzato.

A tale scenario, già di per sé eloquente, bisogna aggiungere che la popolazione europea autoctona sta abbandonando a ritmi sempre più accelerati l’adesione alla fede cristiana che ne fonda la civiltà e dalla quale originano i principi di diritto e dignità dell’uomo contenuti negli ordinamenti liberali e democratici. Stiamo “sprofondando in un indistinto relativismo post-cristiano sensibile a ogni suggestione para-religiosa neo-pagana sostitutiva, e incapace di reggere il confronto con la compattezza dell’islam”. Capozzi ci ricorda che “nessuna civiltà sopravvive senza un fondamento etico-religioso comunemente condiviso. La forza aggregativa delle comunità aborrisce il vuoto, e la secolarizzazione radicale non può che essere uno stadio transitorio tra il ripiegamento di una civiltà su se stessa e il suo collasso, sostituita da un’altra”.

Comunque sia, uno scenario così disastroso, potrebbe essere scongiurato soltanto dalla convergenza fra tre fattori: “un “risveglio” religioso cristiano di massa, comportante un recupero integrale del patrimonio culturale ed etico-politico dell’umanesimo cristiano; una imponente ripresa demografica tra le popolazioni autoctone; una severa regolamentazione dell’immigrazione indirizzata non solo a combattere inflessibilmente, senza pietismi, quella illegale, ma anche a favorire l’afflusso da paesi e comunità a maggioranza cristiana piuttosto che islamica o di altre religioni”. Ma allo stato attuale la probabilità della realizzazione di tutti e tre i fattori sembra molto poco realistica, e anzi si può prevedere facilmente una eventuale tendenza a peggiorare su tutti i fronti.








L’aridità spirituale



Noi, inariditi nell’anima
Bisogna stendere la mano verso Gesù, affinché Egli vivifichi le nostre attività, ed affinché in Lui solo possiamo operare soprannaturalmente. A volte potremmo avere nello spirito anche una prosperità apparente che sembra fecondità, ed è invece aridità, come possiamo avere un’aridità che è prosperità. Se tu pianti un arbusto e lo innaffi continuamente, esso cresce, fa foglie, ma non fiorisce né fa frutti perché non affonda le sue radici nel terreno. Se invece lo innaffi ogni tanto, esso, inaridito alla superficie, affonda le radici per cercare il nutrimento, si corrobora, fiorisce e fruttifica; tende, per così dire, la mano non all’aria, nell’esuberanza delle foglie, ma la tende alla vita nell’esuberanza delle radici: è un fenomeno di agricoltura conosciutissimo.
Quante volte Dio c’inaridisce alla superficie per costringerci a tendere la mano a Gesù; quante volte nell’angustia di una siccità l’anima tende il cuore a Gesù, affonda in Lui, le sue radici, s’irrobustisce e fruttifica! Non siamo presuntuosi nel giudicare le vie di Dio, e non siamo così stolti da credere che in esse sia vita quel che a noi sembra vita. La pianta ha bisogno anche dell’aridità, della potatura, del concime e, a volte, dev’essere tutta troncata fin al di sopra delle radici, per poter riprendere la sua vita.
L’aridità spirituale che ci affligge, ma in mezzo alla quale viviamo col desiderio di fiorire e di amare, non è segno di morte ma di vita maggiore, che in noi si forma nelle profondità dell’umiltà. Il fervore cui aneliamo spesso è fogliame, è soddisfazione della natura, è vanità spirituale, nascosta tra le pieghe dell’amore, per così dire, come un bruco tra le foglie accartocciate. Persuadiamoci che la via della virtù vera e del vero amore è arida e seminata di spine, e sappiamo volgerci a Gesù in queste angustie tendendo a Lui la mano nella preghiera perché Egli ci faccia trarre profitto dalla prova, e ci doni una novella vita.



Fonte web


mercoledì 29 maggio 2024

Futuro desolante per la vecchia, grigia, sinistra cattolica





di John Horvat

Le forze di sinistra e progressiste si presentano sempre come l'onda del futuro. In effetti, le radici hegeliane del marxismo postulano la storia come un processo di scontro tra classi che inevitabilmente si evolve in avanti. Anche la sinistra cattolica inquadra la sua teologia della liberazione e programmi simili in questi termini.

La teoria marxista è molto chiara sull'avanzamento della storia. Tuttavia, non dice cosa succede quando il processo improvvisamente si ferma e ristagna. Cosa succede quando nessuno vuole liberare o essere liberato?

Molti anziani cattolici di sinistra in tutto il mondo si chiedono cosa stia succedendo alla loro rivoluzione. La vecchia guardia degli anni sessanta presidia ancora le trincee, ma poche reclute stanno entrando nei ranghi. I militanti di sinistra riferiscono che le loro riunioni e gli eventi sono dominati dai "capelli bianchi".

Frei Betto sta diventando vecchio

Un esempio espressivo è un recente articolo del teologo e politico brasiliano di sinistra Frei (Frate) Betto. Il frate domenicano era in prima linea nella scena della teologia della liberazione quando questa era popolare. Amico di Fidel Castro, Hugo Chávez e altre icone tramontate della sinistra, si ritrova sempre più solo e sempre più vecchio.

In un franco articolo per il gesuita Instituto Humanitas Unisinos, l'anziano rivoluzionario, che presto compirà 80 anni, racconta di aver partecipato di recente al 12° Incontro Nazionale di Fede e Politica con duemila persone di sinistra a Belo Horizonte, in Brasile. E lì che ha notato che quasi tutti avevano i capelli bianchi o grigi.

Il popolare oratore dice di trovare scene simili in tutto il Brasile. Si lamenta del fatto che le manifestazioni e le proteste della sinistra cattolica ora uniscono numeri inespressivi con capelli tendenti a imbianchire. La sinistra politica brasiliana, fortemente allineata con quella cattolica, ha difficoltà a mettere in campo candidati giovani e spesso ricorre a far uscire dalla pensione figure anziane per concorrere nelle elezioni.

Difatti, la sinistra cattolica sta diventando vecchia e grigia. Nessuno sostituisce i ranghi. "I nostri capelli bianchi sono un segno dell'inverno che sta arrivando", osserva un desolato Frei Betto.

Lamentando la caduta del Muro di Berlino


L’irriducibile frate marxista, che già è stato ministro nei gabinetti di Lula da Silva, fa risalire la causa di questo declino alla caduta del Muro di Berlino, che egli deplora come un evento che "ha infranto le nostre speranze di un mondo in cui tutti avrebbero avuto un'esistenza dignitosa".

Frei Betto ritiene che questo scardinamento delle certezze, causato dalla caduta dei regimi comunisti oppressivi, sia responsabile dell'assottigliamento delle fila della sinistra. Tuttavia, riconosce anche alla destra una nuova energia e un nuovo dinamismo. Tutto è cambiato, sostiene. "La destra è come una marea montante che minaccia di affogare quello di democrazia liberale che c’è rimasto".

Cosa è stato sbagliato a sinistra


Frei Betto imputa la crisi all'incapacità della sinistra di adattarsi e di essere rilevante in un mondo postmoderno. Si è lasciata coinvolgere in inutili giochi di potere. "Non abbiamo cresciuto nuovi militanti per paura che si distinguessero e occupassero le nostre posizioni di potere", dice a proposito dell’auto-compiacenza e degli intrighi del movimento.

La sinistra ha anche perso il contatto con i poveri, abbandonando le favelas (baraccopoli), le aree rurali povere e le reti di quartiere. Il movimento tende a ridursi a incontri di alto profilo piuttosto che a trattare con le persone comuni. Il messaggio della sinistra è chiaramente esaurito, con ben poco di nuovo da offrire.

Reclami sul diritto


Tuttavia, Frei Betto ritiene che l'ascesa della destra religiosa sia la causa principale della crisi della sinistra cattolica. Una simile dichiarazione potrebbe sorprendere i cattolici più tradizionali, che da tempo si considerano superati e isolati dall'establishment ecclesiale liberale. La sinistra cattolica ha goduto di un sostegno finanziario e mediatico schiacciante nel corso dei decenni.

Nonostante tutti gli svantaggi, la destra religiosa sta vincendo grazie all'attrazione del suo messaggio. Più i fedeli sono fedeli al loro messaggio evangelico tradizionale, maggiore è la loro influenza nella società.

Frei Betto lamenta l'incapacità della sinistra cattolica di reagire a quello che chiama sprezzantemente "fondamentalismo religioso", che "mobilita le folle" e "riempie le urne". Secondo lui, il messaggio della destra mina la lotta di classe insegnando un messaggio che armonizza "le disuguaglianze sociali e le contraddizioni di classe". Sottolinea che per essa tutto si riduce a una disputa tra Dio e il diavolo".

Concentrandosi sul peccato, la prospettiva "fondamentalista" elimina gli ostacoli alla prosperità e quindi "autorizza e favorisce il dominio" o le odiate soluzioni del libero mercato ai problemi economici. Il frate radicale denuncia inoltre la "cancellazione di tutti coloro che non abbracciano la 'morale e i buoni costumi' di coloro che gridano contro l'aborto".

Il messaggio della destra religiosa è potente e il frate si lamenta del fatto che i suoi membri "monopolizzano le trincee digitali" dove la sinistra deve ancora imparare ad agire.

Naturalmente, per tutti i progressisti c'è sempre l’orizzonte di una nuova primavera e la necessità di "reinventare il futuro". Tuttavia, questa volta le possibilità non sono promettenti, i germogli non spuntano.

Il dissolvimento delle icone della sinistra in ogni luogo

La pessimistica analisi di Frei Betto sullo stato della sinistra cattolica è condivisa dal suo compagno di liberazione, l'ex frate Leonardo Boff (85 anni), che parla di un "preoccupante arretramento della base popolare" e di una mancanza d’impegno. Sostiene che "la maggioranza delle persone, purtroppo i giovani, non sono incoraggiati a impegnarsi socialmente o politicamente in alcun movimento di proiezione o trasformazione".

Il malessere non è limitato al Brasile, il più grande Paese cattolico del mondo. Simili segni di invecchiamento e declino si stanno verificando ovunque nella sinistra cattolica. Il peruviano padre Gustavo Gutiérrez, fondatore della teologia della liberazione, compirà 96 anni a giugno.

Anche tutte le icone della sinistra cattolica statunitense stanno invecchiando. L'attivista benedettina suor Joan Chittister ha 88 anni. L'attivista LGBTQ suor Jeannine Gramick (82 anni); sono suore che sull'autobus hanno gli sconti per gli anziani. Nessuna figura giovane prende il loro posto.

Dove dominano i capelli scuri


L'Associated Press ha appena pubblicato un lungo articolo pubblicato ovunque (anche sul National Catholic Reporter, un giornale progressista di sinistra). Il titolo dice tutto: "Un passo indietro nel tempo: la Chiesa cattolica americana vede un immenso spostamento verso le vecchie abitudini".

L'autore Tim Sullivan racconta di come molti cattolici siano stanchi del programma progressista che pende a sinistra. Le cose stanno cambiando: musica, sermoni e liturgia. La gente vuole parlare di peccato, confessione e aborto. I sacerdoti indossano la tonaca e promuovono il canto gregoriano. Questo generale ritorno alle vecchie usanze si sta diffondendo in parrocchie di ogni tipo e dimensione e sta gradualmente cambiando la mappa cattolica americano.

Soprattutto, la marcia verso la tradizione è spinta da giovani e famiglie in cerca di stabilità e santificazione. I ministeri dei campus universitari registrano improvvisamente conversioni record. I capelli scuri dominano. Papa Francesco la definisce "indietrista", ma questa tendenza tradizionale è piena di entusiasmo e di speranza per il futuro.

Mentre i vecchi preti brizzolati degli anni Sessanta muoiono, i giovani preti, zelanti per la tradizione, prendono il loro posto.

Non esiste una spiegazione umana per questo movimento verso la tradizione. Non esiste un'organizzazione formale che orienti la tendenza su tale scala. È un fenomeno dinamico e controculturale. Tutte le forze e le tendenze culturali e religiose degli anni Sessanta vanno nella direzione opposta. I giovani chiedono il ritorno a cose che sono precedenti alla loro nascita.

È questo il frutto della grazia?


In effetti, impulsi come questi suggeriscono qualcosa che va oltre il naturale. Sono il frutto dell'anelito verso il sublime, il metafisico e il sacro scartati, contrariamente al mondo postmoderno che lascia tutto sterile, senza direzione e senza senso.

Nel corso della storia, movimenti improbabili come questi sono apparsi come frutti della grazia di Dio che opera nelle anime e in intere nazioni. È possibile che questa grazia stia suscitando in innumerevoli anime desideri ardenti di amore per Dio. Quando le persone corrispondono a queste grazie, le meraviglie della storia si compiono di fronte a ostacoli insormontabili.

In effetti, una nuova primavera potrebbe essere in arrivo. Ma non nascerà dalle lande desolate della sinistra, bensì dal Cuore Immacolato di Maria.



Fonte: Tfp.org, 17 Maggio 2024. Traduzione a cura di Tradizione Famiglia Proprietà – Italia.

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martedì 28 maggio 2024

Senza Dio è possibile difendere la vita umana? Prima parte



Un eccellente saggio breve di Andrea Mondinelli, che ringraziamo. Lo studio è diviso in due parti. In questa prima parte si mostra come ritenendo che per difendere la vita sia sufficiente la ragione umana (etsi Deus non daretur) si finisca poi sulle posizioni di Peter Singer secondo il quale ““Uccidere un neonato con malformazioni non è moralmente equivalente a uccidere una persona. E molto spesso non è per niente sbagliato”.




Di Andrea Mondinelli, 28 MAG 2024

All’interno del mondo pro-life si è consolidata, quasi come un mantra, la frase: “Per difendere la vita umana è sufficiente la ragione umana” (etsi Deus non daretur) e che i diritti umani siano sufficienti allo scopo.

Partiamo dalla realtà in cui siamo immersi: l’aborto è legale in tutti i Paesi in cui vige la democrazia in senso liberale e che si riconoscono nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, che l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite approvò e proclamò il 10 dicembre 1948. In particolare, nell’articolo 3 si dichiara che “Ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà ed alla sicurezza della propria persona”. Come è possibile, allora, il paradosso del diritto all’aborto? È un diritto insensato o ha una sua logica? Dipende dalla risposta alle seguenti decisive domande:L’embrione ed il feto sono esseri umani?
Sono individui umani, ma non titolari di alcun diritto?

Tralasciando le posizioni più estremiste, i maître à penser dell’aborto procurato ammettono senza alcun problema che il feto e l’embrione sono esseri umani. Ne cito tre rappresentativi dei loro settori di studio:

“Su quando scocca la scintilla della vita nei primati, e specificamente nell’uomo (saltiamo, per brevità, tutte le altre vite), la risposta è oramai sicura: comincia nell’attimo della fecondazione, della congiunzione dello spermatozoo maschile con un gamete femminile (tratto da “La vita umana” 28/02/05 Corriere di Giovanni Sartori[1]).

“La questione non è se il concepito è vita o se il concepito è un essere umano; certamente è vita e indubitabilmente appartiene alla specie Homo sapiens (tratto da ‘L’embrione e la scala cromatica’ pubblicato sul numero 6 di Darwin III-IV / 2005 Chiara Lalli[2]).

“Non c’è dubbio che la vita di un organismo specifico – ranocchio, gatto o uomo – inizia con la fecondazione, cioè con la congiunzione di un gamete maschile, lo spermatozoo, e uno femminile, la cellula-uovo o ovocita maturo (tratto da “Embrioni. Non esiste l’ora X” di Edoardo Boncinelli[3], Corriere 26.1.2005).

Problema risolto? Per nulla! Appartenere alla specie umana non dà alcuna sicurezza e protezione.

Eccone i motivi secondo i tre intellettuali:

“Diciamo, allora, che la vita umana comincia a diventare diversa, radicalmente diversa da quella di ogni altro animale superiore quando comincia a «rendersi conto». Non certo da quando sta ancora nell’utero della madre (tratto da “La vita umana” di Giovanni Sartori 28/02/05 Corriere).

“Questo è il cosiddetto problema della soglia: individuare quando una pre-persona[4] diventa persona. […] I requisiti minimi per essere una persona sono la presenza di stati mentali coscienti e di una pur rudimentale capacità di autocoscienza, cioè la possibilità di percepirsi come soggetti di esperienza cosciente. È abbastanza inverosimile attribuire all’embrione – sebbene umano e geneticamente irripetibile, e sebbene potenzialmente personale – queste caratteristiche; quindi, non è ammissibile considerarlo come una persona attuale e come titolare di pieni diritti (tratto da ‘L’embrione e la scala cromatica’ Pubblicato sul numero 6 di Darwin III-IV / 2005 Chiara Lalli Filosofa).

“Quando è che un embrione diventa persona e come tale gode dei diritti scritti e non scritti spettanti ad una persona? […] Dal punto di vista biologico non c’è in sostanza nessuna discontinuità dal concepimento alla nascita e oltre. Questo non significa che non si possano porre degli spartiacque, come quando si è deciso che a 18 anni una persona è maggiorenne. Non succede niente di particolare a 18 anni, ma la convenzione umana ha fissato questo limite e a volte lo ha anche cambiato. Una convenzione, appunto. Non possiamo chiedere alla natura o alla scienza di cavare le castagne dal fuoco al posto nostro. Occorre prenderci le nostre responsabilità e fissare dei limiti, che non potranno che avere una componente di convenzionalità. D’altra parte è una scelta che spetta all’uomo in un’autentica prospettiva umanistica” (tratto da “Embrioni Non esiste l’ora X” di Edoardo Boncinelli, Corriere).

La questione si ingarbuglia perché i rappresentanti della posizione abortista, invece di accettare la realtà dei fatti, introducono un artificio devastante: la fittizia distinzione tra esseri umani titolari di diritti (definiamoli pure persone) ed esseri umani che ne sono privi (non persone) [5]. Quando, però, si tratta di definire quali siano queste proprietà distintive per ottenerne lo statuto non riescono a proporre niente altro che una convenzione, ossia introducono grandezze quantitative come la capacità di autocoscienza, che devono essere in qualche modo misurabili. La storia è zeppa di tentativi siffatti.

Illuminanti le parole del Cardinale Caffarra: “Il solo fatto di essere uomini è stato progressivamente considerato titolo necessario e sufficiente per meritare di essere trattati non come mezzi, ma come fine. Quando si richiede un titolo ulteriore, è perché qualcuno ha già deciso prima che esistono uomini che non meritano un rispetto assoluto. La distinzione fra individuo e persona è spesso usata per giustificare semplicemente l’uso di embrioni, anche tale da portare alla loro morte. […] L’affermazione pura e semplice dell’umanità di ogni individuo umano, come base sufficiente della dignità di fine propria di ogni individuo è l’affermazione su cui di gioca il futuro della nostra civiltà umana” [6].

Pare, però, che la sola umanità di un individuo possa segnarne la condanna, piuttosto che la sua salvezza. Così la pensava una grande filosofa del ‘900, Hanna Arendt che nel suo capolavoro dal titolo emblematico “Le origini del totalitarismo”, scrisse:

“La concezione dei diritti umani è naufragata nel momento in cui sono comparsi individui che avevano perso tutte le altre qualità e relazioni specifiche, tranne la loro qualità umana. […] I superstiti dei campi di sterminio, gli internati dei campi di concentramento e gli apolidi hanno potuto rendersi conto che l’astratta nudità dell’essere-nient’altro-che-uomo era il loro massimo pericolo”.

Prosegue la Arendt:

“Il loro distacco dal mondo, la loro estraneità sono come un invito all’omicidio, in quanto che la morte di uomini esclusi da ogni rapporto di natura giuridica, sociale e politica, rimane priva di qualsiasi conseguenza per i sopravviventi. Se li si uccide, è come se a nessuno fosse causato un torto o una sofferenza”.

Sembra proprio che la Arendt abbia ragione anche nelle questioni bioetiche. In merito, vediamo un po’ la posizione di due pezzi da novanta della bioetica mondiale. Partiamo da Peter Singer: il magazine “Time” lo ha consacrato nel pantheon dei quindici pensatori più importanti al mondo. Singer parte molto bene, criticando il trio Sartori-Lalli-Boncinelli:“C’è qualcosa di assurdo in tutti i tentativi di definire il momento preciso in cui viene al mondo un nuovo essere umano. L’assurdità sta nel fatto che si pretende di imporre una precisa linea divisoria a un processo caratterizzato dall’assoluta gradualità”.

Tuttavia, questo riconoscimento non implica, a giudizio di Singer, il dovere di tributare rispetto ad ogni vita fin dal suo primo apparire, ma piuttosto impone di modificare il metodo argomentativo della bioetica abortista per renderla più efficace. Secondo gli antiabortisti, riconosciuto che è moralmente inaccettabile sopprimere una vita umana innocente (premessa maggiore) e che il feto ha vita umana (premessa minore) ne conseguirebbe, necessariamente che la soppressione del feto è moralmente inaccettabile. Per combattere gli antiabortisti, sempre a giudizio di Singer, va piuttosto attaccata la prima premessa, chiedendosi : “Perché è moralmente sbagliato sopprimere una vita umana ?…che cosa c’è di così speciale nel fatto che una vita sia umana?”. Ecco, in sintesi, il ragionamento di Singer: “È peggio uccidere un essere umano che uccidere, diciamo, un pollo?”. A meno che non siate vegetariani, direte certamente di sì, che è peggio uccidere un essere umano. […] Ma perché? A meno che non ci si rifugi negli insegnamenti religiosi, che non tutti condividono, la risposta deve essere a causa di una certa differenza fra gli umani e gli animali. La differenza, tuttavia, non può essere il semplice fatto che noi apparteniamo a una specie e i polli, ad esempio, a un’altra. Pensare che solo la mera appartenenza a una specie possa fare una differenza tanto cruciale sarebbe una sorta di razzismo di specie, in breve, uno specismo. […] Per darci una ragione di credere che sia molto peggio uccidere esseri umani piuttosto che esseri di altre specie, queste capacità devono andare oltre, e devono includere non solo la coscienza, ma l’autocoscienza o, possibilmente, la capacità di fare progetti per il futuro. […] A questo punto, però, risulterà ovvio che mentre gli umani tipici possiedono queste capacità, e le possiedono a un livello che un animale non umano non ha, alcuni umani non le possiedono. I neonati, ad esempio, non le hanno. […] Per questo motivo io e la mia collega, Helga Kuhse, abbiamo proposto di concedere un intervallo di 28 giorni dopo la nascita, durante il quale i genitori, assieme ai dottori, devono decidere con discrezione sulla vita e la morte del neonato” [7].

Lo scopo della sua perorazione dell’infanticidio in alcuni casi, però, non è porre fine alle sofferenze di un neonato sofferente: come precisa ripetutamente Singer stesso, in molti dei casi in cui è favorevole all’infanticidio, non sono impliciti dolori o sofferenze fisiche di alcun genere. Il suo motivo dichiarato, piuttosto, è che questi bambini avrebbero scarse prospettive di poter godere di quella che definisce una “qualità della vita” adeguata e permettere loro di vivere priverebbe di risorse i bambini che Singer definisce “normali”. Infatti:“Uccidere un neonato con malformazioni non è moralmente equivalente a uccidere una persona. E molto spesso non è per niente sbagliato” [Etica pratica pag. 140 ed. italiana]“Supponiamo che ad una donna che pianifica di avere due figli nascano un bambino normale e successivamente un bambino emofiliaco. La difficoltà di occuparsi di questo bambino può renderle impossibile avere un terzo figlio; ma se il bambino disabile dovesse morire, potrebbe partorirne un altro… Quando la morte di un neonato disabile permette la nascita di un altro bambino con migliori prospettive di una vita felice, la quantità complessiva di felicità sarà maggiore se il bambino disabile verrà ucciso. La perdita di una vita felice da parte del primo bambino è superata dal guadagno di una vita più felice da parte del secondo. Di conseguenza, se uccidere il bambino emofiliaco non ha conseguenze negative per altri, da un punto di vista complessivo, sarebbe giusto ucciderlo” [Etica pratica].

Hanna Arendt aveva proprio ragione: “Il loro distacco dal mondo, la loro estraneità sono come un invito all’omicidio”. Infatti, tra il “si può uccidere il neonato con malformazioni” ed il “si deve” il passo è breve. Infatti, Singer lo compie senza problemi: “Noi pensiamo che alcuni bambini con gravi disabilità dovrebbero essere uccisi” [“Should the Baby Live?”].

Proseguiamo l’excursus con un altro “pezzo da 90” della bioetica anglosassone, Julian Savulescu[8] :“Ammetto come vero l’argomento che l’embrione è una persona. Comunque, ucciderlo può essere giustificato. Se uccidere una persona è giustificata dipende da: 1. se persone innocenti che rischiano di essere uccise a causa della ricerca sulle cellule ES (Staminali Embrionali ndr) possono anche ottenere benefici dalla ricerca e 2. se le loro chance totali di vita sono maggiori in un mondo in cui si effettuano l’omicidio e la ricerca sulle cellule ES . Chiamerò questo tipo di uccisione “tendente a ridurre il rischio” [9].

Persone innocenti, gli embrioni i feti ed i neonati lo sono per eccellenza, sacrificati in nome dell’utilità sociale! Icastica la frase di Friedrich Nietzsche: “L’individuo è stato ritenuto dal cristianesimo così importante, posto in modo così assoluto, che non lo si poté più sacrificare. Ma la specie sussiste solo grazie a sacrifici umani. La vera filantropia vuole il sacrificio per il bene della specie – è dura, è piena di auto superamento, perché ha bisogno del sacrificio dell’uomo. In questo pseudo umanesimo che si chiama cristianesimo si vuole giungere appunto a far sì che nessuno venga sacrificato” [10].

Ancora la Arendt, nel descrivere il totalitarismo, offre una spiegazione molto convincente:

“L’identificazione del diritto con l’utile diventa inevitabile una volta svanita l’autorità dei criteri assoluti e trascendenti della religione o del diritto naturale. […] È perfettamente concepibile, e in pratica politicamente possibile, che un bel giorno un’umanità altamente organizzata e meccanizzata decida in modo democratico, cioè per maggioranza, che per il tutto è meglio liquidare certe sue parti. Qui, a contatto col reale, ci troviamo di fronte a uno dei più antichi dubbi della filosofia politica, che è potuto rimanere nascosto finché una solida teologia cristiana ha fornito la cornice per tutti i problemi politici e filosofici, ma che già a Platone aveva fatto dire: “Non l’uomo, ma un dio deve essere la misura di tutte le cose”.

Cerchiamo di tirare le fila. Sembra che, eliminando Dio, spetti all’uomo definire chi vive o chi muore, cosa è il bene e cosa è il male. Questa posizione è l’unica possibile etsi Deus non daretur?

(Fine della prima parte – prosegue)

Andrea Mondinelli

(Foto: Pixabay)





[1] Giovanni Sartori (1924 – 2017) politologo e sociologo italiano. È considerato uno dei massimi esperti di scienza politica a livello internazionale e il più importante scienziato politico italiano. In Italia si deve a lui la nascita della scienza politica come disciplina accademica. Autore di fondamentali volumi tradotti in una molteplicità di lingue, Sartori ha scritto di democrazia, di partiti e di sistemi di partito, di teoria politica e di analisi comparata, di ingegneria costituzionale. È stato insignito di otto lauree honoris causa e nel 2005 ha ricevuto il prestigioso Premio Principe delle Asturie, considerato il Nobel delle scienze sociali.

[2] Chiara Lalli (1973) è una saggista e filosofa italiana. È autrice di diversi saggi di bioetica dedicati ai temi della riproduzione medicalmente assistita, dell’aborto e dell’eutanasia. Scrive per Internazionale, Wired, Il Corriere della Sera, Il Foglio, Il Dubbio. Fa parte dell’Intergruppo parlamentare dedicato ai Diritti Fondamentali della Persona promosso e costituito dall’ex vicepresidente del Senato Maria Domenica Castellone.

[3] Edoardo Boncinelli (1941) è un genetista e fisico italiano che, insieme ad alcuni collaboratori, ha scoperto una famiglia di geni, detti omeogene – parte della regione di DNA omeobox – che controllano il corretto sviluppo corporeo nell’uomo. Nel 2011 il Corriere della Sera, in occasione del 150º anniversario dell’Unità d’Italia, ha incluso le scoperte di Edoardo Boncinelli tra le dieci, prodotte dal genio degli scienziati italiani, da ricordare nella storia d’Italia.

[4] Assolutamente da leggere la novella anti-abortista di Philip K. Dick, autore dei racconti di successo da cui sono stati tratti film cult come “Blade runner” e “Minority report”, intitolato proprio “Le pre-persone” scritto nel 1974. Al link seguente il testo https://www.europaoggi.it/content/view/304/45/

[5] Uno dei più eclatanti è la sentenza Dred vs Scott (1857) della Corte Costituzionale americana: “I neri, a norma delle leggi civili, non sono persone”.

[6] Estratto da “Dignità e statuto personale dell’embrione”

[7] Perché uccidere un infante non è sempre sbagliato, Conferenza di Pordenone pubblicata su L’espresso” n. 36, settembre 2005

[8] Direttore dell’Oxford Center di Etica Applicata, direttore del Melbourne Oxford Stem Cell collaboration (dedicato all’esame delle implicazioni etiche di clonazione e ricerca di cellule staminali embrionali), editore del Journal of Medical Ethics (il giornale medico con maggiore impatto in etica medica e applicata), direttore dell’Unità Etica all’Istituto di Ricerca Pediatrica Murdoch a Melbourne, e del Centro Studi per la Salute e Società, dell’Università di Melbourne

[9] [La lotteria delle cellule staminali embrionali e la cannibalizzazione degli esseri umani – Julian Savulescu – Riassunto – Bioethics Vol. 16 n. 6 2002]

[10] “Frammenti postumi” del 1888 (Adelphi)







Ue: l'astensionismo attrae, ma stavolta è bene votare



Come in tutte le elezioni, il cittadino può astenersi. Ma è meglio andare a votare, con solidi criteri, per cambiare questa Unione Europea e difendere i principi non negoziabili.


EUROPEE 2024

EDITORIALI 


Stefano Fontana, 28-05-2024

Alle prossime elezioni europee dell'8 e 9 giugno, come in ogni tornata elettorale, il cittadino potrà astenersi dal voto. Come valutare questo tipo di scelta in questo momento particolare e davanti ad un appuntamento che molti considerano invece importante o addirittura portatore di una possibile significativa svolta in Europa? Proviamo a fare qualche considerazione in merito.

Prima di tutto bisogna riconoscere che in alcuni casi non votare non solo può essere lecito ma anche doveroso, a patto che non sia per andare al mare. Votare è anche un dovere morale e quando il voto non dovesse trovare un contesto buono per esercitarsi e in ogni caso andasse a corroborare il male, sarebbe doveroso non votare. La partecipazione tramite il voto non è un assoluto che valga sempre e in ogni occasione, ma riceve la sua legittimazione dai contenuti di vita pubblica che con il proprio voto si sostengono e si promuovono. La democrazia, insegnava Giovanni Paolo II, non è mai automatica ma sta o cade con i valori che incarna. Assolutizzare la partecipazione al voto significa stabilire una democrazia solo procedurale.

Nel caso specifico delle elezioni europee uno dei principali argomenti a sostegno dell’astensione è che l’Unione Europea è ormai un “sistema” non più correggibile, guidato da una logica ideologica innaturale e perversa, messo e mantenuto in piedi proprio per questo. Qualsiasi sia la maggioranza parlamentare che uscirà dalle elezioni nulla cambierà perché la strada è già tracciata da poteri più o meno occulti che operano prima e sotto le formalità democratiche. C’è un Deep State europeo, uno Stato profondo che non si presenta alle elezioni, considerate come una pratica di imbonimento riservata agli illusi, ma comunque detta le regole del futuro, comunque andrà lo spoglio delle schede elettorali. Si badi che questa posizione non si limita a sostenere l’inutilità delle elezioni a causa della farraginosità del sistema istituzione europeo che ci chiama a votare per un parlamento che non ha iniziativa legislativa. Né si appella ad un generico sospetto di incoerenza per la politica e i politici. Una sua variante consiste nel pensare che se l’astensione dovesse assumere col tempo proporzioni molto rilevanti, rappresenterebbe un forte segnale di delegittimazione politica per questa Unione Europea.

Un altro motivo dell’astensione è che tutti i partiti principali con possibilità concrete di entrare in parlamento siano contrari a dei principi che l’elettore considera moralmente imprescindibili. Ciò può capitare per esempio per l’elettore cattolico che non intende votare nessun partito che sia in qualsiasi modo a favore dell’aborto o di altre pratiche di non rispetto della vita umana.

Vanno fatte queste considerazioni per non dare l’impressione di essere contrari a priori all’astensione che, quando ci si trovasse di fronte ad un “sistema del male” tale che in qualunque modo ci si muovesse si finirebbe per collaborare, potrebbe avere un senso. L’epoca dei non expedit può non essere finita.

Nel caso delle prossime elezioni di giugno, alla luce della prudenza morale e politica, riteniamo però che sia bene recarsi al voto, naturalmente con alcuni criteri-guida. Teniamo presente che i “sistemi del male”, che Giovanni Paolo II chiamava “strutture di peccato”, sono la sedimentazione nel tempo dei peccati personali e sociali. Non sono strutture sopra-umane, anche essi alla fine dipendono dagli uomini. La constatazione di alcuni elementi strutturali negativi dell’Unione Europea non deve sfociare nel considerarla un monolite indipendente dalle vicende storiche, dall’agire degli uomini e dalla provvidenza di Dio. Del resto, la storia ci insegna che strutture politiche ritenute onnipotenti sono cadute anch’esse, sia per implosione dato che erano marce all’interno, sia per l’azione anche di pochi uomini. Da un giudizio fortemente negativo sul “sistema” Unione Europea può alimentarsi, invece che l’astensione, una partecipazione al voto che almeno freni il processo in corso e permetta una fase di respiro e di riflessione ma anche e soprattutto un tempo a disposizione per ricominciare dal basso. Ciò sarebbe già un bene, perché il suo contrario vorrebbe dire la prosecuzione del male denunciato. Chi si astiene dal voto per non fare il male deve stare attento che il male lo può fare lo stesso: astenendosi può confermare al proprio posto chi lo compie. Anche le omissioni possono contribuire al male.

L’astensione alle elezioni è in aumento ovunque, ma questo non impensierisce il potere, a parte le dichiarazioni di convenienza. Esso, infatti, ne risulta avvantaggiato, meno fatica e spese in campagna elettorale e meno condizionamenti per il proprio operato. L’aumento dell’astensione è ciò che il potere desidera. Inoltre, l’astensione fatta per una scelta politica, e non per andare al mare, non lancia un messaggio chiaro, può essere interpretata in modi diversi in base agli interessi di chi interpreta. Chi pensa che alti tassi di astensionismo delegittimerebbero questa Unione Europea si illude.

È bene quindi andare a votare, con tre criteri-guida. Il primo è che il voto sia chiaramente contro questa Unione Europea e quindi che possa aprire ad un cambiamento significativo, compreso un tornare indietro su molti punti importanti. Il secondo è che il partito che si vota non ammetta nel suo programma minacce per la vita e la famiglia. Qui la faccenda si fa dura, ma una possibile via di uscita sono le preferenze ai singoli candidati. A questo riguardo rimando all’elenco predisposto opportunamente da Pro Vita & Famiglia. Il terzo è di valutare bene il voto a partiti che sicuramente non raggiungeranno il quorum, perché i voti sparpagliati finiscono per favorire qualcuno che non si vorrebbe favorire, confermandolo alla plancia di comando.



Fonte 

lunedì 27 maggio 2024

L’UE è l’anti-Europa







RiIanciamo questo articolo pubblicato nel numero di aprile 2024 della rivista “La Bussola mensile”: L’Unione Europea di Maastricht e Lisbona non passa l’esame di Dottrina sociale.




Di Stefano Fontana, 27 MAG 2024

Nella Chiesa cattolica è molto diffusa l’idea che l’Unione Europea sia una valida incarnazione della Dottrina sociale della Chiesa. Ne nasce un appoggio incondizionato e pensare e agire da europeo sembra essere una delle principali esigenze evangeliche, mentre non allinearsi a questa Europa è considerato un atteggiamento egoista e sciovinista. Continua a circolare anche l’enfasi sulla fede cattolica dei tre “padri fondatori” sicché il cattolicesimo sarebbe all’origine dell’intero processo che ha condotto fino alla Von der Layen. Viene dimenticato che Schumann, Adenauer e De Gasperi avevano creato una Comunità, mentre l’Unione che nasce da Maastricht e Lisbona è un’altra cosa. I cattolici che richiamano i Padri fondatori per battezzare tutto il percorso unitario europeo fino ai nostri giorni fingono di non sapere che alla base dell’europeismo c’è anche il Manifesto di Ventotene di Spinelli, Rossi e Colorni, che si propone obiettivi assolutamente contrastanti con la Dottrina sociale della Chiesa secondo una linea che oggi sembra vincente.

Giovanni Paolo II e Benedetto XVI avevano espresso un magistero molto alto sull’Europa e, per contrasto, anche molto critico rispetto all’Unione Europea che, nell’ansia di coincidere con l’Europa, finiva per distruggerne l’eredità culturale, rattrappirne il respiro e ridurre la Magna Europa ad una Parva Europa. Ma oggi nella Chiesa chi solleva qualche critica sullo stato dell’Unione? Non certo la Comece, la Commissione dei vescovi cattolici dei Paesi aderenti all’Unione, che segue docilmente l’agenda di Bruxelles.

Ecco i motivi per cui può essere utile confutare l’idea che l’Unione Europea sia una valida incarnazione della Dottrina sociale della Chiesa.

Il bene comune

Il primo dei principi fondamentali della Dottrina sociale è quello del bene comune come fine della politica e su questo punto la lontananza dei due termini del nostro confronto è molto forte. Il bene comune è da intendersi in senso verticale, ossia fondato ultimamente su Dio, che è il Bene stesso. Ma l’Unione ha rifiutato di parlare nel suo progetto di Costituzione, peraltro in seguito naufragato, non solo del Dio di Gesù Cristo, non solo di un Dio generico all’americana, ma addirittura di accennare semplicemente alle radici cristiane dell’Europa. In questo modo l’Unione si è dissociata dalla stessa Europa le cui radici religiose cristiane sono più che evidenti. Non può esistere un bene comune senza una visione in comune del Bene: su questo punto l’Unione Europea contrasta apertamente con la Dottrina sociale della Chiesa.

Il bene comune è anche analogico, ossia ha diversi significati per le diverse aggregazioni sociali e politiche. Non c’è un unico bene comune per l’intera Unione Europea, uniforme, uguale, piatto, ma ogni organismo sociale e politico ha il proprio specifico bene comune di cui è il primo responsabile. L’Unione Europea sembra invece determinata ad uniformare dall’alto, entrando perfino in ambiti che gli stessi trattati lasciano ad altri soggetti. Qui si nota l’onda lunga del Manifesto di Ventotene per il quale la rivoluzione europea doveva essere socialista, la proprietà privata abolita, il popolo guidato da élite cooptate di esperti, gli organismi popolari utilizzati, e bisognava dare “la prima disciplina sociale alle nuove masse”. Questa visione tipica del “progressismo illuminato” è stata sempre molto presente nell’Unione ed oggi lo è ancor di più, come se le istituzioni europee fossero portatrici di una nuova verità e il ceto dirigente dell’Unione avesse il dovere di uniformare ed educare tutti i cittadini per introdurli in una nuova era.

Il bene comune è un concetto morale. La parola “bene”, infatti rientra nella morale e l’aggettivo comune significa che deve riguardare tutti gli uomini e ogni uomo. Ma chi stabilisce cosa sia il bene? L’Unione Europea assume questa visione dell’erica: da un lato essa viene rimessa alla autodeterminazione dei singoli cittadini, per cui un bene comune non può più esistere, sostituito da una serie di desideri individuali assoluti, dall’altro essa lo rimette al Grande Individuo rappresentato dalle istituzioni comunitarie stesse. Così convivono il libertarismo individualista che corrode lo spirito di comunità e il centralismo istituzionale, il quale fa del rispetto di quella libertà priva di criteri la propria ideologia morale. Il bene comune diventa il soddisfacimento dei bisogni individuali oppure di quelli del Leviatano, ambedue cose private più che comuni.

Stato e sovranità

L’Unione Europea ha assunto un concetto di Stato opposto a quello inteso dalla Dottrina sociale della Chiesa e lo usa sia quando si riferisce agli Stati membri sia rispetto a se stessa. La Dottrina sociale intende lo Stato come uno strumento di cui la comunità politica si serve per perseguire il proprio bene comune. Prima dello Stato viene la comunità politica, realtà organica fatta di famiglie, municipi, regioni, patrie, popoli e nazioni con i loro doveri e i loro diritti, le loro consuetudini e la loro storia nella quale si sono configurati i loro caratteri naturali. Prima dello Stato c’è, come scriveva Christopher Dawson, una “comunità di comunità”.

Ma con l’Unione, l’idea di Comunità è stata superata e dallo Stato moderno – il Leviatano che è uomo, animale, Dio e macchina – è stata assunta l’idea di sovranità. L’Unione Europea nasce da trasferimenti di sovranità dai singoli Stati così intesi al nuovo Super-Stato. Il concetto di sovranità è completamente estraneo alla Dottrina sociale della Chiesa ed è una invenzione della modernità politica di Hobbes e Rousseau. Nella “comunità di comunità” il governo era prima di tutto autogoverno e non si trattava di un potere sciolto da legami, ossia sovrano, ma sottoposto alle leggi naturali, alle autonomie della società organica, alle differenti tradizioni e alla civiltà sedimentata nella storia. Molte tendenze attuali spingono per un progressivo accentramento di sovranità in continuità con la visione modernista dello Stato: si vuole maggiore unità bancaria, si prefigura una unica struttura di difesa e si mette in atto una sistematica formazione dell’”uomo europeo” perché fatta l’Europa bisogna fare gli europei. La formazione alla storia e ai principi dell’Unione nelle scuole pubbliche e il progetto Erasmus, omogeneizzatore delle menti dei giovani cittadini, sono due esempi di questo accentramento di sovranità, anche educativa. Accade anche che agli Stati candidati ad entrare nell’Unione si chiedano preventivamente riforme legislative, specialmente sulla nuova concezione libertaria dei diritti, per conformarsi previamente alla cultura artificiale dell’Unione.

Il principio di sussidiarietà


Il trattato di Maastricht aveva fatto proprio il principio di sussidiarietà e questo aveva corroborato l’idea di quanti sostenevano il collegamento stretto tra Unione Europea e Dottrina sociale della Chiesa.Si tratta infatti di un principio fondamentale, capace di essere rivoluzionario se inteso e applicato correttamente. Si dice che esso organizza la società dal basso verso l’alto, sostenendo che le società di livello superiore non vengono prima ma dopo quelle di livello inferiore e non possono sostituirle ma semmai aiutarle a fare meglio quanto spetta loro fare. Gli Stati che sono entrati nell’Unione erano strutturati secondo questo principio? No, essi rispondevano alle caratteristiche dello Stato moderno accentrato e burocratico. Il trasferimento di sovranità all’Unione è avvenuta secondo questo principio? No, perché anche l’Unione è stata intesa nello stesso modo. L’Unione ha impresso una spinta generale ad incarnare meglio la sussidiarietà? No, perché l’ha violata per prima nei confronti delle realtà sociali e politiche ad essa inferiori. Oggi nell’Unione la sussidiarietà viene intesa come attribuzione dall’alto di funzioni decentrate e come strumento funzionale per rendere più efficiente il sistema tramite la cosiddetta vicinanza al cittadino. Il punto è che la sussidiarietà richiede una visione della società come un ordine organico e finalistico nel quale, dal basso all’alto, ogni realtà naturale o aggregata sia posta in grado di fare da sé. Ma nessun documento fondativo dell’Unione Europea e nessuna prassi delle sue istituzioni fanno riferimento ad un ordine di questo tipo.

La “laicità” europea

L’Unione Europea è il primo finanziatore dell’aborto nel mondo, spinge perché gli Stati membri adottino legislazioni a favore dei nuovi diritti, la giurisprudenza europea stabilisce precedenti per le legislazioni nazionali nel sovvertimento del diritto naturale, le nazioni vengono considerate in senso prevalentemente folklorico e la difesa delle identità culturali vituperata come nazionalismo, non ha un progetto di governo delle immigrazioni, proclama un totale indifferentismo religioso, pensa di avere una alta cultura da difendere ma questa in fondo si riduce alla tutela di una vuota libertà, coltiva e plasma un impossibile e artificiale uomo europeo che non sia né francese né italiano, né cristiano né islamico, è incapace di vera vita democratica pur indicando nella democrazia la propria anima, è governata da una rete di contatti corporativi e da grossi centri di potere privato.

L’Unione Europea designa una terra desolata che essa chiama “laicità” europea. Si tratta del distacco dal cristianesimo tramite l’assunzione di una nuova religione a carattere irreligioso: l’europeismo ideologico. L’Unione Europea non è laica, è laicamente irreligiosa, ma proprio per questo elabora una cultura decadente e di decadenza. Laici come Habermas o Böckenförde hanno evidenziato come sia impossibile un’etica che si fondi su se stessa, e per questo Giovanni Paolo II voleva il riferimento a Dio nella Costituzione europea e Benedetto XVI lanciava agli europei il provocatorio invito a vivere come se Dio fosse: etsi Deus daretur.







Rivelazioni del demonio durante gli esorcismi





Emily Rose
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Per approfondire la nostra Fede e la potenza dei diavoli quando non siamo protetti dai Sacramenti e dalla preghiera, vi presento le rivelazioni del demonio durante ben 65 esorcismi terminati nel 1976 ad una ragazza tedesca Anneliese Michel (in arte dal film: Emily Rose).
 
La possessione che patì è stata una delle più potenti della storia, ed ella nei momenti di lucidità accettava la sofferenza per la salvezza dei peccatori, atteggiamento che piacque molto alla Madonna ed apparve alla ragazza per confortarla ed aiutarla nella sua liberazione.

La ragazza si offrì vittima a Gesù per la salvezza del mondo e dopo la sua morte durante l’autopsia le trovarono anche le stimmate. Anneliese Michel nacque nel 1952 e morì nel 1976.

Leggiamo le rivelazioni di satana, costretto dall’esorcista e dal volere di Dio a dire tutte queste verità che devono far riflettere tutti noi.

Rileggete più volte e meditate queste importantissime rivelazioni dei diavoli.

● “Sapete perché combatto così tanto io? Perché io fu precipitato proprio a causa degli uomini”.

● “Io, Lucifero, ero in Cielo, nel coro di Michele”. L’esorcista: “Ma tu potresti essere tra i Cherubini!”. Risposta: “Si, io ero anche questo”.

● “Giuda me lo sono preso io! Lui è dannato. Quello si poteva salvare, ma non ha voluto seguire il Nazareno”.

● “I nemici della Chiesa sono nostri amici!”.

● “Da noi non c’è ritorno! L’inferno è per tutta l’eternità! Nessuno torna indietro! Qui non c’è amore, c’è solo odio, combattiamo sempre, ci combattiamo l’un l’altro”.

● “Gli uomini sono così bestialmente stupidi! Credono che dopo la morte sia finito tutto”.

● “In questo secolo (1900) ci saranno tanti Santi, come non ce ne sono mai stati. Ma anche tanta gente viene da noi”.

● “Contro di voi ci scagliamo e potremmo ancora di più, se non fossimo legati. Noi possiamo solo fino a dove arrivano le catene”.

● L’esorcista: “Tu sei il colpevole di tutte le eresie!”. Risposta: “Si, e ne ho ancora tante da creare”.

● “La talare ormai non la indossa più nessuno. Questi modernisti della Chiesa sono opera mia e mi appartengono tutti ormai”.

● “Quello laggiù (Papa Paolo VI), quello solo tiene in piedi la Chiesa. Gli altri non lo seguono”.

● “Tutti adesso tirano fuori le zampe per prendere la Comunione e neanche si inginocchiano più! Ah! Opera mia!”.

● “Di noi quasi nessuno parla più, neppure i Sacerdoti”.

● “L’altare rivolto verso i fedeli è stata idea nostra… sono tutti corsi dietro agli evangelici come meretrici! I Cattolici hanno la vera dottrina e corrono dietro ai protestanti!”.

● “Per ordine dell’Alta Dama devo dire che si deve pregare di più lo Spirito Santo. Voi dovete pregare molto, perché i castighi sono vicini”.

● “L’enciclica Humanae Vitae è importantissima! E nessun Prete può sposarsi, egli è Sacerdote in eterno”.

● “Ovunque venga votata una legge a favore dell’aborto, tutto l’inferno è presente!”.

● “L’aborto è omicidio, sempre e comunque. L’anima negli embrioni non arriva alla visione beatifica di Dio, arriva lassù in Cielo (si tratta del Limbo), ma anche i bambini non nati possono essere battezzati”.

● “Tante Ostie vengono profanate perché vengono date sulle mani. Non si rendono nemmeno conto!”.

● “Il nuovo catechismo olandese l’ho scritto io! È tutto falsificato!” (NOTA: il demonio fa riferimento alla Congregazione olandese che eliminò i riferimenti alla Trinità e all’inferno nel catechismo dei Paesi Bassi).

● “Voi avete il potere di scacciarci, ma non lo fate più! Non ci credete neppure!”.

● “Se aveste idea di quanto è potente il Rosario… è fortissimo contro satana… non voglio dirlo, ma sono costretto”.




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