Di Silvio Brachetta, 10 LUG 2023
Stefano Fontana lamentava la volontà di Papa Francesco di fondare il dialogo interreligioso su di una «morale sociale globalista», così da trasformare la religione in un «insieme di “buone pratiche sociali”».
L’idea di Bergoglio non è originale, ma risale almeno agli anni successivi alla fine del Concilio Vaticano II e, più precisamente, ai lavori teologici di Alfons Auer e Hans Küng, entrambi cattolici. Essi fecero parte di una più ampia schiera di moralisti (studiosi di morale) che hanno contestato la dottrina cattolica per tutto il dopo-Concilio, fino ad approdare alla querelle dell’Humanae Vitae (1968), l’enciclica di Paolo VI, oggetto di una critica fino ad allora senza precedenti.
L’ostacolo maggiore, per i neo-moralisti, era l’inaccettabile oggettivismo neo-scolastico, che è un po’ la spina dorsale della teologia che sottende al magistero cattolico. Sorse così il concetto di «morale autonoma», di cui Alfons Auer era seguace, che mal sopportava ciò che veniva indicata come «morale della norma». L’insofferenza nei confronti delle «regole» – lo si vede bene – è ben anteriore a Bergoglio.
Si ebbe così il celebre superamento della dicotomia tra norma e coscienza: la coscienza è creatrice della norma morale. A questo errore, tra altri, rispose Giovanni Paolo II attraverso l’enciclica Veritatis Splendor (1993).
Auer, in particolare, fece una distinzione tra due tipi di etica: Weltethos e Heilsethos, dove il Weltethos è l’etica (ethos) globale e mondana (Welt, in tedesco, è il mondo), mentre l’Heilsethos è l’etica confessionale (heil, sacro). Auer non riteneva che questa distinzione fosse anche una separazione.
Nella sua opera Morale autonoma e fede cristiana (1970), Auer ripensa il concetto di «giusta autonomia» delle realtà terrene – in Gaudium et Spes, n. 36 – e vi include l’autonomia in senso etico. L’uomo, sostiene Auer, è pienamente capace di riconoscere la verità nel mondo, senza mediazioni: è sufficiente accogliere la realtà, affermarne l’esigenza. Auer riconosce in Humanae vitae la giusta pretesa di una morale naturale, non arbitraria, fondata anche sulla ragione, ma non accetta l’obbedienza di fede qualora si giunga a questioni non ragionevoli.
Così come oggi, Auber riteneva la morale autonoma la porta attraverso cui sarebbe dovuto passare il dialogo tra uomini. Se l’etica è incomunicabile, sosteneva, non serve a nulla. Deve quindi essere comunicabile e, per questo, soggetta alla sola ragione, comune a tutti. Non la fede, poiché ognuno ha la sua.
Pertanto, «la riflessione sulle questioni morali deve potersi sviluppare autonomamente e sviluppare rappresentazioni accessibili a tutti gli esseri umani, indipendentemente dalle loro convinzioni religiose e dagli orizzonti determinati dalla fede» (Eric Gaziaux). Auber non tenne conto, in campo etico, di molti elementi essenziali: grandezza ma anche limiti del giusnaturalismo, necessità della fede vera, legge che si compie solo nel Cristo.
Altro elemento ambiguo è il processo, secondo Auer, con cui la ragione assume la verità morale. Non tanto intellettualmente, ma storicamente: attraverso gli errori, gli uomini sarebbero in grado di pervenire ad una conoscenza certa dell’etica, prima ancora delle decisioni metafisiche e religiose, in nome di una comune natura. Questo modo di procedere sembra, però, abbastanza ingenuo e astratto. L’uomo si dà sempre come unità: nessuno in realtà è disposto – quando la fede diventa per lui fondamentale – a rinunciare alle proprie credenze, proprio perché le ritiene necessarie, specialmente in ambito morale.
Per questo, pur contro le intenzioni di Auer, la distinzione tra etica globale e confessionale, se ammessa e praticata, si fa inevitabilmente separazione.
Auer, poi, inquadra male la missione di Gesù Cristo. Egli pensa che l’insegnamento morale del Messia si trovi oltre le singole istruzioni morali. Lo specifico cristiano, secondo Auer, non è una questione morale, ma il nuovo orizzonte di senso escatologico, che attira il credente verso il Regno di Dio. Dovrebbe dunque essere questa forza motrice che motiva l’azione umana.
Questo è vero in parte, perché la legge non è abolita, ma compiuta in Cristo. Non è mai possibile – insegna il magistero – accedere al Regno di Dio con il peccato. L’insegnamento morale del Cristo è anche nelle istruzioni morali, sebbene il peccatore penitente entra nel Regno per le opere e la fede. Non è mettendo l’orizzonte etico in secondo piano che si accede al Regno.
Gli errori di Auer (e di altri) sono stati corretti, indirettamente, nella Veritatis splendor (n. 37). Giovanni Paolo II ha scritto che, «è stata introdotta da alcuni teologi moralisti una netta distinzione, contraria alla dottrina cattolica, tra un ordine etico, che avrebbe origine umana e valore solo mondano, e un ordine della salvezza». Ovviamente dietro il concetto di ordine etico mondano c’è il Weltethos, mentre l’ordine della salvezza è l’Heilsethos.
E si è, quindi, negata l’unità dell’etica: «Si è giunti conseguentemente al punto di negare l’esistenza, nella rivelazione divina, di un contenuto morale specifico e determinato, universalmente valido e permanente». In questo contesto eterodosso, la Parola di Dio avrebbe solo una funzione esortativa, non dottrinale.
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Su questo genere di teologia erronea si fonda anche il pensiero di Hans Küng, che ha persino inaugurato nel 1993 il Progetto Weltethos, per promuovere ciò che Giovanni Paolo II indicava come «interpretazione dell’autonomia della ragione umana», che «comporta tesi incompatibili con la dottrina cattolica».
Il Weltethos di Küng è un progetto di etica mondiale che si fonda su un piccolo elenco di regole (ethos fondamentale), ritenute esigenze fondamentali del genere umano e, per questo, accettabili da tutti. L’obiettivo è quello di papa Francesco, ovvero ottenere un mondo di pace, fratellanza e dialogo, mediante il rispetto della vita, la protezione della proprietà e della verità, l’uso consapevole della sessualità. Il tutto dovrebbe essere accompagnato da pratiche di non-violenza, solidarietà, tolleranza ed eguaglianza.
Küng stesso ha smentito, però, il suo stesso impianto ideologico. Poco prima di morire (2021) si è detto favorevole all’eutanasia (contro il rispetto della vita umana). Non basta, allora, avere una certa idea della legge naturale. Innanzi tutto, per attuare la legge naturale – visto che la natura umana è decaduta – non bastano gli uomini di buona volontà, ma è necessaria la grazia. Ma anche all’interno di una singola voce – ad esempio l’uso della sessualità – l’errore è dietro l’angolo: le diverse religioni valutano la sessualità in modo diverso. Persino all’interno del cristianesimo ci sono molte pressioni contro la castità, contro l’uso dei metodi contraccettivi naturali o a favore di fecondazione artificiale, aborto o utero in affitto.
L’etica non è gestibile dalla sola ragione. Come scrive Fontana, «se si elimina la dottrina, su cosa fondare la prassi e la stessa fratellanza?.
Silvio Brachetta
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