Il fedelissimo e ghostwriter del Papa approda al Sant'Uffizio: è l'ultima di una lunga serie di nomine in cui appare determinante l'amicizia personale con il pontefice o l'appartenenza ai Gesuiti.
X-FACTOR ARGENTINO
Nico Spuntoni, 03-07-2023
«Sarebbe capace di nominare Tucho» era una battuta piuttosto diffusa in Vaticano in questi mesi di toto-nomi per la successione del cardinale Luis Francisco Ladaria Ferrer alla guida del Dicastero per la Dottrina della Fede. Il soggetto sottinteso, ovviamente, era il Papa.
Alla fine è andata proprio così: l'iperbole è diventata realtà e Víctor Manuel Fernández è il nuovo prefetto del Dicastero per la Dottrina della Fede nonché presidente della Pontificia Commissione Biblica e della Commissione Teologica Internazionale pronto ad entrare in carica a metà settembre. Una nomina che può essere interpretata come una sfida a quei membri del Sacro Collegio che in privato avevano manifestato a Santa Marta la loro contrarietà di fronte all'ipotesi di nominare monsignor Heiner Wilmer, vescovo di Hildesheim e grande sostenitore dell'agenda del Cammino Sinodale tedesco.
La Nuova Bussola Quotidiana può rivelare che quella per fermare la nomina del vescovo dehoniano all'ex Sant'Uffizio è stata l'ultima battaglia combattuta dal cardinale George Pell prima della morte improvvisa. Non leggere il nome di Wilmer sul bollettino, però, sarebbe una vittoria di Pirro per il porporato australiano dal momento che la scelta è ricaduta su un profilo persino più discusso.
«Non sempre quando vi è un conflitto nella Chiesa ciò è male», ha scritto monsignor Fernández nel volume I Papi dei Concili dell'era moderna. Arte, Storia, Religiosità e Cultura. Nel sceglierlo al posto che fu di Joseph Ratzinger con un indirizzo programmatico di netta rottura col passato messo nero su bianco in una lettera pubblica, Bergoglio pare aver dimostrato di pensarla allo stesso modo dal momento che è consapevole di scontentare ulteriormente quei prelati che nei mesi scorsi gli avevano scritto per implorargli di non nominare Wilmer e di lasciare il Dicastero per la dottrina della fede in mani più equilibrate.
Monsignor Fernández arriva a Palazzo del Sant'Uffizio forte della nomea di fedelissimo del Papa di cui fu ghostwriter già nella decisiva esperienza della Conferenza di Aparecida del 2007. Ricordando quei giorni trascorsi fianco a fianco, Fernández raccontò di aver ammirato nel suo mentore la convinzione che «più che ottenere risultati immediati, bisogna mettere in moto processi» (Clarín). La nomina di Tucho nel dicastero più importante della Curia sembra suggerire l'idea che il pontificato bergogliano stia durando il tempo sufficiente per passare direttamente dall'innesco di processi all'ottenimento di risultati immediati. Per farlo, il Pontefice si affida sempre più a fedelissimi.
Negli ultimi tempi è sempre più evidente quanto la conoscenza personale del Papa o l'appartenenza alla Compagnia di Gesù rappresentino ormai una sorta di X Factor per andare a ricoprire ruoli di grande responsabilità nella Chiesa. La prima nomina del suo pontificato riguardò il suo successore a Buenos Aires per il quale indicò naturaliter l'allora ausiliare Mario Aurelio Poli, poi fatto cardinale. Dieci anni dopo, quest'ultimo è stato mandato in pensione allo scoccare dei 75 anni e sostituito con Jorge Ignacio García Cuerva, giovane prete che l'allora cardinale Bergoglio ebbe modo di conoscere ed apprezzare per il suo attivismo nella baraccopoli della vicina diocesi di San Isidro, suffraganea di Buenos Aires. Bergoglio lo ha fatto vescovo ad appena 49 anni in contemporanea con un altro cura villero, Gustavo Oscar Carrara, fatto ausiliare dell'arcidiocesi porteña ma a cui poi ha preferito un profilo molto simile come quello di García Cuerva. Dinamiche che lasciano immaginare quanto sia decisiva la preferenza papale come criterio per l'assegnazione o meno di un incarico.
Intervenendo da Fabio Fazio a Che tempo che fa, Francesco ha detto di avere pochi amici ma veri. In Argentina, il Pontefice ha dimostrato nel corso del suo pontificato di affidarsi soprattutto a loro per ridisegnare l'episcopato nazionale da lui considerato troppo conservatore. Basti pensare che il presidente della Conferenza episcopale è dal 2017 monsignor Oscar Vicente Ojea Quintana, uomo legatissimo a Bergoglio che lo consacrò vescovo, lo ebbe come ausiliare a Buenos Aires e poi vicino di casa quando divenne vescovo di San Isidro. Non è un mistero che la volontà papale fu decisiva per l'elezione di Ojea Quintana a capo dei vescovi argentini viste le tante resistenze sul suo nome. Argentino è anche monsignor Gustavo Oscar Zanchetta che Bergoglio conobbe nel 2001 e che nel 2008, durante la sua presidenza, nominò sottosegretario esecutivo della Cea.
Come nel caso di Manuel Fernández, anche Zanchetta ricevette l'ordinazione episcopale pochi mesi dopo l'elezione di Francesco ma alla guida della diocesi di Orán è stato protagonista di una delle pagine più discusse dell'attuale pontificato con le dimissioni improvvise nel 2017 e la nomina in Vaticano all'Apsa nel ruolo creato ad hoc per lui di assessore fino al 2021. Mentre si trovava a Roma per quest'incarico, Zanchetta è diventato in Argentina il primo vescovo a finire sotto processo per abusi sessuali a seguito dell'accusa di due seminaristi a cui i giudici hanno creduto, condannandolo a quattro anni e mezzo di reclusione.
Tra i connazionali amici del Papa non ci sono solo consacrati: laico è, ad esempio, il politico di estrema sinistra Giovanni Grabois che è attualmente candidato alle presidenziali del 2023 e contemporaneamente membro del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale di cui era già stato consultore dal 2016.
Dal 2013 Francesco non ha più rimesso piede in Argentina ma le relazioni, le delusioni e le convinzioni maturate durante l'esperienza nella sua terra d'origine hanno pesantemente condizionato le decisioni di questo pontificato. La nomina di una figura come Fernández a capo di quello stesso organismo che ritardò la sua designazione (voluta dall'allora cardinale Bergoglio) al vertice dell'Universidad Católica Argentina di due anni per dubbi, è un segno tangibile di come questo processo – insieme al ricorso agli uomini fidati della Compagnia di Gesù – potrebbe conoscere un'ulteriore accelerazione.
Alla fine è andata proprio così: l'iperbole è diventata realtà e Víctor Manuel Fernández è il nuovo prefetto del Dicastero per la Dottrina della Fede nonché presidente della Pontificia Commissione Biblica e della Commissione Teologica Internazionale pronto ad entrare in carica a metà settembre. Una nomina che può essere interpretata come una sfida a quei membri del Sacro Collegio che in privato avevano manifestato a Santa Marta la loro contrarietà di fronte all'ipotesi di nominare monsignor Heiner Wilmer, vescovo di Hildesheim e grande sostenitore dell'agenda del Cammino Sinodale tedesco.
La Nuova Bussola Quotidiana può rivelare che quella per fermare la nomina del vescovo dehoniano all'ex Sant'Uffizio è stata l'ultima battaglia combattuta dal cardinale George Pell prima della morte improvvisa. Non leggere il nome di Wilmer sul bollettino, però, sarebbe una vittoria di Pirro per il porporato australiano dal momento che la scelta è ricaduta su un profilo persino più discusso.
«Non sempre quando vi è un conflitto nella Chiesa ciò è male», ha scritto monsignor Fernández nel volume I Papi dei Concili dell'era moderna. Arte, Storia, Religiosità e Cultura. Nel sceglierlo al posto che fu di Joseph Ratzinger con un indirizzo programmatico di netta rottura col passato messo nero su bianco in una lettera pubblica, Bergoglio pare aver dimostrato di pensarla allo stesso modo dal momento che è consapevole di scontentare ulteriormente quei prelati che nei mesi scorsi gli avevano scritto per implorargli di non nominare Wilmer e di lasciare il Dicastero per la dottrina della fede in mani più equilibrate.
Monsignor Fernández arriva a Palazzo del Sant'Uffizio forte della nomea di fedelissimo del Papa di cui fu ghostwriter già nella decisiva esperienza della Conferenza di Aparecida del 2007. Ricordando quei giorni trascorsi fianco a fianco, Fernández raccontò di aver ammirato nel suo mentore la convinzione che «più che ottenere risultati immediati, bisogna mettere in moto processi» (Clarín). La nomina di Tucho nel dicastero più importante della Curia sembra suggerire l'idea che il pontificato bergogliano stia durando il tempo sufficiente per passare direttamente dall'innesco di processi all'ottenimento di risultati immediati. Per farlo, il Pontefice si affida sempre più a fedelissimi.
Negli ultimi tempi è sempre più evidente quanto la conoscenza personale del Papa o l'appartenenza alla Compagnia di Gesù rappresentino ormai una sorta di X Factor per andare a ricoprire ruoli di grande responsabilità nella Chiesa. La prima nomina del suo pontificato riguardò il suo successore a Buenos Aires per il quale indicò naturaliter l'allora ausiliare Mario Aurelio Poli, poi fatto cardinale. Dieci anni dopo, quest'ultimo è stato mandato in pensione allo scoccare dei 75 anni e sostituito con Jorge Ignacio García Cuerva, giovane prete che l'allora cardinale Bergoglio ebbe modo di conoscere ed apprezzare per il suo attivismo nella baraccopoli della vicina diocesi di San Isidro, suffraganea di Buenos Aires. Bergoglio lo ha fatto vescovo ad appena 49 anni in contemporanea con un altro cura villero, Gustavo Oscar Carrara, fatto ausiliare dell'arcidiocesi porteña ma a cui poi ha preferito un profilo molto simile come quello di García Cuerva. Dinamiche che lasciano immaginare quanto sia decisiva la preferenza papale come criterio per l'assegnazione o meno di un incarico.
Intervenendo da Fabio Fazio a Che tempo che fa, Francesco ha detto di avere pochi amici ma veri. In Argentina, il Pontefice ha dimostrato nel corso del suo pontificato di affidarsi soprattutto a loro per ridisegnare l'episcopato nazionale da lui considerato troppo conservatore. Basti pensare che il presidente della Conferenza episcopale è dal 2017 monsignor Oscar Vicente Ojea Quintana, uomo legatissimo a Bergoglio che lo consacrò vescovo, lo ebbe come ausiliare a Buenos Aires e poi vicino di casa quando divenne vescovo di San Isidro. Non è un mistero che la volontà papale fu decisiva per l'elezione di Ojea Quintana a capo dei vescovi argentini viste le tante resistenze sul suo nome. Argentino è anche monsignor Gustavo Oscar Zanchetta che Bergoglio conobbe nel 2001 e che nel 2008, durante la sua presidenza, nominò sottosegretario esecutivo della Cea.
Come nel caso di Manuel Fernández, anche Zanchetta ricevette l'ordinazione episcopale pochi mesi dopo l'elezione di Francesco ma alla guida della diocesi di Orán è stato protagonista di una delle pagine più discusse dell'attuale pontificato con le dimissioni improvvise nel 2017 e la nomina in Vaticano all'Apsa nel ruolo creato ad hoc per lui di assessore fino al 2021. Mentre si trovava a Roma per quest'incarico, Zanchetta è diventato in Argentina il primo vescovo a finire sotto processo per abusi sessuali a seguito dell'accusa di due seminaristi a cui i giudici hanno creduto, condannandolo a quattro anni e mezzo di reclusione.
Tra i connazionali amici del Papa non ci sono solo consacrati: laico è, ad esempio, il politico di estrema sinistra Giovanni Grabois che è attualmente candidato alle presidenziali del 2023 e contemporaneamente membro del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale di cui era già stato consultore dal 2016.
Dal 2013 Francesco non ha più rimesso piede in Argentina ma le relazioni, le delusioni e le convinzioni maturate durante l'esperienza nella sua terra d'origine hanno pesantemente condizionato le decisioni di questo pontificato. La nomina di una figura come Fernández a capo di quello stesso organismo che ritardò la sua designazione (voluta dall'allora cardinale Bergoglio) al vertice dell'Universidad Católica Argentina di due anni per dubbi, è un segno tangibile di come questo processo – insieme al ricorso agli uomini fidati della Compagnia di Gesù – potrebbe conoscere un'ulteriore accelerazione.
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