L’irrilevanza politica dei cattolici è anche figlia del cattolicesimo democratico
Silvio Brachetta, 21 LUG 2023
Mons. Antonio Di Donna, Vescovo di Acerra e presidente della Conferenza episcopale campana, ha sentito il dovere di tornare sulla «irrilevanza del cattolico in politica» [qui]. Ci è tornato con un intervento estivo su La Repubblica, specificando che c’è «una rapida dissoluzione» non del cattolico in generale, ma del «cattolicesimo democratico», che «non si è mai veramente risollevato».
A Di Donna, infatti, premono le sorti del solo cattolicesimo democratico – l’unico su cui valga la pena di scribacchiare qualcosa al sole di luglio. E le uniche grandi stagioni «cattoliche» sono quelle inaugurate da Dossetti, Moro, Sturzo, De Gasperi, La Pira, Maritain e Mounier. Con la chiusa memorabile della presidenza Mattarella.
L’articolo, come succede quasi sempre con queste premesse, in realtà non spiega nulla della crisi, ma si abbandona a sterili lamentazioni su cose risapute dicendo, ad esempio, che la Dottrina sociale è stata esclusa dalla formazione dei laici. Sì, ma quale Dottrina sociale? Questa: «si pensi solo alle grandi encicliche sociali quali la Pacem in terris, la Populorum progressio, la Laborem exercens, fino alle recenti Laudato si’ e Fratelli tutti».
Magari si sarebbe potuto dire qualcosa anche sulla Rerum Novarum, su Leone XIII (del quale si festeggia quest’anno il 120mo dalla morte, vedi ultimo Bollettino dell’Osservatorio [qui]), su Pio XI, su Pio XII o su Benedetto XVI.
Un impegno su tutti, per superare la crisi del cattolico in politica desaparecido: «bisogna recuperare la visione cristiana della vita, che trent’anni del modello berlusconiano hanno affossato». Il male non è dunque penetrato nella società – a parere di Mons. Di Donna – per il disimpegno decennale dei cattolici democratici in politica e per la «scelta religiosa» di Bachelet e Lazzati. Il male non si è cementato – sempre secondo Di Donna – per il «compromesso storico» di Moro e per la politica del compromesso universale con ogni sorta di radicalismo, che ha completamente sepolto ogni rilevanza cattolica nella società.
No, la visione cristiana sarebbe stata affossata da Berlusconi. È noto infatti che, prima del 1992, l’Italia era lontanissima dalla secolarizzazione, dalla legalizzazione del divorzio e dell’aborto, dall’oscenità e dalla mediocrità dei programmi della RAI, dalla pubblicità, dal serpeggiare dell’ateismo pannelliano e comunista, dall’esondazione della sinistra nella cultura.
È lo stesso Vescovo, sempre nell’intervento, che certifica l’estinzione dell’Azione cattolica, dei Laureati cattolici, della Fuci, che «costituirono il retroterra culturale» ad un «serio impegno politico». Ma l’«azione» dei cattolici si è estinta proprio per via del silenzio o del compromesso in politica e nella società, divenute parole d’ordine del cattolicesimo democratico.
Di Donna sogna una Chiesa dove i cattolici «progressisti di sinistra», con le loro priorità («l’impegno per la giustizia, la pace, la custodia del creato») vadano a braccetto con i cattolici «tradizionalisti di destra», orientati verso «l’impegno per la famiglia e la vita». Il Vescovo non comprende la gravità di avere creato, proprio da parte del cattolicesimo democratico, una tabellina che divide i buoni dai cattivi cristiani. Non arriva a capire che nella Chiesa l’unica divisione che si può creare (e di fatto è l’unica che si è sempre creata) è quella tra errore e verità.
Avere immesso nella Chiesa le categorie in conflitto di destra e sinistra è stato il primo atto della disintegrazione. È lo stesso Di Donna a fomentare il disprezzo verso autori ritenuti di destra, che non conosce tregua: Dossetti – scrive – «constatato il fallimento (morale prima che politico) della Dc, invitò i cattolici a “ricominciare a prepararsi” ed a farlo per “i vent’anni a seguire”. Non fu ascoltato. Si scelse un’altra strada, quella voluta da Ruini, che oggi è possibile giudicare alla luce dei frutti che ha prodotto».
I frutti di Ruini sono invece memorabili. Il suo Progetto culturale, in completo accordo con le intenzioni di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI non solo diede un impulso alla rinascita della cultura cattolica e dell’apologetica (completamente invisibile agli occhi del cattolico che guarda a sinistra), ma riuscì ad ottenere un qualche successo anche in politica. Con fatica – e con grande malafede – si può dimenticare la vittoria sui referendum abrogativi in Italia (2005), promossi dai Radicali. Si volevano abrogare alcune disposizioni della Legge 40 del 2004. In parole semplici, i radicali volevano rendere meno limitativa la pratica di fecondazione artificiale.
Non fu solo una parte del laicato cattolico ad insorgere, ma la stessa Chiesa gerarchica, sotto il pontificato di Benedetto XVI, che diede man forte specialmente all’azione culturale. I referendum fallirono e, con essi, il progetto dei Radicali.
L’epoca Ruini finì, ma non per la debolezza del Progetto culturale, bensì per l’ostracismo progressista tutto interno alla Chiesa, soprattutto contro il magistero sui “principi non negoziabili” (e su altro) di Benedetto XVI, il quale, forse sfinito dalle polemiche, alla fine si dimise nel 2013.
Ha dunque torto Di Donna quando vede successi nel cattolicesimo democratico, poiché non ce ne sono. Il cattolicesimo è stato determinante quando non è sceso a compromessi sui principi. Senza Luigi Gedda e i suoi Comitati civici, senza Giovannino Guareschi col suo Candido forse nel 1948 avrebbe vinto il blocco social-comunista. Di Donna non ci pensa neppure a nominare Gedda o Guareschi, anche se sa bene che con Bachelet l’Azione Cattolica è divenuta irrilevante.
Per il Vescovo di Acerra è importante che «i cattolici possano avere ancora un ruolo fecondo nella costruzione della città degli uomini». Ma la «città degli uomini» è uno dei tanti luoghi comuni del progressismo cattolico, sterile e poco formato. Il cattolico non vuole e non deve fondare la città degli uomini, ma la città di Dio, come insegna sant’Agostino. La città degli uomini è tiepidezza, è rinuncia alla propria identità, è la città del compromesso tra città terrena e città di Dio.
È sorprendente: si mette sant’Agostino nell’oblio e ci si lamenta dell’irrilevanza dei cattolici nella società
Silvio Brachetta
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