Stiamo assistendo a una operazione in grandissimo stile per modificare l'atteggiamento verso le «non conformità sessuali». Ma l'obiettivo finale è colpire la cultura europea tradizionale, nata dal cristianesimo.
Roberto Marchesini, 11-07-2023
Il/la transgender Rikkie Valerie Kollé è Miss Olanda 2023, ecco la sua dichiarazione: «Ce l’ho fatta. È incredibile, ma ora posso definirmi Miss Netherlands 2023. È stato un viaggio educativo e bellissimo… Sono così felice che non riesco nemmeno a descriverlo. Rendere orgogliosa la mia comunità [ovviamente LGBTQ+] e mostrare che si può fare. E sì, sono trans e voglio condividere la mia storia, ma sono anche Rikkie ed è questo che conta per me. L’ho fatto da sola e ne ho amato ogni momento».
Qualche riflessione a caldo.
Primo punto: Kollè non è il/la primo/a trans a vincere un concorso di bellezza nazionale: nel 2018 Angela Maria Ponce Camacho è diventato/a Miss Spagna e ha partecipato a Miss Universo, senza arrivare in finale. Non scommetto mai, ma quest’anno Kollè potrebbe anche vincerlo, quel titolo. Perché? Perché il/la proprietario/a del concorso di Miss Universo è il/la milionario/a thailandese Jakkaphong Jakrajutatip; trans, ovviamente. Vale la pena ricordare che il proprietario che ha aperto il concorso ai trans è Donald Trump: quando – era il 2012 - si è scoperto che Miss Canada, Jenna Talackova, era geneticamente maschio, è stata esclusa dal concorso. In seguito alle rimostranze dell’escluso/a e dopo essersi consultato con la Gay and Lesbian Alliance Against Defamation, Trump l’ha riammesso/a al concorso e ha modificato il regolamento per l’edizione successiva.
Insomma: non sembra assurdo pensare che, d’ora in poi, i podi dei concorsi di bellezza principali saranno appannaggio di transgender e che le donne, per quanto belle e talentuose possano essere, debbano accontentarsi di partecipare. Né la bellezza (comunque frutto di ritocchi chirurgici e fotografici) né il talento, infatti, hanno portato Kollé all’ambita corona: la motivazione della premiazione recita: «Ha una storia forte e una missione chiara». Quale missione? Probabilmente la stessa che ha portato il cantante austriaco Conchita Wurst a vincere l’Eurovision 2014. La stessa che ha portato sullo stesso podio, due anni fa, gli ambigui Måneskin; i quali, per chissà quale strano motivo (non credo di natura musicale), hanno vinto anche il Festival di Sanremo e una serie piuttosto lunga di premi e riconoscimenti.
Insomma: la faccenda ha tutta l’aria di un’operazione in grandissimo stile per modificare l’atteggiamento, soprattutto dei più giovani, nei confronti delle «non conformità sessuali». Non stiamo dunque parlando di concorsi di bellezza o musicali, ma di puntate di un Truman Show del quale tutti noi siamo i protagonisti inconsapevoli.
Secondo punto: il pensiero va automaticamente ad altre competizioni femminili nelle quali sono entrati i trans. Sto parlando delle competizioni sportive femminili dominate in lungo e in largo da atleti transessuali: ciclismo, nuoto e persino Mixed Martial Arts (MMA), il brutale sport di combattimento nel quale è lecito ad atleti transessuali picchiare e persino spaccare le ossa a donne (e nessuno denuncia). Se i maschi devono condividere il loro mondo con le donne, queste ultime devono fare spazio ai trans. Così funziona il politicamente corretto: c’è sempre una minoranza più minoranza della tua. Cala il sipario sul femminismo, si alza sul transessualismo.
Conviene fare un ripassino sul processo rivoluzionario con il sempre utile schema di Hegel: la tesi produce il suo opposto, l’antitesi; dalla lotta tra i due opposti sorge la sintesi che, a sua volta, diventa tesi. E il processo ricomincia. Si ha così un continuo movimento nel quale nulla è stabile, nulla è fermo, ma tutto viene continuamente superato, cancellato, contraddetto; è un eterno movimento nel quale la realtà è sempre provvisoria e destinata ad essere distrutta. Così, ogni fase del processo rivoluzionario (operaismo, femminismo eccetera) è destinato a essere superato da una nuova fase, da un nuovo -ismo: immigrazionismo, omosessualismo, transessualismo… Chi pensa di aver ricevuto giustizia o il dovuto riconoscimento dal processo rivoluzionario è destinato a essere ben presto dimenticato e accusato a sua volta.
Terzo e ultimo punto: qual è l’obiettivo finale di questi fenomeni? Qual è la logica di tutto questo complesso fenomeno? Si potrebbe pensare che sia la sessualità tradizionale, la «cisessualità», per usare il linguaggio woke. Non è così semplice. Ricordo, ad esempio, il caso di Sephora Ikalaba, la ragazza nigeriana diventata, nel 2017, Miss Helsinki. Con tutto il rispetto per la ragazza, anche nel suo caso non è possibile attribuire la vittoria alla bellezza: se per Kollè la motivazione riguardava le sue «storia e missione», nel caso della Ikalaba viene spontaneo pensare a qualcosa legato alla sua pigmentazione.
Sembra quasi che, per il mondo mediatico contemporaneo, sia necessario premiare e applaudire una certa parte di umanità, a prescindere da merito, a discapito di un’altra. Qual è la parte che va punita o penalizzata? Avere una sessualità «conforme», cioè tradizionale? Non si spiega il caso Ikalaba. Avere la pelle bianca? Non si spiega il caso Kollè.
L’unica spiegazione possibile è che si voglia penalizzare chiunque incarni la cultura europea tradizionale; che è poi la cultura sorta dal cristianesimo, che ha le sue radici ad Atene e Roma. Eccoci dunque tornati a Popper, al suo «paradosso della tolleranza», ripreso eufemisticamente da Locke e dal suo Trattato sulla tolleranza: «I papisti non devono godere i benefici della tolleranza, perché, dove essi hanno il potere, si ritengono in obbligo di rifiutarla agli altri». Siamo alle solite: il motore della modernità è l’odio a Cristo. Il buon Maestro ce l’ha ben detto: «Se il mondo vi odia, sappiate che prima di voi ha odiato me. Se foste del mondo, il mondo amerebbe ciò che è suo; poiché invece non siete del mondo, ma io vi ho scelti dal mondo, per questo il mondo vi odia » (Gv 15, 18-19).
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