“Insegnare e imparare l’amore di Dio”: è il primo volume, edito da Cantagalli, della collana di testi firmati da Joseph Ratzinger – Benedetto XVI, che presenta una raccolta di sue omelie sul sacerdozio.
Marco Tosatti
28/06/2016
“Insegnare e imparare l’amore di Dio”: è il primo volume della collana di testi firmati da Joseph Ratzinger – Benedetto XVI, che presenta una raccolta di sue omelie sul sacerdozio. Un dono per lui nella Sala Clementina del Palazzo Apostolico, nel corso della cerimonia in occasione del 65mo anniversario della sua ordinazione sacerdotale, alla presenza di Papa Francesco.
Un testo che si fregia della prefazione del Pontefice regnante, e di un’introduzione del Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, il card. Gerhard Ludwig Müller. Il Pontefice parla della “teologia in ginocchio” di Joseph Ratzinger: “in ginocchio perché, prima ancora che essere un grandissimo teologo e maestro della fede, si vede che è un uomo che veramente crede, che veramente prega; si vede che è un uomo che impersona la santità, un uomo di pace, un uomo di Dio”.Dal libro, edito da Cantagalli, il Pontefice sottolinea come la preghiera sia il fatto centrale per la Chiesa e per i cristiani. “Perché́ senza il legame con Dio siamo come satelliti che hanno perso la loro orbita e precipitano come impazziti nel vuoto, non solo disgregando se stessi ma minacciando anche gli altri”, scrive Joseph Ratzinger citato da Francesco, che riporta poi il racconto della conversione dello scrittore Julien Green, narrato da Ratzinger.
“Casualmente in questi giorni ho letto il racconto che il grande scrittore francese Julien Green fa della sua conversione. Scrive che nel periodo tra le due guerre egli viveva proprio come vive un uomo di oggi: si permetteva tutto quello che voleva, era incatenato ai piaceri contrari a Dio così che, da un lato, ne aveva bisogno per rendersi la vita sopportabile, ma, dall’altro, trovava insopportabile proprio quella stessa vita. Cerca vie d’uscita, allaccia rapporti. Va dal grande teologo Henri Bremond, ma la conversazione resta sul piano accademico, sottigliezze teoriche che non lo aiutano. Instaura un rapporto con i due grandi filosofi, i coniugi Jacques e Raîssa Maritain. Raîssa Maritain gli indica un domenicano polacco. Lui lo incontra e gli descrive an- cora questa sua vita lacerata. Il sacerdote gli dice: “E Lei, è d’accordo a vivere così?”. “No, naturalmente no!”, risponde. “Dunque vuole vivere in modo diverso; è pentito?”. Sì!” fa Green. E poi accade qual- cosa di inaspettato. Il sacerdote gli dice: “Si inginocchi! Ego te absolvo a peccatis tuis – ti assolvo”. Scrive Julien Green: “Allora mi accorsi che in fondo avevo sempre atteso questo momento, avevo sempre atteso qualcuno che mi dicesse: inginocchiati, ti assolvo. Andai a casa: non ero un altro, no, ero finalmente ridiventato me stesso”.
Invece il Prefetto della Congregazione della Fede Gerhard Ludwig Müller dalle omelie del suo predecessore sottolinea soprattutto la difesa del sacerdozio sacramentale, “che, per sua natura, è essenzialmente diverso dal sacerdozio comune di tutti i fedeli”. Il porporato tedesco coglie l'occasione per ricordare la logica che sottintende ad alcune linee guida della Chiesa di Roma: “Cristo, per mezzo della sua Risurrezione, ha superato la più̀ grande crisi della fede mai esistita: la crisi pre-pasquale dei discepoli e, in particolare, la crisi della missione e della potestà̀ apostolica, e dunque anche la crisi del sacerdozio cattolico. Così è possibile superare an-che tutte le crisi storiche del sacerdozio proprio e soltanto nel nostro sguardo rivolto al Signore, a quel Signore al quale è dato ogni potere in cielo e sulla terra e che è con noi tutti i giorni, sino alla fine del mondo”.
E Gerhard Ludwig Müller nell’anno in cui le Chiese protestanti ricordano la Riforma, mette alcuni puntini sulle “i”. “Penso in particolare – scrive - alla crisi della dottrina del sacerdozio, avvenuta durante la Riforma protestante, una crisi a livello dogmatico, con cui il sacerdote è stato ridotto a un mero rappresentante della comunità, mediante una eliminazione della differenza essenziale fra il sacerdozio ordinato e quello comune di tutti i fedeli”.
Una crisi che si ripete attualissima: “Joseph Ratzinger evidenzia con grande acume che, laddove viene meno il fondamento dogmatico del sacerdozio cattolico, non solo si esaurisce la fonte alla quale si può efficacemente abbeverare una vita alla sequela di Cristo, ma viene meno anche la motivazione che introduce sia a una ragionevole comprensione della rinuncia al matrimonio per il regno dei cieli (cfr. Mt 19, 12), sia del celibato quale segno escatologico del mondo di Dio che verrà, segno da vivere con la forza dello Spirito Santo, in letizia e certezza. Se la relazione simbolica che appartiene alla natura del sacramento viene oscurata, il celibato sacerdotale diviene il relitto di un passa- to ostile alla corporeità e viene additato e combattuto come l’unica causa della penuria di sacerdoti. Non da ultimo, scompare poi anche l’evidenza, per il magistero e la prassi della Chiesa, che il sacramento- to dell’Ordine debba essere amministrato solo a uomini. Un ufficio concepito in termini funzionali, nella Chiesa, si espone al sospetto di legittimare un dominio, che invece dovrebbe essere fondato e limitato in senso democratico”.
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