di Robi Ronza
25-06-206
Poi si tratta di andare a vedere che prezzo cercheranno di farci pagare le élites che erano sin qui riuscite con successo a costruirsi la loro Europa pretendendo che fosse anche la nostra. La prima cosa da dire però è che l’esito del referendum britannico pro o contro l’Unione Europea è un atto di grande libertà; e apre a grandi speranze. L’altro ieri in Gran Bretagna gli elettori hanno votato innanzitutto contro un ordine costituito politico e mediatico che voleva votassero diversamente; e che aveva per questo fatto letteralmente di tutto.
Parlando alla Rai in un’ascoltatissima trasmissione del mattino, l’ex-presidente della Repubblica Giorgio Napolitano si è permesso ieri di definire “incauto” il premier britannico Cameron per aver sottoposto a referendum popolare la questione della permanenza o meno del suo Paese nell’Ue. Da questioni di questa importanza, secondo Napolitano, è meglio che il popolo venga lasciato fuori. Dando prova di una notevole mancanza di comune senso del pudore, il suo pupillo Mario Monti ha detto anche di peggio. Capo di governo imposto al Parlamento, e nominato allo scopo senatore a vita pochi giorni prima della sua entrata in carica, Monti ha affermato che indicendo il referendum Cameron avrebbe nientemeno che «abusato della democrazia».
Quando insomma un popolo vota di testa sua, e non come avrebbero voluto loro, alle élites abituate a considerare “cosa nostra” le istituzioni europee casca la maschera. Da due giorni a questa parte i Napolitano e i Monti di ogni parte d’Europa sono fuori di sé al punto da non riuscire più a nascondere l’autoritarismo recondito, post-comunista o massonico che sia, che caratterizza non da oggi la loro visione politica. Anche se a mio avviso la Brexit è uno shock salutare per l’Unione Europea, senza dubbio non è ordinaria amministrazione. Come si diceva, le élites che non la volevano cercheranno di far pagare al mondo il fallimento del loro progetto facendone il capro espiatorio su cui scaricare emergenze che con essa non hanno nulla a che vedere.
É il caso ad esempio dei titoli dei grandi gruppi bancari italiani sulle cui sorti non si vede che cosa possa pesare l’esodo di Londra dall’Unione. Si deve quindi dare per scontato che ci attendono giorni di turbolenza sui mercati finanziari internazionali; e chi è in grado di farlo ha il preciso dovere di intervenire per stabilizzarli. Frattanto è già scattata la “macchina” della mistificazione del significato profondo della Brexit. In ultima analisi l’episodio è un segno clamoroso del fallimento della pretesa di costruire l’Europa politica basandola solo sugli interessi e prescindendo testardamente dalla sua storia e dai valori che la caratterizzano. L’Europa si può salvare soltanto se cambia risolutamente strada riscoprendo il meglio di se stessa. Viceversa già si sta tentando di far passare l’idea che dalla crisi evidenziata dalla Brexit si possa uscire non cambiando strada bensì andando avanti a testa bassa come se niente fosse.
Per evidenti motivi le chiavi della soluzione di questa crisi stanno in gran parte nelle mani della gente di fede. Purché però la gente di fede sia a sua volta fedele a ciò che ha incontrato. È il caso in tale prospettiva di riandare a un documento oggi perciò quanto mai attuale: il discorso di Benedetto XVI ai partecipanti al congresso della Commissione degli Episcopati della Comunità Europea riunita a Roma il 24 marzo 2007 alla vigilia del 50° anniversario dei trattati istitutivi delle prime organizzazioni europee. Dopo aver messo in luce gli aspetti positivi del processo allora avviatosi Benedetto XVI osservava però che l’Europa sta «di fatto perdendo fiducia nel proprio avvenire. (…) Il processo stesso di unificazione europea si rivela non da tutti condiviso, per l’impressione diffusa che vari “capitoli” del progetto europeo siano stati “scritti” senza tener adeguato conto delle attese dei cittadini».
«Da tutto ciò emerge chiaramente», continuava Benedetto XVI, «che non si può pensare di edificare un’autentica “casa comune” europea trascurando l’identità propria dei popoli di questo nostro Continente. Si tratta, infatti, di un’identità storica, culturale e morale, prima ancora che geografica, economica o politica; un’identità costituita da un insieme di valori universali, che il Cristianesimo ha contribuito a forgiare, acquisendo così un ruolo non soltanto storico, ma fondativo nei confronti dell’Europa. Tali valori, che costituiscono l’anima del Continente, devono restare nell’Europa del terzo millennio come “fermento” di civiltà. Se infatti essi dovessero venir meno, come potrebbe il “vecchio” Continente continuare a svolgere la funzione di “lievito” per il mondo intero? Se, in occasione del 50.mo dei Trattati di Roma, i Governi dell’Unione desiderano “avvicinarsi” ai loro cittadini, come potrebbero escludere un elemento essenziale dell’identità europea qual è il Cristianesimo, in cui una vasta maggioranza di loro continua a identificarsi?».
«Non è motivo di sorpresa che l’Europa odierna», continua Ratzinger, «mentre ambisce di porsi come una comunità di valori, sembri sempre più spesso contestare che ci siano valori universali ed assoluti? Questa singolare forma di “apostasia” da se stessa, prima ancora che da Dio, non la induce forse a dubitare della sua stessa identità? (….) Una comunità che si costruisce senza rispettare l’autentica dignità dell’essere umano, dimenticando che ogni persona è creata ad immagine di Dio, finisce per non fare il bene di nessuno (…). Nell’attuale momento storico e di fronte alle molte sfide che lo segnano, l’Unione Europea per essere valida garante dello stato di diritto ed efficace promotrice di valori universali, non può non riconoscere con chiarezza l’esistenza certa di una natura umana stabile e permanente, fonte di diritti comuni a tutti gli individui, compresi coloro stessi che li negano. In tale contesto, va salvaguardato il diritto all’obiezione di coscienza, ogniqualvolta i diritti umani fondamentali fossero violati».
Sembra poi più che mai rivolto a ciascuno di noi oggi l’invito e l’incoraggiamento con cui il discorso si concludeva: «so quanto difficile sia per i cristiani difendere strenuamente questa verità dell’uomo. Non stancatevi però e non scoraggiatevi! Voi sapete di avere il compito di contribuire a edificare con l’aiuto di Dio una nuova Europa, realistica ma non cinica, ricca d’ideali e libera da ingenue illusioni, ispirata alla perenne e vivificante verità del Vangelo. Per questo siate presenti in modo attivo nel dibattito pubblico a livello europeo, consapevoli che esso fa ormai parte integrante di quello nazionale, e affiancate a tale impegno un’efficace azione culturale. Non piegatevi alla logica del potere fine a se stesso! Vi sia di costante stimolo e sostegno l’ammonimento di Cristo: se il sale perde il suo sapore a null’altro serve che ad essere buttato via e calpestato (cfr Mt 5,13)».
Sono urgenze – osserviamo infine -- già al centro delle riflessioni che l’allora cardinale Joseph Ratzinger aveva affidato nel 1992 a un libro Svolta per l’Europa: Chiesa e modernità nell’Europa dei rivolgimenti (Edizioni Paoline, Milano, 1992) oggi tutto da riscoprire.
Poi si tratta di andare a vedere che prezzo cercheranno di farci pagare le élites che erano sin qui riuscite con successo a costruirsi la loro Europa pretendendo che fosse anche la nostra. La prima cosa da dire però è che l’esito del referendum britannico pro o contro l’Unione Europea è un atto di grande libertà; e apre a grandi speranze. L’altro ieri in Gran Bretagna gli elettori hanno votato innanzitutto contro un ordine costituito politico e mediatico che voleva votassero diversamente; e che aveva per questo fatto letteralmente di tutto.
Parlando alla Rai in un’ascoltatissima trasmissione del mattino, l’ex-presidente della Repubblica Giorgio Napolitano si è permesso ieri di definire “incauto” il premier britannico Cameron per aver sottoposto a referendum popolare la questione della permanenza o meno del suo Paese nell’Ue. Da questioni di questa importanza, secondo Napolitano, è meglio che il popolo venga lasciato fuori. Dando prova di una notevole mancanza di comune senso del pudore, il suo pupillo Mario Monti ha detto anche di peggio. Capo di governo imposto al Parlamento, e nominato allo scopo senatore a vita pochi giorni prima della sua entrata in carica, Monti ha affermato che indicendo il referendum Cameron avrebbe nientemeno che «abusato della democrazia».
Quando insomma un popolo vota di testa sua, e non come avrebbero voluto loro, alle élites abituate a considerare “cosa nostra” le istituzioni europee casca la maschera. Da due giorni a questa parte i Napolitano e i Monti di ogni parte d’Europa sono fuori di sé al punto da non riuscire più a nascondere l’autoritarismo recondito, post-comunista o massonico che sia, che caratterizza non da oggi la loro visione politica. Anche se a mio avviso la Brexit è uno shock salutare per l’Unione Europea, senza dubbio non è ordinaria amministrazione. Come si diceva, le élites che non la volevano cercheranno di far pagare al mondo il fallimento del loro progetto facendone il capro espiatorio su cui scaricare emergenze che con essa non hanno nulla a che vedere.
É il caso ad esempio dei titoli dei grandi gruppi bancari italiani sulle cui sorti non si vede che cosa possa pesare l’esodo di Londra dall’Unione. Si deve quindi dare per scontato che ci attendono giorni di turbolenza sui mercati finanziari internazionali; e chi è in grado di farlo ha il preciso dovere di intervenire per stabilizzarli. Frattanto è già scattata la “macchina” della mistificazione del significato profondo della Brexit. In ultima analisi l’episodio è un segno clamoroso del fallimento della pretesa di costruire l’Europa politica basandola solo sugli interessi e prescindendo testardamente dalla sua storia e dai valori che la caratterizzano. L’Europa si può salvare soltanto se cambia risolutamente strada riscoprendo il meglio di se stessa. Viceversa già si sta tentando di far passare l’idea che dalla crisi evidenziata dalla Brexit si possa uscire non cambiando strada bensì andando avanti a testa bassa come se niente fosse.
Per evidenti motivi le chiavi della soluzione di questa crisi stanno in gran parte nelle mani della gente di fede. Purché però la gente di fede sia a sua volta fedele a ciò che ha incontrato. È il caso in tale prospettiva di riandare a un documento oggi perciò quanto mai attuale: il discorso di Benedetto XVI ai partecipanti al congresso della Commissione degli Episcopati della Comunità Europea riunita a Roma il 24 marzo 2007 alla vigilia del 50° anniversario dei trattati istitutivi delle prime organizzazioni europee. Dopo aver messo in luce gli aspetti positivi del processo allora avviatosi Benedetto XVI osservava però che l’Europa sta «di fatto perdendo fiducia nel proprio avvenire. (…) Il processo stesso di unificazione europea si rivela non da tutti condiviso, per l’impressione diffusa che vari “capitoli” del progetto europeo siano stati “scritti” senza tener adeguato conto delle attese dei cittadini».
«Da tutto ciò emerge chiaramente», continuava Benedetto XVI, «che non si può pensare di edificare un’autentica “casa comune” europea trascurando l’identità propria dei popoli di questo nostro Continente. Si tratta, infatti, di un’identità storica, culturale e morale, prima ancora che geografica, economica o politica; un’identità costituita da un insieme di valori universali, che il Cristianesimo ha contribuito a forgiare, acquisendo così un ruolo non soltanto storico, ma fondativo nei confronti dell’Europa. Tali valori, che costituiscono l’anima del Continente, devono restare nell’Europa del terzo millennio come “fermento” di civiltà. Se infatti essi dovessero venir meno, come potrebbe il “vecchio” Continente continuare a svolgere la funzione di “lievito” per il mondo intero? Se, in occasione del 50.mo dei Trattati di Roma, i Governi dell’Unione desiderano “avvicinarsi” ai loro cittadini, come potrebbero escludere un elemento essenziale dell’identità europea qual è il Cristianesimo, in cui una vasta maggioranza di loro continua a identificarsi?».
«Non è motivo di sorpresa che l’Europa odierna», continua Ratzinger, «mentre ambisce di porsi come una comunità di valori, sembri sempre più spesso contestare che ci siano valori universali ed assoluti? Questa singolare forma di “apostasia” da se stessa, prima ancora che da Dio, non la induce forse a dubitare della sua stessa identità? (….) Una comunità che si costruisce senza rispettare l’autentica dignità dell’essere umano, dimenticando che ogni persona è creata ad immagine di Dio, finisce per non fare il bene di nessuno (…). Nell’attuale momento storico e di fronte alle molte sfide che lo segnano, l’Unione Europea per essere valida garante dello stato di diritto ed efficace promotrice di valori universali, non può non riconoscere con chiarezza l’esistenza certa di una natura umana stabile e permanente, fonte di diritti comuni a tutti gli individui, compresi coloro stessi che li negano. In tale contesto, va salvaguardato il diritto all’obiezione di coscienza, ogniqualvolta i diritti umani fondamentali fossero violati».
Sembra poi più che mai rivolto a ciascuno di noi oggi l’invito e l’incoraggiamento con cui il discorso si concludeva: «so quanto difficile sia per i cristiani difendere strenuamente questa verità dell’uomo. Non stancatevi però e non scoraggiatevi! Voi sapete di avere il compito di contribuire a edificare con l’aiuto di Dio una nuova Europa, realistica ma non cinica, ricca d’ideali e libera da ingenue illusioni, ispirata alla perenne e vivificante verità del Vangelo. Per questo siate presenti in modo attivo nel dibattito pubblico a livello europeo, consapevoli che esso fa ormai parte integrante di quello nazionale, e affiancate a tale impegno un’efficace azione culturale. Non piegatevi alla logica del potere fine a se stesso! Vi sia di costante stimolo e sostegno l’ammonimento di Cristo: se il sale perde il suo sapore a null’altro serve che ad essere buttato via e calpestato (cfr Mt 5,13)».
Sono urgenze – osserviamo infine -- già al centro delle riflessioni che l’allora cardinale Joseph Ratzinger aveva affidato nel 1992 a un libro Svolta per l’Europa: Chiesa e modernità nell’Europa dei rivolgimenti (Edizioni Paoline, Milano, 1992) oggi tutto da riscoprire.
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