La folgorante critica di una studiosa australiana all'esortazione postsinodale. "Abbiamo perso ogni punto d'appoggio e siamo caduti come Alice in un universo parallelo, dove nulla è ciò che sembra essere"
di Sandro Magister
ROMA, 7 giugno 2016 – Occhio all'autrice del volume qui sopra, prima edizione critica di un capolavoro di san Basilio il Grande andato perduto nell'originale greco ma giunto a noi grazie a un'antica versione in siriaco attestata in cinque manoscritti, pubblicato due anni fa dalla storica editrice Brill attiva in Olanda dal XVII secolo.
L'autrice è Anna M. Sllvas ed è studiosa tra le più rinomate al mondo dei Padri della Chiesa, soprattutto orientali. Appartiene alla Chiesa grecocattolica di Romania e vive in Australia, ad Armidale, nel Nuovo Galles del Sud.
Insegna nella University of New England e nella Australian Catholic University. I suoi principali soggetti di studio sono i Padri Cappadoci, Basilio, Gregorio di Nazianzo, Gregorio di Nissa, lo sviluppo del monachesimo, l'ascetismo femminile nella prima cristianità e nel Medioevo.
Tiene inoltre corsi sul matrimonio, la famiglia e la sessualità nella tradizione cattolica al Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per Studi su Matrimonio e Famiglia di Melbourne.
Quello che segue è il suo commento all'esortazione apostolica postsinodale "Amoris laetitia", pronunciato davanti a un folto pubblico con vescovi e sacerdoti e poi pubblicato sul sito web della parrocchia del beato John Henry Newman a Caulfield North, nei pressi di Melbourne:
> Some Concerns about "Amoris Laetitia"
Il testo originale del commento è arricchito con alcune note a piè di pagina e un epilogo con un brano di san Basilio, qui omessi.
Ma non una parola di più. Il commento di Anna M. Sllvas è tutto da leggere. Brillante, acuto, competente, schietto. Un esempio luminoso di quella "parresìa" che è dovere di ogni battezzato.
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Alcune preoccupazioni riguardo "Amoris laetitia"
di Anna M. Silvas
In questa conversazione vorrei illustrare alcune delle mie preoccupazioni più pressanti riguardo "Amoris laetitia". Queste riflessioni sono raccolte in tre sezioni. La prima parte illustrerà le preoccupazioni di carattere generale; la seconda parte si concentrerà sull’ormai famigerato capitolo ottavo; e la terza parte indicherà alcune implicazioni di "Amoris laetitia", per i sacerdoti e il cattolicesimo.
Sono consapevole che "Amoris laetitia", in quanto esortazione apostolica, non ricade sotto un qualsiasi titolo di infallibilità. Eppure è un documento del magistero pontificio ordinario, e quindi rende piuttosto arduo il proposito di criticarla, soprattutto dottrinalmente. Mi sembra una situazione senza precedenti. Vorrei che ci fosse un grande santo, come san Paolo, sant'Atanasio, san Bernardo o santa Caterina da Siena, che possa avere il coraggio e le credenziali spirituali, cioè la profezia del tipo più vero, per dire la verità al successore di Pietro e richiamarlo a un migliore quadro concettuale. In questa fase l'autorità gerarchica nella Chiesa sembra essere entrata in una strana paralisi. Forse questa è l'ora dei profeti, ma di profeti veri. Dove sono i santi, con "nooi", intelletti, purificati dal lungo contatto con il Dio vivente nella preghiera e nell'ascesi, dotati di parola ispirata, capaci di un tale compito? Dove sono queste persone?
Preoccupazioni generali
Scolpite su tavole di pietra dal dito del Dio vivente (Es 31, 8; 32, 15), dicono le dieci "parole" proclamate agli uomini di ogni tempo: "Non commettere adulterio" (Es 20, 14) e: "Non desiderare la moglie del tuo prossimo" (Es 20,17).
Nostro Signore stesso ha dichiarato: "Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un'altra, commette adulterio contro di lei" (Mc 10, 11).
E l'apostolo Paolo ha ribadito l'espressione: "Sarà chiamata adultera se vive con un altro uomo mentre il marito è vivo (Rom 7, 3).
Con un silenzio assordante, la parola "adulterio" è del tutto assente dal lessico di "Amoris laetitia". Invece vi troviamo qualcosa chiamato "unione irregolare", o "situazione irregolare", con "irregolare" tra virgolette, come se l'autore volesse tenersene a distanza.
"Se mi amate", dice il Signore, "osserverete i miei comandamenti" (Gv 14, 15) e il Vangelo e le lettere di Giovanni ripetono questo ammonimento del Signore in vari modi. Ciò non vuol dire che la nostra condotta è giustificata dai nostri sentimenti soggettivi, ma piuttosto che la nostra disposizione soggettiva è verificata nella nostra condotta, vale a dire nell'atto obbedienziale. Purtroppo, quando scorriamo "Amoris laetitia", troviamo che anche i "comandamenti" sono del tutto assenti dal suo lessico, come lo è anche l'obbedienza. Invece troviamo dei cosiddetti "ideali", che compaiono più volte in tutto il documento.
Un'altro concetto chiave che non trovo nel linguaggio di questo documento è il timor di Dio. Cioè quello stupore di fronte alla realtà sovrana di Dio che è il principio della sapienza, uno dei doni dello Spirito Santo nella cresima. Davvero questo santo timore è da tempo scomparso da una vasta parte del discorso cattolico moderno. Si tratta di un'espressione semitica che sta per "eulabeia" ed "eusebia" in greco e per "pietas" e "religio" in latino, il cuore di una disposizione verso Dio, lo spirito autentico della religione.
Un altro registro di linguaggio che manca in "Amoris laetitia" è quello della salvezza eterna. Non si trovano in questo documento anime immortali che anelano all'eterna salvezza! È vero, troviamo "vita eterna" ed "eternità" nominate nei nn. 166 e 168 come l'apparentemente inevitabile "compimento" del destino di un bambino, ma senza alcun accenno a imperativi di grazia e di lotta, insomma di salvezza eterna, che facciano parte di quel cammino.
Dato che la cultura intellettuale intrisa di fede di ciascuno è formata per dare eco alle parole che egli ascolta, la loro assenza produce un fischio nelle mie orecchie. Guardiamo poi quello che troviamo nel documento stesso.
Perché un testo tanto prolisso, con tutte le sue 260 pagine, più di tre volte la lunghezza della "Familiaris consortio"? Questa è sicuramente una grande scortesia pastorale. Eppure papa Francesco vuole che si legga "ogni parte con pazienza e con attenzione" (n. 7). Bene, alcuni di noi hanno dovuto farlo. E gran parte del testo è di tipo noioso e volatile. In generale trovo il discorso di papa Francesco, non solo qui ma ovunque, piatto e unidimensionale. "Superficiale", potrei definirlo, e anche "semplicistico": nessun senso di profondità dischiuso da parole sante e vere, che ci invitino a prendere il largo.
Una delle caratteristiche meno gradevoli della "Amoris laetitia" sono i molti commenti bruschi e insofferenti di papa Francesco, le puntate polemiche che tanto abbassano il tono del discorso. Si resta molte volte perplessi riguardo alla fondatezza di questi commenti. Per esempio, nella famigerata nota 351, il papa ammonisce i sacerdoti che "il confessionale non dev’essere una sala di tortura". Una sala di tortura?
In un altro passaggio, al n. 36, dice: "Spesso abbiamo presentato il matrimonio in modo tale che il suo fine unitivo, l’invito a crescere nell’amore e l’ideale di aiuto reciproco sono rimasti in ombra per un accento quasi esclusivo posto sul dovere della procreazione".
Chiunque abbia la minima conoscenza dello sviluppo della dottrina sul matrimonio sa che il bene unitivo ha ricevuto una grande rinnovata attenzione almeno a partire da "Gaudium et spes" 49, con un retroterra storico di qualche decennio.
Per me, queste caricature impulsive e infondate sono indegne della dignità e serietà che dovrebbe avere una esortazione apostolica.
Nei nn. 121-122 abbiamo un esempio perfetto della qualità erratica del discorso di papa Francesco. Dopo una iniziale descrizione del matrimonio come "segno prezioso" e "icona dell'amore di Dio per noi", nel giro di poche righe questa immagine di Cristo e della sua Chiesa diventa un "tremendo peso’" che viene imposto sui coniugi. Egli ha già usato questo termine, "peso", al n. 37. Ma chi si è mai aspettata un'immediata perfezione degli sposi? Chi non ha concepito il matrimonio come progetto di tutta una vita, di crescita nel vissuto del sacramento?
Il linguaggio di papa Francesco sull’emozione e sulla passione (nn. 125, 242, 143, 145) attinge non dai Padri della Chiesa o dai maestri della vita spirituale nella grande tradizione, ma piuttosto dalla mentalità dei media popolari. La sua semplicistica fusione tra eros e desiderio sessuale nel n. 151 soccombe alla visione laicista e ignora la "Deus caritas est" di papa Benedetto, immersa in una esposizione meditata del mistero di eros, di agape e della croce.
Ci si trova a disagio davanti al linguaggio ambiguo dei nn. 243 e 246, che fa pensare che in qualche modo sia colpa della Chiesa, o sia qualcosa di cui la Chiesa debba chiedere scusa, il fatto che dei suoi membri entrino in un’unione oggettivamente adulterina, e in tal modo si escludano dalla santa comunione. Questa è un'idea guida che pervade l'intero documento.
Qualche volta durante la lettura di questo documento ho fatto una pausa e ho pensato: "È da tante pagine che non sento parlare di Cristo". Troppo spesso siamo sottoposti a lunghe tirate di consigli da zio di campagna che potrebbero essere dati da qualsiasi giornalista laico, senza la fede, del genere che si trova nelle pagine del Reader’s Digest, o in uno di quei supplementi sullo stile di vita abbinati ai giornali del fine settimana.
È vero, alcune delle dottrine della Chiesa sono solidamente sostenute, ad esempio contro le unioni dello stesso sesso (n. 52) e la poligamia (n. 53), l’ideologia del "gender" (n. 56) e l'aborto (n. 84); ci sono conferme della indissolubilità del matrimonio (n. 63) e del suo fine procreativo e un sostegno della "Humanae vitae" (nn. 68, 83), dei diritti sovrani dei genitori nell'educazione dei propri figli (n. 84), del diritto di ogni bambino a una madre e a un padre (nn. 172, 175), dell'importanza dei padri (nn. 176, 177). Si trova anche qua e là qualche pensiero poetico, come ad esempio sullo "sguardo" contemplativo di amore tra gli sposi (nn. 127-8) o sulla maturazione del buon vino come immagine della maturazione dei coniugi (n. 135).
Ma tutta questa lodevole dottrina è minata, a mio avviso, dalla retorica dell’esortazione nell’insieme, e da quella dell’intero pontificato di papa Francesco. Queste conferme della dottrina cattolica sono benvenute, ma bisogna chiedere: hanno in qualche misura più peso dell’entusiasmo fuggevole ed erratico del titolare attuale della cattedra di san Pietro? Lo dico seriamente. Il mio istinto mi dice che la prossima materia in pericolo di andare all'aria sarà il cosiddetto "matrimonio" tra persone dello stesso sesso. Se è possibile costruire una giustificazione di stati di oggettivo adulterio sulla base del riconoscimento degli "elementi costruttivi in quelle situazioni che non corrispondono ancora o non più all'insegnamento della Chiesa sul matrimonio" (n. 292), "quando l’unione raggiunge una notevole stabilità attraverso un vincolo pubblico ed è connotata da affetto profondo, da responsabilità nei confronti della prole" (n. 293) ecc., fino a quando si potrà rinviare l'applicazione del medesimo ragionamento alle coppie dello stesso sesso? Sì, i bambini possono essere in questione, come sappiamo molto bene dall'agenda omosessuale. Già l'ex curatore del Catechismo cattolico, [il cardinale Christoph Schönborn], alla cui ermeneutica di "Amoris laetitia" come "sviluppo della dottrina" papa Francesco ci ha rimandato, sembra essere "in evoluzione" sulla potenziale "bontà" di "unioni" dello stesso sesso.
Lettura del capitolo otto
E tutto questo prima di arrivare a leggere il capitolo otto. Mi sono chiesto se la straordinaria prolissità dei primi sette capitoli aveva lo scopo di sfinirci prima di arrivare a questo capitolo cruciale, e farci abbassare la guardia. Per me, l'intero tenore del capitolo otto è problematico, non solo il n. 304 e la nota 351. Non appena ho finito di leggerlo ho pensato: è chiaro come il sole che papa Francesco voleva fin dall'inizio qualche forma della proposta Kasper. Ed ecco qui. Kasper ha vinto. Tutto questo spiega i taglienti commenti di papa Francesco alla fine del sinodo del 2015, quando censurò i "farisei" di corte vedute, evidentemente coloro che gli avevano impedito di ottenere un risultato ancora migliore in linea con la sua agenda. "Farisei"? Che improprietà di linguaggio! Quelli erano in un certo senso i modernisti del giudaismo, i padroni di diecimila sfumature e, più pertinentemente, quelli che tenacemente sostenevano la pratica del divorzio e del nuovo matrimonio. I veri analoghi dei farisei in tutta questa vicenda sono Kasper e i suoi alleati.
Andiamo avanti. Le parole del n. 295, sulle osservazioni di san Giovanni Paolo II sulla "legge di gradualità" in "Familiaris consortio" 34, mi sembrano sottilmente sleali e corrompitrici. Perché cercano di cooptare e corrompere Giovanni Paolo proprio a sostegno di un'etica "della situazione" per opporsi alla quale il santo papa spese tutta la sua amorevole intelligenza pastorale ed energia. Sentiamo allora che cosa san Giovanni Paolo dice veramente sulla legge di gradualità:
“I coniugi... tuttavia, non possono guardare alla legge solo come ad un puro ideale da raggiungere in futuro, ma debbono considerarla come un comando di Cristo Signore a superare con impegno le difficoltà. Perciò la cosiddetta 'legge della gradualità', o cammino graduale, non può identificarsi con la 'gradualità della legge', come se ci fossero vari gradi e varie forme di precetto nella legge divina per uomini e situazioni diverse. Tutti i coniugi, secondo il disegno divino, sono chiamati alla santità nel matrimonio".
La nota 329 di "Amoris laetitia" presenta anch'essa un altro corrompimento furtivo. Cita un passaggio di "Gaudium et spes" 51, riguardante l'intimità della vita coniugale. Ma tramite un gioco di prestigio nascosto lo mette invece sulla bocca dei divorziati risposati. Tali corrompimenti sicuramente indicano che i rimandi e le note, che in questo documento sono utilizzati come colonne portanti, devono essere adeguatamente verificati.
Già nel n. 297 vediamo la responsabilità delle "situazioni irregolari" trasferita al discernimento dei pastori. Passo dopo passo le argomentazioni portano avanti sottilmente un'agenda precisa. Il n. 299 domanda come "diverse forme di esclusione attualmente praticate" possono essere superate, e il n. 301 introduce l'idea di un "colloquio col sacerdote in foro interno". Non si può già indovinare in che direzione l’argomentazione procede?
Si arriva così al n. 301, che fa a meno delle precauzioni mentre discendiamo nel vortice delle "circostanze attenuanti". Qui sembra che la "vecchia Chiesa gretta" finalmente è stata sostituita dalla "nuova Chiesa gentile": nel passato magari pensavamo che coloro che vivono in "situazioni irregolari" senza pentimento fossero in un stato di peccato mortale; ora invece è possibile che non siano affatto in uno stato di peccato mortale, infatti la grazia santificante può essere all’opera in loro.
Si spiega poi, in un eccesso di puro soggettivismo, che "un soggetto, pur conoscendo bene la norma, può avere grande difficoltà nel comprendere i valori insiti nella norma morale". Ecco una circostanza attenuante che batte tutte le altre circostanze attenuanti. Stando a questa tesi, possiamo allora discolpare l’invidia originaria di Lucifero perché aveva "grande difficoltà nel comprendere" il "valore insito", per lui, della maestà trascendente di Dio? A questo punto sento che abbiamo perso ogni punto d'appoggio e siamo caduti come Alice in un universo parallelo, dove nulla è ciò che sembra essere.
Una serie di citazioni di san Tommaso d'Aquino è introdotta a sostegno, sulla quale io non sono qualificata per commentare, se non per dire che, ovviamente, la verifica e la contestualizzazione sono fortemente indicate. Il n. 304 è un'apologia altamente tecnica della morale casistica, sostenuta in termini esclusivamente filosofici senza nessun accenno a Cristo o alla fede. Non si può non pensare che questo passaggio sia di altra mano. Non è lo stile di Francesco, anche supponendo che sia il suo pensiero.
Infine arriviamo al cruciale n. 305. Inizia con due delle scadenti caricature che ricorrono in tutto il documento. La nuova dottrina che papa Francesco aveva messo in vista un po' prima, adesso egli la ripete e ribadisce: una persona può essere in una situazione oggettiva di peccato mortale – perché è di questo che egli parla – e vivere e crescere ancora nella grazia di Dio, sempre "ricevendo a tale scopo l’aiuto della Chiesa" che – la famigerata nota 351 dichiara – può includere "in certi casi" sia la confessione che la comunione. Sono sicura che molti già cercano assiduamente di "interpretare" tutto questo secondo una "ermeneutica della continuità", per mostrare la sua armonia, presumo, con la tradizione. Potrei aggiungere che in questo n. 305 papa Francesco cita se stesso quattro volte. In realtà, sembra che per papa Francesco il punto di riferimento citato più frequentemente in "Amoris laetitia" sia se stesso, e anche questo è interessante in sé.
Nel resto del capitolo papa Francesco cambia rotta. Fa la contorta ammissione che il suo approccio può dare "luogo a confusione" (n. 308). A questo egli risponde con una discussione sulla "misericordia". All'inizio di n. 7 aveva scritto che "tutti si vedano molto interpellati dal capitolo ottavo". Sì, ma non proprio intendendo ciò in uno spensierato senso euristico. Papa Francesco ha francamente ammesso in passato che egli è il tipo di persona che ama fare "casino"? Beh, credo che possiamo concedere che qui egli ha certamente raggiunto tale scopo.
Mi sia permesso raccontare di un amico piuttosto taciturno e prudente, un uomo sposato, che mi ha detto, prima che l’esortazione apostolica fosse pubblicata: "Oh, come spero che egli possa evitare l'ambiguità". Ebbene, penso che anche la più pia lettura di "Amoris laetitia" non consente di dire che egli abbia evitato l'ambiguità. Per dirla con le stesse parole di papa Francesco, "troviamo fenomeni ambigui" (n. 33) in questo documento e, mi permetto di dire, in tutto il suo pontificato. Se siamo stati messi nella situazione impossibile di criticare un documento del magistero ordinario, consideriamo se in "Amoris laetitia" non sia proprio papa Francesco che relativizza l'autorità del magistero, elidendo il magistero di Giovanni Paolo, specialmente in "Familiaris consortio" e "Veritatis splendor". Sfido chiunque a rileggere con proprietà l'enciclica "Veritatis splendor", poniamo i nn. 95-105, e a non concludere che c'è una dissonanza profonda tra quell'enciclica e questa esortazione apostolica. Negli anni della mia giovinezza mi sono arrovellata sopra l'enigma: come si può essere obbediente al disobbediente? Perché anche un papa è chiamato all'obbedienza, anzi, lo è in modo preminente.
Implicazioni che vanno al di là di "Amoris laetitia"
Le serie difficoltà che prevedo, per i sacerdoti in particolare, sorgono dallo scontrarsi delle interpretazioni sulle scappatoie discretamente piantate in tutta la "Amoris laetitia". Che cosa farà un giovane sacerdote novello che, ben informato, vorrà sostenere che i divorziati risposati non possono in alcun modo essere ammessi alla santa comunione, mentre il suo parroco ha una politica di "accompagnamento", che al contrario prevede che possono? Che cosa farà un sacerdote con un simile senso di fedeltà, se il suo vescovo e la sua diocesi decidono per una politica più liberale? Che cosa farà una regione di vescovi nei confronti di un'altra regione di vescovi, quando ogni gruppo di vescovi decide come tagliare e dividere le ”sfumature" di questa nuova dottrina, in modo che, nel caso peggiore, ciò che è ritenuto essere peccato mortale su un lato del confine è "accompagnato" via e condonato sull'altro lato del confine? Sappiamo che questo sta già accadendo, ufficialmente, in talune diocesi tedesche, e non ufficialmente in Argentina e anche qui in Australia, da anni, come posso verificare nella mia famiglia.
Tale esito è così sconcertante che potrebbe segnare, come ha suggerito un altro mio amico, anche lui sposato, il crollo della narrazione cristiana cattolica. Ma naturalmente anche altri aspetti del deterioramento ecclesiale e sociale ci hanno portato a questo punto: lo scempio del falso rinnovamento nella Chiesa in questi ultimi decenni; la politica sbalorditivamente stupida della inculturazione applicata a una sradicata cultura occidentale di secolarismo militante; l'inesorabile, progressiva erosione del matrimonio e della famiglia nella società; l’attacco alla Chiesa che è più potente dall'interno che dall'esterno, come papa Benedetto denunciava; la prolungata defezione di alcuni teologi e laici in materia di contraccezione; gli spaventosi scandali sessuali; gli innumerevoli sacrilegi; lo smarrimento dello spirito della liturgia; gli scismi interni "de facto" su tutta una serie di gravi problemi e approcci, sottilmente mascherati con una parvenza di unità "de iure" della Chiesa; i modelli di profonda dissonanza spirituale e morale che ribollono ai giorni nostri sotto il titolo consunto di "cattolici". E ci meravigliamo che la Chiesa sia in uno stato indebolito e stia scomparendo?
Potremmo anche tracciare i lunghi antecedenti temporali di "Amoris laetitia". Siccome sono di un’animo un po’ all’antica, vedo questo documento come il cattivo frutto di certi sviluppi del secondo millennio nella Chiesa occidentale. Ne sottolineo brevemente due in particolare: la forma fortemente razionalista e dualista del tomismo promossa dai gesuiti nel XVI secolo e, in tale contesto, la loro elaborazione della comprensione casistica del peccato mortale nel XVII secolo. L'arte della casistica è stata applicata in una nuova categoria di scienza sacra chiamata "teologia morale", in cui, mi sembra, la regola di calcolo è sapientemente maneggiata per stimare – tecnicamente, caso per caso – la colpevolezza minima necessaria per evitare l’imputazione di peccato mortale. Che spirituale meta! Che spirituale visione! Oggi la casistica rialza la sua brutta testa nella nuova forma dell'etica della situazione, e "Amoris laetitia", francamente, ne è piena, anche se essa è stata esplicitamente condannata da san Giovanni Paolo II nell'enciclica "Veritatis splendor"!
Perorazione
Posso esortarvi in ??qualche modo che possa aiutare? San Basilio pronunciò una grande omelia sul testo: "Solo presta attenzione a te stesso e custodisci la tua anima con diligenza" (Dt 4, 9). Dobbiamo prima di tutto prestare cura alle nostre disposizioni. I Padri del deserto hanno diversi racconti in cui un giovane monaco persegue la sua salvezza eterna con l'eroica mitezza della sua obbedienza a un abate con imperfezioni serie. E finisce con l'ottenere anche il pentimento e la salvezza del suo abate. Non dobbiamo lasciarci tentare da reazioni di ostilità verso papa Francesco, o rischiamo di cadere nel gioco del diavolo. Anche questo profondamente imperfetto Santo Padre dobbiamo onorare, e sostenere nella carità, e pregare per lui. Con Dio nulla sarà impossibile. Chissà che Dio non abbia portato Jorge Mario Bergoglio in questa posizione al fine di trovare un numero sufficiente di persone che preghino efficacemente per la salvezza della sua anima?
Ho notato che i cardinali Sarah e Pell tacciono. Ci può essere della saggezza in questo, almeno per ora. Nel frattempo, chi ha delle responsabilità nel governo della Chiesa dovrà dare disposizioni pratiche per quanto riguarda le questioni spinose di "Amoris laetitia". Prima di tutto, nella nostra mente, non dobbiamo avere alcun dubbio su quale è e sarà sempre il reale insegnamento del Vangelo. Ovviamente, qualsiasi strategia di pressione per un chiarimento ufficiale della futura pratica pastorale deve essere tentata. Sollecito in particolare i vescovi australiani a fare questo. Alcuni potrebbero trovarsi in situazioni molto difficili rispetto ai loro confratelli, quasi esigendo le virtù di un confessore della fede. Sono pronti alla fustigazione, metaforicamente parlando, che li potrebbe colpire? Certo uno potrebbe scegliere la sicurezza illusoria della vacuità convenzionale e della simpatia superficiale, una grande tentazione per ecclesiastici come anche per uomini d’affari. Non lo consiglio. I tempi sono gravi, forse molto più gravi di quanto sospettiamo. Siamo messi alla prova. "Il Signore è qui. Egli ti chiama".
Sulla disposizione eucaristica appropriata per i divorziati risposati
Recentemente ho avuto un po’ di corrispondenza e-mail in cui un amico mi ha sottoposto alcuni punti sulle disposizioni eucaristiche giuste per quelli in "situazioni irregolari". Nella mia risposta ho espresso il mio pensiero su ciò che credo sia la condotta spiritualmente e sacramentalmente consigliabile per un cattolico che si trova appunto in una "situazione irregolare".
C'è – gli ho detto – una amabile signora che viene di solito a messa nella nostra cattedrale e si siede vicino all’entrata. Ho avuto una conversazione con lei, e ho appreso che lei si trova in una di queste "situazioni irregolari", ma è ancora molto diligente nel venire a messa, senza però partecipare alla santa comunione. Lei non si scaglia contro la Chiesa, né dice "È colpa della Chiesa", o "Com’é ingiusta la Chiesa!', sentimenti che invece ho sentito da altri che ho garbatamente ammonito. Io trovo il comportamento di questa signora ammirevole nelle circostanze date.
La migliore posizione nella preghiera per coloro che sono in queste situazioni e ancora non arrivano alla misura di pentimento richiesto (e così alla confessione) ma non vogliono smettere di guardare verso Dio, è quella di presentare se stessi al Signore nella messa proprio nel loro stato di privazione e di necessità, non correndo avanti per "agguantare" l'eucaristia, ma cercando di aprirsi all’azione della grazia e a un cambiamento delle circostanze, se e quando ciò sia possibile. Il mio pensiero riguardo alla loro situazione è che è meglio che si tengano onestamente, anche se dolorosamente, nella tensione della loro situazione di fronte a Dio, senza sotterfugi. Credo che questa sia il migliore posizionamento per il trionfo della grazia.
Chi di noi non può identificarsi con questa situazione diseguale nella lotta spirituale della propria vita, cioè con il combattere duramente con qualche passione apparentemente intrattabile e a malapena trovare la via per uscirne fuori, oppure col trovarsi intrappolato a lungo in qualche peccato prima che la nostra vita morale emerga in un luogo di maggiore libertà? Chi non ricorda la famosa preghiera di Agostino a Dio, alla vigilia della sua conversione definitiva: "Domine, da mihi castitatem, sed noli modo": O Signore, dammi la castità, ma non subito? Penso che quando queste persone frequentano la messa e si astengono dal prendere la comunione, la loro può essere una grande testimonianza per tutti noi. Sì, è un grido che ci chiama a prendere cura delle nostre disposizioni nel presentarci a partecipare ai santissimi, deificanti Corpo e Sangue del nostro Signore.
A proposito di ciò mi viene in mente di riportare un detto dell'attore Richard Harris, un guastafeste di cattolico non osservante per molti anni: "Ho divorziato due volte, ma preferirei morire da cattivo cattolico piuttosto che far cambiare la Chiesa perché si adatti a me".
Trovo più pienezza di verità in questo che in... beh, meglio che non lo dica.
http://chiesa.espresso.repubblica.it/
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