di Aldo Maria Valli
Scena prima. Esterno giorno. Cortile di una parrocchia. La catechista, seduta davanti al banchetto, registra le prenotazioni per l’oratorio estivo. In poche ore si arriva alla quota prevista: centosettanta ragazzi. Per tutti i genitori che lavorano l’oratorio estivo è una risorsa importantissima, ma ovviamente è stato necessario fissare un tetto. Nell’accettare la prenotazione si favoriscono i ragazzi che hanno frequentato il catechismo in parrocchia e che abitano nella zona. Raggiunta la quota massima prevista, si entra in una lista d’attesa. Arriva un papà, chiede l’ammissione per il figlio, gli viene risposto che per ora è in lista d’attesa e il signore reagisce duramente: «Ma come? Non ci posso credere! Papa Francesco accoglie tutti e voi invece no? Ma che parrocchia è mai questa? Siete rimasti indietro! L’esempio del papa non vi ha insegnato niente?». La signora catechista, dietro al banchetto, resta senza parole. Si vede che è un po’ spaventata.
Scena seconda. Interno sacrestia. Il parroco riceve un signore al quale è stato chiesto di fare da padrino a un battesimo. Il parroco si informa quindi circa i requisiti: caro signore, lei è credente? Va regolarmente a messa? È battezzato? Ha ricevuto prima comunione e cresima? Frequenta una parrocchia? Si scopre che il candidato è un credente fai da te, uno dei tanti. Ha ricevuto i sacramenti dell’iniziazione cristiana ma non va più a messa da tempo e non si confessa. Si scopre poi che è divorziato e risposato. Il parroco spiega dunque che non ci sono i requisiti per poter fare il padrino, e l’uomo replica a muso duro: «Lei è un retrogrado! Guarda ancora a queste cose? Papa Francesco apre a tutti e lei mi impedisce di fare il padrino! Si aggiorni! Ma per lei la misericordia non esiste?». E se ne va indignato.
Scena terza. Interno salone parrocchiale. Un gruppo di signore (catechiste, gruppo Caritas, coro) è riunito per uno degli appuntamenti settimanali. Entra un’altra signora e, con voce squillante, si rivolge a un’amica: «Carissima, sono proprio felice per te! Hai visto? Il papa ha detto che adesso anche tu puoi fare la comunione! Era ora!». La signora destinataria dell’annuncio, seduta fra le altre, resta un pochino sorpresa. È separata e da tempo ha intrapreso una nuova relazione. Di conseguenza, niente comunione. Lei ci soffre, ma ha accettato. Con il parroco sta facendo un cammino spirituale e l’intera comunità è attenta e rispettosa nei suoi confronti. Sa di Amoris laetitia e del dibattito in corso. Quindi questa amica che, tutta felice e sorridente, proclama che adesso l’accesso alla comunione è cosa fatta, la sconcerta. Prova a replicare: «Ti ringrazio, ma non è proprio così. Si tratta di fare discernimento…». E l’altra: «Ma no, che cosa dici? Ti assicuro: ora puoi! L’ha detto papa Francesco! Sono così felice per te!».
Quelle appena riportate sono soltanto tre situazioni – reali – fra le tante che si potrebbero citare. Come interpretare il messaggio di misericordia lanciato da Francesco? Come applicare la sua richiesta di Chiesa «in uscita»? Inutile nasconderlo: nelle parrocchie e nelle comunità c’è una certa confusione.
Un fatto è evidente: pochi, pochissimi, hanno letto Evangelii gaudium, la magna charta del pontificato, e poi Amoris laetitia, che fra l’altro è un documento molto lungo, con le sue quasi trecento pagine e quasi quattrocento note. Di conseguenza, molti ne parlano per sentito dire, basandosi sui titoli dei giornali o su quanto hanno ascoltato, distrattamente, in programmi radiofonici e televisivi.
Un altro elemento poi balza agli occhi. Proprio chi (per mancanza di interesse, di passione, di fede) meno conosce l’insegnamento del papa, ma l’ha solo orecchiato qua e là cogliendone ciò che gli fa comodo, è portato a estremizzarlo nel senso di una generica «apertura» e di una non meglio precisata «modernità». Così non è difficile imbattersi in chi sostiene che ora sarebbe possibile tutto ciò che prima possibile non era, ma non di rado ci si trova anche di fronte ad atteggiamenti molto rivendicativi, a volte perfino aggressivi, nei confronti di tutti quelli (preti, laici, suore, catechiste) che faticosamente cercano di far capire che, anziché lanciarsi in certe affermazioni, procedere con certe semplificazioni e avanzare certe richieste, sarebbe meglio almeno informarsi e studiare un po’.
Abbiamo dunque un magistero reale (quello costituito da ciò che il papa dice e scrive), un magistero virtuale (quello trasmesso più o meno fedelmente dai mass media) e un magistero immaginario (quello che ciascuno si costruisce, modellandolo sulle proprie esigenze) che si intersecano, si sovrappongono e si confondono in molti modi. Risultato inevitabile: tante parole, poche certezze, tante diversità di vedute, poca sintesi credibile.
Qualcuno dirà: «Ma guarda che è sempre stato così, le encicliche papali sono sempre state lette da pochi». In una certa misura è vero, ma il livello attuale di confusione non ha riscontro nel passato. E continua a crescere.
C’è da aggiungere che replicare con pacatezza e, insieme, con rigore, alle affermazioni dei superficiali, degli ignoranti (nel senso che ignorano) e dei «rivendicativi» non è per niente facile. Chi chiede di distinguere e di usare prudenza, si trova fatalmente a mal partito di fronte a chi, al contrario, procede per slogan. Ma occorre anche riconoscere, in tutta onestà, che nel magistero stesso ci sono passaggi che prestano il fianco alle più diverse interpretazioni e possono quindi alimentare la confusione.
Essere credenti è sempre stata una bella avventura per un povero cristiano, ma oggi l’avventura si è fatta ancora più movimentata. Bisogna districarsi fra una quantità senza precedenti di documenti, discorsi, interviste, interpretazioni, rielaborazioni, chiarimenti che non chiariscono, spiegazioni che non spiegano. Diciamo che bisogna essere anche un po’ enigmisti. Ma di quelli provetti!
Credo che se un novello Rosmini mettesse mano oggi a un libro sulle piaghe della Chiesa non potrebbe evitare di riflettere sulla confusione imperante.
Papa Francesco, in Amoris laetitia, a un certo punto (n. 308) scrive: «Comprendo coloro che preferiscono una pastorale più rigida che non dia luogo ad alcuna confusione». Qui dimostra di rendersi conto egli stesso della situazione attuale. Viene però da osservare: non tutti coloro che sono preoccupati per la confusione vogliono una pastorale più «rigida». Semplicemente la preferirebbero più chiara, meno equivocabile.
Anche in questa attenzione risiede il munus docendi, cioè il compito di insegnare, esercitato dalla Chiesa e in particolare dal sacerdote.
Rileggiamo quanto disse Benedetto XVI: «Questa è la funzione in persona Christi del sacerdote: rendere presente, nella confusione e nel disorientamento dei nostri tempi, la luce della parola di Dio, la luce che è Cristo stesso in questo nostro mondo. Quindi il sacerdote non insegna proprie idee, una filosofia che lui stesso ha inventato, ha trovato o che gli piace; il sacerdote non parla da sé, non parla per sé, per crearsi forse ammiratori o un proprio partito; non dice cose proprie, proprie invenzioni, ma, nella confusione di tutte le filosofie, il sacerdote insegna in nome di Cristo presente, propone la verità che è Cristo stesso, la sua parola, il suo modo di vivere e di andare avanti» (udienza generale, 14 aprile 2010).
E ancora: «Quella del sacerdote, di conseguenza, non di rado potrebbe sembrare “voce di uno che grida nel deserto” (Mc 1,3), ma proprio in questo consiste la sua forza profetica: nel non essere mai omologato, né omologabile, ad alcuna cultura o mentalità dominante, ma nel mostrare l’unica novità capace di operare un autentico e profondo rinnovamento dell’uomo, cioè che Cristo è il Vivente, è il Dio vicino, il Dio che opera nella vita e per la vita del mondo e ci dona la verità, il modo di vivere».
Prendere nota. Meditare. Quanto alle persone moleste, rivendicative, aggressive o superficiali, ricordare che sopportarle pazientemente è opera di misericordia spirituale. E già questa è una bella avventura!
Aldo Maria Valli
http://www.aldomariavalli.it
Nessun commento:
Posta un commento