Il Sinodo sulla famiglia ha messo in evidenza il ritorno dei “casuisti”, che già ebbero un loro momento nel XVII secolo: si preoccupano di sistemare le situazioni particolari in modo da non dispiacere nessuno, ignorando i princìpi fondamentali della morale. Sono i veri eredi di scribi e farisei: non si accontentano di addolcire la qualificazione morale degli atti; vogliono trasformare la legge morale stessa.
Pubblichiamo in esclusiva per l’Italia un breve saggio di monsignor Michel Schooyans (“Dalla casuistica alla misericordia – Verso una nuova arte di piacere?”), dedicato all’eclissi della morale cattolica perseguita da teologi e pastori della Chiesa. Monsignor Schooyans è professore emerito dell’Università di Louvain-la-Neuve (Belgio), membro della Pontificia Accademia di Scienze Sociali e consulente del Pontificio Consiglio per la Famiglia. È autore di numerosi libri e saggi su bioetica, demografia, politiche globali dell’ONU. Su richiesta personale di Giovanni Paolo II, che lo volle come collaboratore della Santa Sede, ha scritto anche una “Via Crucis per le famiglie” (2001). Data la lunghezza del saggio lo pubblicheremo in tre parti.
di mons. Michel Schooyans (12-06-2016)
Si potrebbe pensare che la casuistica sia morta e sepolta. Le controversie del XVII secolo definitivamente superate. Pochi sono quelli che leggono ancora le Lettere Provinciali e gli autori che Pascal (1623-1662) critica.
Questi autori sono i casuisti, vale a dire i moralisti che si adoperano a risolvere i casi di coscienza senza cedere al rigorismo. Rileggendo le celebri Lettere, siamo rimasti colpiti dalla vistosa somiglianza tra uno scritto di controversia del XVII secolo e le posizioni difese oggi dai pastori e dai teologi che aspirano a cambiamenti radicali della pastorale e della dottrina della Chiesa. Il recente Sinodo sulla famiglia (ottobre 2014 – ottobre 2015) ha messo in evidenza una combattività riformatrice che le Lettere provinciali consentono oggi di comprendere meglio. Ecco che Pascal comincia a essere conosciuto in una luce inaspettata! Le pagine che seguono vogliono semplicemente suscitare la curiosità del lettore e aiutarlo a scoprire una nuova arte di piacere.
Il tesoro della Chiesa
Il Sinodo sulla famiglia ha messo in evidenza – se ce ne fosse stato bisogno – un profondo malessere della Chiesa. Senza dubbio crisi di crescita, ma anche dibattiti ricorrenti sulla questione dei divorziati «risposati», i «modelli» di famiglia, il ruolo della donna, il controllo delle nascite, la gestazione per altri, l’omosessualità, l’eutanasia. Inutile chiudere gli occhi: la Chiesa è sfidata sui fondamenti. Questi si trovano nell’insieme della Sacra Scrittura, nell’insegnamento di Gesù, nella effusione dello Spirito Santo, nell’annuncio del Vangelo da parte degli Apostoli, nella comprensione vieppiù affinata della Rivelazione, nell’assenso di fede della comunità credente. La Chiesa s’è vista affidare da Gesù la missione di accogliere queste verità, di mettere in luce la loro coerenza, di farne memoria. La Chiesa non ha ricevuto dal Signore né la missione di modificare queste verità né la missione di riscrivere il Credo; è la custode del tesoro; deve studiare queste verità, spiegarle, approfondire la loro comprensione e invitare tutti ad aderirvi per fede.
A partire dagli Atti degli Apostoli, la Chiesa riconosce e proclama di essere una, santa, cattolica e apostolica. Queste sono le sue «note» distintive. La Chiesa è una, perché ha un solo cuore, quello di Gesù. È santa, ossia invita alla conversione al Signore, alla preghiera, alla contemplazione del Signore. L’uomo non ha alcun potere di santificare se stesso, ma tutti sono chiamati a rispondere alla chiamata universale alla santità. È cattolica, cioè ha ricevuto dallo Spirito Santo il dono delle lingue: è universale. Comprensione delle lingue significa unità nella diversità, frutto dello Spirito Santo. La Chiesa è anche apostolica, vale a dire fondata sugli apostoli ed i profeti. La successione apostolica significa che un nesso ininterrotto ci collega alla sorgente stessa della dottrina degli apostoli.
Per offrire al mondo la Buona Novella che è venuto a portare, il Signore ha voluto associare alla sua opera uomini che ha scelto perché rimanessero con lui e andassero a insegnare a tutte le genti (cfr Mc 3, 13-19). Questi uomini recano testimonianza delle parole che hanno raccolto dalla bocca stessa di Gesù e dei segni che egli ha operato. Questi testimoni sono stati chiamati dal Signore per garantire, di generazione in generazione, la fedeltà alla dottrina che egli stesso ha impartito. A loro compete il dovere di approfondire la comprensione delle testimonianze che lo riguardano e di autenticarne la tradizione.
L’insegnamento del Signore comporta una dimensione morale esigente. Questo insegnamento invita certamente a una adesione di ragione alla regola d’oro, che i grandi saggi dell’umanità hanno meditato lungo i secoli. Gesù porta questa regola alla perfezione. Ma la tradizione della Chiesa comporta precetti di condotta propri, in cima ai quali figura l’amore a Dio e al prossimo. «Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro: questa è la Legge ed i Profeti» (Mt 7, 12). Questo doppio comando è il riferimento di base per l’agire del cristiano. Costui è chiamato ad aprirsi all’illuminazione dello Spirito, che è amore, e a corrispondere a questa illuminazione con la fede che opera per mezzo dell’amore (cfr Gal 5, 6).
Tra questo – l’amore – e quella – la fede – il legame è indissolubile. Se – è l’insegnamento della Chiesa – questo legame è rotto, la morale cristiana sprofonda in diverse forme di relativismo o scetticismo. Si arriva ad accontentarsi di opinioni soggettive e fluttuanti. Si stabilisce una frattura tra verità e azione. Non c’è più riferimento alla verità, né all’autorità che la garantisce. La morale cristiana non è più donata da Dio agli uomini. L’uomo – si arriva a pensare – non ha nemmeno bisogno di amare Dio per salvarsi, né di credere nel suo amore. Spezzata da una cesura fatale, la morale vede spalancarsi, grande, la porta del legalismo, dell’agnosticismo e del secolarismo. Le regole di vita insegnate dai Profeti, dal Signore, dai Padri della Chiesa vengono a poco a poco disattivate. Quelle che prevalgono allora sono le prescrizioni dei nuovi specialisti della legge, eredi degli scribi e dei farisei. La morale diventa così una forma di positivismo gnostico riservato agli iniziati. Questo sapere non trova «legittimità» se non nelle decisioni puramente discrezionali di coloro che si concedono il privilegio di enunciare una nuova morale, mutilata del riferimento fondante alla verità rivelata.
Nel suo insegnamento, San Paolo ci invita a evitare le insidie di una morale privata di radicamento nella rivelazione. Ecco come esorta i cristiani:
«Non conformatevi alla mentalità di questo secolo, ma trasformatevi rinnovando la vostra mente, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto» (Rm 12, 2)
«E perciò prego che la vostra carità si arricchisca ancora e sempre più in conoscenza e in ogni genere di discernimento, perché possiate distinguere sempre il meglio» (Fil 1, 9s; cfr 1 Tim 5,19-22)
Il ritorno della casuistica
È qui che si può percepire il ritorno della casuistica. Ciò dovrebbe consentire ai moralisti di esaminare e di risolvere i casi di coscienza. Alcuni moralisti si impegnano a fornire soluzioni che aggradano a persone che ricorrono ai loro lumi. In questi casuisti di ieri e di oggi, i principi fondamentali della morale sono eclissati dai giudizi spesso divergenti emessi da questi gravi consulenti spirituali. Il disinteresse da cui è afflitta la morale fondamentale lascia campo libero all’instaurazione di un diritto positivo che dei codici di comportamento mette al bando ciò che insiste a riferirsi alle regole fondamentali della morale. Il casuista, o neocasuista, è diventato legislatore e giudice. Coltiva l’arte di disorientare i fedeli. La sollecitudine per la verità rivelata e accessibile alla ragione perde il suo interesse. Al limite, ci s’interesserà solo alle posizioni “probabili”. Grazie al probabilismo, una tesi potrà dar luogo ad interpretazioni contraddittorie.
Il probabilismo permetterà di suggerire ora il caldo ora il freddo, il pro e il contro. Si dimentica l’insegnamento di Gesù: «Quando parlate, dite “sì” o “no”, tutto il resto viene dal Maligno» (Mt 5, 37; Gc 5: 12; cfr 2Cor 1, 20). Nondimeno, ciascun neocasuista si muoverà secondo la propria interpretazione. La tendenza è alla confusione delle tesi, alla doppiezza, alla doppia o tripla verità, a una valanga di interpretazioni. Il casuista ha un cuore diviso, ma intende restare un amico del mondo (cfr Gc 4, 4-8).
A poco a poco appassiranno le regole di condotta fissate dalla volontà del Signore e trasmesse dal magistero della Chiesa. La qualificazione morale degli atti può dunque essere modificata. I casuisti non si accontentano di addolcire questa qualificazione; vogliono trasformare la legge morale stessa. Questo sarà il compito dei casuisti, dei confessori, dei direttori spirituali, a volte di alcuni vescovi. Tutti dovranno avere la preoccupazione di piacere. Di conseguenza, dovranno ricorrere al compromesso, adattare il loro discorso alla soddisfazione delle passioni umane: non bisogna respingere nessuno.
La qualificazione morale di un atto non dipende più dalla sua conformità alla volontà di Dio quale la rivelazione ci fa conoscere. Dipende dall’intenzione dell’agente morale e quest’intenzione può essere modulata e modellata dal direttore di coscienza che «accompagna» i suoi assistiti. Allo scopo di piacere, il direttore dovrà allentare il rigore della dottrina trasmessa dalla tradizione. Il pastore dovrà adattare le sue parole alla natura dell’uomo, che le passioni portano naturalmente a peccare. Da qui l’accantonamento progressivo dei riferimenti al peccato originale e alla grazia. L’influenza di Pelagio (monaco d’origine bretone, V secolo) è evidente: l’uomo deve salvare se stesso e prendere tra le mani il proprio destino. Dire la verità non fa più parte del ruolo del casuista. Questi deve accattivare, presentare un discorso affascinante, fare il “piacione”, rendere la salvezza facile, incantare coloro che aspirano a «farsi solleticare le orecchie» (cfr 2 Tm 4, 3).
In breve, l’eclissi del contributo decisivo della rivelazione alla morale apre la strada per l’inaugurazione della casuistica e crea lo spazio favorevole per l’instaurazione di un governo delle coscienze. Si restringe lo spazio per la libertà religiosa, quale la Scrittura propone ai piccoli figli di Dio, cioè inseparabile dall’adesione di fede nel Signore. Dobbiamo quindi esaminare alcuni esempi di settori in cui l’operato dei neocasuisti d’oggi appare chiaramente.
(1. continua)
(Traduzione di Alessandro Martinetti)
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