mercoledì 29 giugno 2016

"Il sacerdote deve credere, prima di tutto"

 
 
 
Per gentile concessione dell'editore Cantagalli pubblichiamo uno stralcio dal libro “Insegnare e imparare l'amore di Dio”, appena pubblicato in 5 lingue, che raccoglie 43 omelie tenute da Joseph Ratzinger sul tema del sacerdozio. Offriamo ai lettori della Nuova BQ un passo da un omelia del 1979 pronunciata a Monaco.
 
 
 
di Joseph Ratzinger*
29-06-2016

"Nella Lettera scritta ai sacerdoti di tutto il mondo in occasione del Giovedì Santo, il Santo Padre parla di un uso diffusosi in molti luoghi al di là della cortina di ferro, lì dove la persecuzione ha del tutto eliminato la presenza dei sacerdoti. Tramite amici ero venuto a conoscenza già diversi anni fa di fatti simili. Lì talvolta avviene che le persone si riuniscono in una chiesa abbandonata, ovvero, se non ve ne è rimasta alcuna, in un cimitero, nel luogo dove è seppellito un sacerdote.

Mettono sull’altare, o sulla tomba, la stola e recitano insieme le preghiere della liturgia eucaristica. Al momento che corrisponde alla transustanziazione, scende un profondo silenzio, interrotto alle volte dal pianto. Il Papa, rivolgendosi a noi sacerdoti, aggiunge: "Cari fratelli, se a volte qualcuno di voi ha dei dubbi sul proprio ministero, se ha delle incertezze sul senso di esso, se pensa che sia socialmente infruttuoso o addirittura inutile, rifletta su questo. Rifletta su quanto ardentemente quegli uomini desiderano udire le parole che solo le labbra di un sacerdote possono efficacemente pronunciare.

Su quanto vivamente desiderano ricevere il Corpo del Signore; su quanto ansiosamente attendono che qualcuno possa dire loro: “Io ti assolvo dai tuoi peccati!” In questa “Eucaristia di desiderio” – nella quale gli uomini, nella loro solitudine, si protendono nella preghiera verso il Signore, a cui, nel loro desiderio vanno incontro e così sono in comunione con la Santa Chiesa e perciò con Lui stesso – in questa “Eucaristia di desiderio” avviene la testimonianza della Chiesa viva, la testimonianza della nascosta vicinanza del Signore e la testimonianza di ciò che significa il sacerdozio.

Davanti a questa umiltà della fede, come appare angusta la soluzione di alcuni teologi secondo i quali, in caso di necessità, chiunque potrebbe pronunciare le parole della consacrazione. In una simile “Eucaristia di desiderio” c’è certamente molta più presenza del Signore che in un’arbitrarietà che pretende fare anche di Cristo e della Chiesa un prodotto nostro. Nessun uomo può avere l’audacia di usare a suo piacimento l’io di Cristo come fosse l’io suo proprio senza bestemmiarlo. Nessuno, da sé, può dire: “Questo è il mio corpo”; “Questo è il mio sangue”; “Ti assolvo dai tuoi peccati”.

Eppure di queste parole abbiamo bisogno come del pane quotidiano. E dove esse non vengono più pronunciate, il pane quotidiano diviene insipido e le conquiste sociali vuote. È questo il dono più profondo e insieme più entusiasmante del ministero sacerdotale, quello che solo il Signore stesso può dare: il dono di riferire le sue parole non solo come parole del passato, ma di parlare con il suo io qui e ora, di agire in persona Christi; di rappresentare la persona di Cristo, com’è detto nella liturgia. In fin dei conti, da qui è possibile desumere tutta l’essenza dell’agire sacerdotale e il compito della vita sacerdotale.

E non c’è dubbio che queste parole rimangono efficaci anche quando un sacerdote le contraddice con la sua vita, proprio perché dipendono dall’io di Gesù Cristo e non da quello dell’uomo. Non è l’uomo a rimettere i peccati, ma Lui. Non è reso presente il corpo di questo o di quello, ma il Suo. Ma allo stesso tempo è chiaro che noi non possiamo proferire tali parole senza che esse reclamino la nostra stessa vita, senza che esse esigano la nostra profonda corrispondenza a quello che diciamo.

Perché se interiormente vivessimo in modo contrario a quello che rappresentiamo, dobbiamo essere condannati. Colui che può pronunciare con la sua bocca l’io di Gesù Cristo, innanzitutto perciò deve crederci. Il sacerdote deve essere in primo luogo un credente. È questo il cuore di tutto il suo agire, e se questo manca, più niente è vero. Certo, può continuare una certa attività di routine, ma le viene a mancare l’essenziale, la Chiesa diviene un’associazione per il tempo libero, e diviene superflua.


*Benedetto XVI Pontefice emerito della Chiesa Cattolica
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 


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