sabato 17 gennaio 2015

Testimonianza di un medico di anime







Di Fra Giovanni Cavalcoli O.P.

Le mie prime esperienze di confessore al Santuario mariano di Fontanellato presso Parma risalgono ai primissimi anni del mio sacerdozio, ossia la fine degli anni '70, quando, nei mesi mariani di maggio ed ottobre, maggiore è l'afflusso di fedeli e pellegrini.

Eravamo un gruppetto di frati dal convento di Bologna. Arrivavamo a dar rinforzo il sabato pomeriggio e ripartivamo nel pomeriggio della domenica successiva. Tra questi ricordo il Padre Prete, il Padre Galli, il Padre Coggi, il Padre Biagi e il Padre Bernardini. Il Servo di Dio Padre Tomas Tyn andava invece tutto l'anno una volta al mese a svolgere il suo ministero per l'allora annesso monastero di Claustrali, ora residenti a Cremona.

Da due anni sono qui a Fontanellato, e naturalmente ho aumentato di molto la mia esperienza di confessore in una comunità di otto confratelli, tutti dediti a questo importante servizio alle anime, se si esclude il Padre Mauro Persici, quasi sempre assente per i suoi impegni in vari luoghi relativi alla promozione provinciale del Rosario.

Amo dire ai penitenti che il Santuario è una clinica dello spirito, dove la Madonna è il dirigente sanitario e noi frati siamo i medici. Noto che questa metafora è molto utile per far capire ed apprezzare a tante persone il significato e il valore della confessione, che purtroppo si è perso in molti. Infatti tutti capiscono l'importanza della cura della salute fisica; pochi sanno apprezzare la maggiore importanza della salute spirituale.

Altro metodo facile per far capire alle persone che cosa è la confessione, è paragonarla all'igiene personale ed alla pulizia degli abiti e della casa. Spiego come ognuno di noi tiene a queste cose: per quanto cerchiamo di star puliti, spesso dobbiamo lavarci.

Così è l'anima: essa prima o poi si sporca, almeno con i peccati veniali, ed occorre tenerla pulita. Il paragone del peccato con la macchia è molto intuitivo. Maria è "Immacolata" perchè è senza peccato. La confessione è la continuazione del battesimo, dove l'abluzione con acqua rappresenta la purificazione dell'anima.

Molti vengono sì in confessionale, ma abituati male o con idee sbagliate o disposizioni morali inadatte. Anzi, alcuni intendono la confessione alla rovescia, ed assomigliano a quel fariseo che nel tempio, come racconta Cristo, si confronta presuntuosamente col pubblicano.

Infatti, loro cura non è quella di denunciare umilmente, con precisione e chiarezza i loro peccati con cuore contrito e speranza nel perdono divino, ma sembrano preoccupati di assicurare il confessore di essere a posto, un po' come il pregiudicato in libertà vigilata che va periodicamente a farsi vedere dalla polizia, per dire che si è comportato bene, attendendosi dall'ufficiale un "bravo!" di incoraggiamento.

Costoro non capiscono che per far contento il confessore e per essere essi stessi intimamente contenti, non devono imitare il fariseo, ma il pubblicano pentito. La gioia che dà l'orgoglio è una gioia falsa. Vera gioia invece è quella dell'umile confessione dei peccati, sapendo di trovarsi davanti ad un Dio di misericordia. Beati quorum tecta sunt peccata!, come dice Dante citando il Salmo 31,1.

Il bello invece è che essi, così facendo, sperano di ricevere lodi dal confessore. Così succede che, al mio richiamo a cosa è veramente la confessione, molti cascano dalle nuvole, si stupiscono come se dicessi cose strane o inaudite, ed alcuni addirittura si irritano, quasi a sentirsi offesi, persone magari di 70 anni che si confessano da 60 anni. "Questo - dicono - mi giunge nuovo!" "Signora - rispondo - nella vita c'è sempre da imparare!".

Così spesso dicono di "non avere grosse cose" o "niente in particolare", anzi di aver fatto sempre tutto il possibile, di "non aver fatto niente di male" o al massimo qualche "sbaglio senza volere". Alcuni mi dicono papale papale che "non hanno peccati". Ma intendono peccati gravi, come se esistessero solo questi e non esistessero anche quelli veniali, che sono anch'essi peccati da togliere, benchè normalmente con pratiche penitenziali personali. Elencano viceversa le loro opere buone.
Sono poi acuti nel descrivere i peccati della nuora, della suocera, del marito o dei figli, a seconda delle circostanze. Oppure non sanno cosa dire, magari dopo un anno che non si confessano e mi dicono: "Padre, mi faccia delle domande". Io allora rispondo: "Ma quando lei va dal medico, non sa già cosa deve dirgli o gli dice: dottore, mi faccia delle domande"?

Una cosa che appare evidente in questi pseudopenitenti è che, se essi si giudicano innocenti, è perchè non vagliano il loro operato alla luce della morale del Vangelo, esigente com'è, ma in base ad un criterio mondano di loro comodo o di loro conio. E allora, per forza non sanno cosa dire! Infatti, quando loro mostro che essere cristiani è difficile, e che tante sono le prove e le tentazioni, mentre noi siamo fragili peccatori, non sanno che cosa rispondere.

E' interessante la questione della Messa domenicale. Alcuni si fanno scrupolo per non esservi andati, magari per cause di forza maggiore o per scuse serie e sufficienti, ma nonostante ciò, non fanno la Comunione alla domenica successiva. E pensano comunque di confessare questa cosa come fosse una colpa, confondendo quando ci si astiene da un grave dovere colpevolmente e quando invece lo si fa senza colpa, giustificati da un motivo valido. Qui riscontriamo tra certi fedeli una crassa ignoranza, della quale ho esperienza da decenni, dove il confessore ha larga possibilità di ricordare ai fedeli i princìpi fondamentali della confessione.

Davanti poi a chi mi dice, dopo un anno che non si confessa, che non ha neppure un peccato veniale, obietto: Allora lei è come la Madonna? No! Mi rispondono stupiti e con atteggiamento di apparente umiltà. Ma capita che non sanno che cosa dire. Allora io rispondo: Guardi, non è che lei non abbia peccati veniali; li ha, ma non si è esaminato a sufficienza per prenderne coscienza. Veda quali sono e poi torni qui e si confessi.




E aggiungo precisando: Non è che se lei non toglie questi peccati, se ne vanno da soli, anzi essi marciscono nell'anima e rischiano di diventare mortali. In alcuni casi rari, nonostante questo richiamo, il soggetto continua a non sapere cosa dire. Allora lo esorto a fare prima un bell'esame di coscienza e poi a tornare per confessarsi.

Alcuni non capiscono e mi chiedono con ansia: Ma non mi dà l'assoluzione? Io rispondo: si è assolti dai peccati confessati. Ma se lei mi dice che non ha alcun peccato, da che cosa la assolvo? Questo non vuol dire che lei adesso non sia in grazia. Ma se vuol confessarsi, deve fare quello che le dico.
Quando mi trovo davanti a questi casi di persone che non sanno che peccati confessare o che non hanno peccati, con tutta carità e dovizia di argomenti, esempi e paragoni, comincio a spiegar loro che, se il peccato mortale si può evitare, non così il veniale, come insegna il Concilio di Trento, il quale dice che il veniale è frequente, inevitabile e lo commettono anche i Santi, esclusi naturalmente Cristo e la Madonna. Ricordo poi la distinzione fra peccato mortale e peccato veniale, spesso ignota o dimenticata dai penitenti.

Succede che dopo un quarto d'ora di questa catechesi sulla confessione, finalmente il penitente si sveglia dal suo stato di torpore spirituale e denuncia qualche peccato veniale comune, che conoscono anche i bambini. A quel punto lì io esulto ed esclamo: Sia ringraziato Gesù Cristo! Siamo arrivati! Ma non poteva dirmeli subito questi peccati? Alcuni rispondono: Ma sono peccati normali! Lascio il commento al lettore.

Alcuni chiedono perdono per peccati che non ricordano. Io faccio osservare che il confessionale è come un tribunale, dove si esercita la giustizia: Quale giudice - dico - chiederebbe conto ad un imputato di un reato, del quale non ha coscienza o del quale non ci sono le prove? Stia tranquillo. Piuttosto mi dica i peccati che ricorda e chieda perdono di quelli.

Alcuni, che incontro per la prima volta, confondono la confessione con l'apertura d'animo o la direzione o il counseling o accompagnamento spirituale e si mettono ad esporre situazioni complesse e difficili, che andrebbero trattate con calma e da competenti.

Costoro facilmente confondono il male di colpa col male di pena o in altre parole il peccato con la sofferenza e cercano quindi in confessionale non il perdono dei peccati, ma consolazione per e le loro pene o disavventure.

Hanno la percezione del compito del sacerdote di essere consigliere, consolatore e conforto delle anime, ma la suddetta confusione in pratica impedisce loro di ricevere il perdono dei peccati. Io allora, con tutta carità, li invito a prendere appuntamento a parte, mentre ricordo loro l'importanza di una buona confessione, anche in ordine ad affrontare problemi, prove e sofferenze. E solitamente mi ascoltano.

Altri, poi, confondono il senso di colpa, che è una categoria della psicanalisi, con la coscienza della colpa, che è la vera materia della confessione. Alcuni sono tormentati da peccati perdonati commessi 20 anni prima e non sanno confessare quelli commessi negli ultimi due mesi. Gli scrupolosi, che confessano con angoscia 15 peccati veniali commessi in una settimana, sono pochissimi; in generale l'atteggiamento è quello del lassismo irresponsabile, che si autogiustifica a volte con arroganza e presunzione.

Alcuni prendono il confessionale per lo studio di un avvocato, al quale denunciare ingiustizie patite, altri prendono il confessore per uno psicanalista e cominciano a raccontare le loro turbe giovanili, altri lo prendono per un amicone, col quale fare una piacevole chiacchieratina sui fatti della propria vita, altri per un teologo al quale fare domande ed esporre problemi.

Altri si mettono a parlare dei loro familiari, come se dovessero esporre lo stato di famiglia in un ufficio del Comune. Altri trattano di conflitti del mondo del lavoro, come fossero davanti ad un sindacalista. Altri cercano conforto, ma non quello che viene dal perdono divino, ma per essere confermati nelle loro opere buone. Pochi sanno qual è il vero compito del confessore e lo cercano per il prezioso servizio che egli rende alla loro anima.

Alcuni intendono la confessione come la consegna del cartellino all'ingresso della fabbrica o come recita meccanica e convenzionale, quasi magica, di formule stereotipate, come quando facciamo il biglietto ferroviario alla stazione davanti ad un distributore automatico. Non stanno tanto a ragionare. Sanno che a questi gesti corrisponde poi l'uscita del biglietto - leggi: l'assoluzione - e ciò è sufficiente.

E' impressionante, quindi, come tanti in confessionale non sanno ragionare, non riescono a seguire i ragionamenti con i quali tento di istruirli, di correggere il loro modo di confessarsi, chiusi ed irrigiditi nei loro schemi mentali abituali. Alcuni mi guardano con un sorrisetto, come a dire: Ma cosa mi vieni a raccontare?

I soggetti più difficili, grazie a Dio casi rarissimi, sono quelli che hanno già per conto loro radicata un'idea sbagliata della confessione o contestano la stessa legge morale, per cui, se il sacerdote tenta di correggerli, non c'è modo di cavare queste idee dalla loro testa, anche dando con pazienza ogni spiegazione col citare passi della Scrittura, del Magistero della Chiesa o del Papa, o esempi di Santi.
Alcuni osano accusare il sacerdote di non saper fare il suo mestiere e passano all'insulto o fanno le vittime. In tal caso è chiaro che non hanno le condizioni per confessarsi, per cui li congedo senza ulteriori discussioni.

Grazie a Dio, i casi più frequenti sono quelli dei penitenti normali. In particolare è toccante la confessione dei bambini, per la sua semplicità ed autenticità e lì capisco allora perchè Cristo ha detto che a loro appartiene il regno di cieli.


Gli adulti invece svicolano, tirano fuori scuse o cose che non c'entrano, sono ambigui, si contraddicono, fanno ragionamenti capziosi e contorti, tentano di giustificarsi. In alcuni casi, invece, purtroppo rari, incontro penitenti in ottime condizioni interiori, che fanno delle confessioni così sincere e fruttuose, che mi commuovo con loro fino alle lacrime. In altre confessioni ben fatte, scoppiano persino le risate. Alcuni, soddisfatti del mio ministero, mi chiedono una direzione spirituale, che può essere anche di tipo vocazionale, soprattutto se giovani.

Soprattutto le donne sanno sublimare la loro naturale emotività in sentimenti puri ed intensi. Mi capita di trovare buone confessioni in grandi peccatori, in omosessuali, coniugi separati, chi non si confessa da dieci o vent'anni anni e situazioni del genere.

Invece a divorziati risposati ricordo con carità, fermezza e abbondanza di argomenti l'attuale legislazione della Chiesa. Insisto sul fatto che essi possono essere in grazia anche senza i sacramenti e se ne vanno via sereni.

Un problema assai vivo è che pochi sanno che cosa è il peccato e lo odiano sinceramente. Confondono il peccato o con l'errore involontario o con stati o fatti psichici di turbamento o con sensi di frustrazione o con difetti oggettivi ed insuperabili. Molti considerano legittima la bugia "a fin di bene", come essi dicono. Altri negano decisamente di aver mai avuto intenzioni cattive o cattiva volontà: "Faccio sempre tutto quello che posso", "non ho fatto niente di male", "dico il Rosario tutti i giorni", mi assicurano.

Da tutte queste cose spiacevoli ed irregolari, ormai capisco che questi soggetti sono abituati male da certi confessori, che non si prendono cura di questi poveri malati. Se non sanno confessarsi, è evidente, almeno in linea di massima, che non è cosa estranea alla responsabilità di certi confessori.
Infatti, chi ha precipuamente il compito di insegnare come ci si confessa? Evidentemente il sacerdote. 

Certo, esistono penitenti che non imparano. Ma io, dopo quarant'anni di esperienza del confessionale, sono dell'idea che la maggiore responsabilità vada a certi confessori, che rischiano di impartire assoluzioni nulle o invalide, lasciando pigramente raccontare al penitente la sua filastrocca senza illuminare, chiarire, esortare, valutare, correggere o stimolare. Magari il penitente, poveretto, è soggettivamente convinto di essere assolto. Vale allora quello che diceva in classe il buon Padre Antonino Berizzi, illustre e buon canonista: "Supplet Ecclesia!".

La mia ferma convinzione è che molti sacerdoti oggi, distratti magari da cose buone, ma che non c'entrano col loro insostituibile ministero della confessione, ministri del Sangue, come diceva S.Caterina da Siena, dovrebbero mettere maggiore impegno in questo preziosissimo servizio alle anime.

Il mio confratello Padre Marino Moro, di questa comunità, mi ricorda sempre il bene immenso che il sacerdote può fare nel confessionale alla gente, atteso che la comunicazione interpersonale a tu per tu consente al sacerdote quella conoscenza profonda delle singole anime, che meglio di ogni altra, lo rende efficace ministro della Parola di Dio e della sua grazia.





Fontanellato, 21 dicembre 2014
www.domenicani.it




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