venerdì 2 gennaio 2015

La comunione spirituale, questa sconosciuta













Nel sinodo è stata proposta per i divorziati risposati, impossibilitati di ricevere l'eucaristia. Ma ciascuno la immagina a modo suo e la confusione è grande. Su "Nova et Vetera" un teologo fa il punto della controversia





di Sandro Magister


ROMA, 31 dicembre 2014 – Fra i tre paragrafi della relazione finale del sinodo che non hanno ottenuto l'approvazione dei due terzi dei padri c'è quello che riguarda la comunione spirituale per i divorziati risposati.

È il paragrafo 53, che testualmente dice:

"Alcuni padri hanno sostenuto che le persone divorziate e risposate o conviventi possono ricorrere fruttuosamente alla comunione spirituale. Altri padri si sono domandati perché allora non possano accedere a quella sacramentale. Viene quindi sollecitato un approfondimento della tematica in grado di far emergere la peculiarità delle due forme e la loro connessione con la teologia del matrimonio".

A questo paragrafo i placet sono stati 112 e i non placet 64. Papa Jorge Mario Bergoglio, nell'intervista a "La Nación" del 7 dicembre, ha spiegato così la mancata approvazione del paragrafo:

"Ditemi: non occorre essere in grazia di Dio per ricevere la comunione spirituale? Per questo la comunione spirituale è stata quella che ha ottenuto meno voti nella 'Relatio synodi', perché non erano d’accordo né gli uni né gli altri. Quelli che la sostengono, perché era poco, hanno votato contro. E quelli che non la sostengono e vogliono l’altra, perché non ha valore".

A parte l'inesattezza fattuale (il meno votato, con 104 placet, non è stato questo paragrafo, ma quello sulla comunione sacramentale ai divorziati risposati) papa Francesco ha espresso efficacemente la confusione che regna ovunque sul concetto stesso di comunione spirituale.

*

L'ipotesi della comunione spirituale per i divorziati risposati era stata sollevata in vista del sinodo dal cardinale Walter Kasper, nella controversa relazione da lui tenuta al concistoro dei cardinali del febbraio 2014:

> Kasper cambia il paradigma, Bergoglio applaude

Dopo aver attribuito alla congregazione per la dottrina della fede e a papa Benedetto XVI la tesi che i divorziati risposati non possono fare la comunione sacramentale ma quella spirituale sì, Kasper aveva obiettato:

"Chi riceve la comunione spirituale è una cosa sola con Gesù Cristo. Perché, quindi, non può ricevere anche la comunione sacramentale?".

In realtà papa Joseph Ratzinger, durante l’incontro internazionale delle famiglie a Milano nel 2012 citato da Kasper, non aveva parlato della comunione spirituale come di un equivalente della comunione sacramentale.

Aveva semplicemente detto che i divorziati risposati "non sono 'fuori', anche se non possono ricevere l’assoluzione e l’eucaristia. Devono vedere che anche così vivono pienamente nella Chiesa… Anche senza la ricezione 'corporale' del sacramento, possiamo essere spiritualmente uniti a Cristo nel suo corpo".

Anche nella sezione conclusiva di un suo vecchio articolo da lui completamente riscritta nel 2014 prima del sinodo, Ratzinger si è espresso in modo analogo riguardo alle "persone che vivono in un secondo matrimonio e quindi non sono ammesse alla mensa del Signore", sostenendo che "una comunione spirituale intensa con il Signore, con tutto il suo corpo, con la Chiesa, potrebbe essere per loro un'esperienza spirituale che le rafforza e le aiuta".

L'arcivescovo di Milano, il cardinale Angelo Scola, ha ripreso l'argomento alla vigilia del sinodo dello scorso ottobre, in un articolo sulla rivista di teologia "Communio":

> Scola: quattro soluzioni per i divorziati risposati

Scola ha incluso appunto "la comunione spirituale, cioè la pratica di comunicare con il Cristo eucaristico nella preghiera, di offrire a lui il proprio desiderio del suo corpo e sangue, assieme al dolore per gli impedimenti alla realizzazione di questo desiderio", tra i "gesti che la spiritualità tradizionale ha raccomandato come un sostegno per coloro che si trovano in situazioni che non permettono di accostarsi ai sacramenti".

È dunque, propriamente, la comunione spirituale "di desiderio" quella che è ritenuta adatta a queste persone non solo da Ratzinger e da Scola ma dalla pratica tradizionale della Chiesa cattolica.

La riprova è nel contributo dato alla discussione sinodale da un tipico esponente di questa linea pastorale come padre Carlo Buzzi, del Pontificio Istituto Missioni Estere di Milano, in una lettera dalla sua missione in Bangladesh pubblicata lo scorso maggio in questo sito:

> Comunione ai risposati? Sì, di desiderio

Come c'è il battesimo di desiderio per chi è impedito dal riceverlo sacramentalmente – ha scritto padre Buzzi – così ci può essere anche la comunione di desiderio, che "sembra proprio adatta per chi non è in stato di grazia e vorrebbe uscire da questo stato, ma per vari motivi non può".

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Ha dunque avuto ragione, il sinodo, a sollecitare "un approfondimento della tematica" da qui alla prossima sessione in agenda nell'ottobre del 2015, anche se manca qualsiasi riferimento ad essa nelle 47 domande del questionario distribuito alle conferenze episcopali:

> Lineamenta

La comunione spirituale, infatti, può essere intesa in modi diversi e quindi prestarsi ad equivoci anche gravi.

Il testo che segue è stato scritto proprio per fare chiarezza su questo punto.

L'autore, il teologo domenicano Paul Jerome Keller, professore dell'Athenaeum of Ohio di Cincinnati, l'ha pubblicato sull'ultimo numero dell'edizione inglese di "Nova et Vetera", la rivista di teologia già distintasi la scorsa estate per un numero speciale dedicato ai temi del sinodo, con otto saggi di altrettanti dotti domenicani degli Stati Uniti, tutti su posizioni alternative a quelle del cardinale Kasper.

I link agli otto articoli del numero speciale, in cinque lingue, sono a disposizione sulla home page della rivista:

> Nova et Vetera


Anche il nuovo articolo di Keller può essere letto nella sua integralità:

> Is Spiritual Communion for Everyone?


Questi che seguono sono i suoi passaggi principali.

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LA COMUNIONE SPIRITUALE È PER TUTTI?

di Paul Jerome Keller O.P.



Forse quasi dimenticata da molti cattolici e dai più neppure mai sentita nominare fino al recente riferimento che ne ha fatto il cardinale Walter Kasper, la nozione della comunione spirituale ha fatto notizia sulla stampa cattolica di questa stagione. […]

Il cardinale Kasper [...] ammette che la comunione spirituale non si applica a tutti i divorziati, ma solo a coloro che sono ben disposti. Ma, si chiede, se una persona che riceve la comunione spirituale è una cosa sola con Gesù Cristo, come può essere in contrasto con il comandamento di Cristo? Perché, allora, questa stessa persona non può ricevere la comunione sacramentale? […]

È il significato della comunione spirituale che è in questione, prima di tutto. […] Ciò che noi oggi comunemente chiamiamo "comunione spirituale" è quella che per San Tommaso d'Aquino è una comunione di desiderio, "in voto". Ed è distinta dalla ricezione spirituale che è l'effetto inerente alla ricezione reale della santa comunione. Tommaso paragona la comunione "in voto" al battesimo di desiderio, "flaminis". Il battesimo di desiderio si verifica in genere nel caso di un catecumeno al quale, se muore prima di essere battezzato con acqua ma esplicitamente desiderando il battesimo, è assicurata la salvezza (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1259). […]


Il Concilio di Trento sulla comunione spirituale


Richiamandosi agli insegnamenti dei Padri, il Concilio di Trento spiega così la triplice distinzione nella ricezione della santa comunione:

“[Alcuni la ricevono] solo sacramentalmente perché sono peccatori. Altri la ricevono solo spiritualmente; e sono quelli che, ricevendo nel desiderio il pane celeste messo davanti a loro, con una fede vivente 'attraverso l'amore' (Gal. 5:6), godono i suoi frutti e ne beneficiano. Un terzo gruppo la riceve sia sacramentalmente che spiritualmente (can. 8); e sono quelli che si esaminano e si preparano in anticipo ad avvicinarsi a questa mensa divina, vestiti con l'abito nuziale (cfr. Mt. 22, 11s)”.

Nel capitolo appena prima di questo insegnamento sulla ricezione eucaristica il Concilio ribadisce che la santa eucaristia può essere ricevuta solo degnamente. […] Il canone 11 dello stesso Concilio è ancora più esplicito:

"Se qualcuno dice che la sola fede è preparazione sufficiente per ricevere il sacramento della santa eucaristia, sia anatema. E per timore che un sacramento così grande vada ricevuto indegnamente e quindi a morte e condanna questo santo Concilio definisce e decreta che coloro la cui coscienza è gravata di peccato mortale, non importa quanto contriti possono pensare che siano, in primo luogo devono necessariamente fare una confessione sacramentale se un confessore è disponibile. Se qualcuno pretende di insegnare o predicare od ostinatamente mantenere o difendere in disputa pubblica l'opposto di ciò, egli sarà per questo fatto stesso scomunicato". […]


Il significato della comunione spirituale nei documenti recenti


È un po’ sorprendente non trovare una menzione della comunione eucaristica spirituale in nessuna delle quattro costituzioni del Concilio Vaticano II o nel Catechismo della Chiesa cattolica. È forse per questo motivo che l'idea di fare una comunione spirituale non è un'opzione familiare ai fedeli dei nostri giorni. Quando la comunione spirituale è menzionata nell’insegnamento ufficiale della Chiesa [di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI] sembra esserlo unicamente nei termini di una comunione di desiderio. […]

È in questo quadro che noi possiamo procedere a esaminare la posizione del cardinale Kasper sulla santa comunione ai divorziati risposati, chiarendo ciò che è messo in gioco riguardo alla comunione spirituale.


Chi può fare una comunione spirituale?


Quando il cardinale Kasper [...] chiede come una persona che fa una comunione spirituale ed è quindi una cosa sola con Gesù Cristo possa essere in contraddizione con il comandamento di Cristo, il cardinale giunge al cuore del problema, poiché uno deve accettare Cristo nella sua interezza per essere in comunione con lui. Siccome Cristo ha stabilito il legame matrimoniale sacramentale come indissolubile, e a motivo di ciò Cristo non consente il divorzio e un nuovo matrimonio, una persona che vuole risposarsi mentre un suo precedente legame sacramentale di matrimonio continua a sussistere non può pretendere di essere una cosa sola con Gesù Cristo, perché così contraddice almeno questa parte del comandamento di Cristo.

Pertanto, tale persona non è in grado di ricevere la comunione sacramentalmente e nemmeno spiritualmente. Solo una persona che realmente stia cercando di rimediare a ciò che le impedisce la piena comunione con Cristo può iniziare a essere in condizione di fare una comunione spirituale. […]

Dunque, per rispondere alla preoccupazione del cardinale Kasper, sì, la persona che fa una comunione spirituale dovrebbe anche poter fare una comunione sacramentale, se disposta correttamente. Tuttavia, non è ammissibile che uno che non abbia le corrette disposizioni per fare la comunione sacramentale possa pensare di essere in grado di fare una comunione spirituale, non importa in quali circostanze.


Necessari chiarimenti


Richiamando la distinzione tomistica tra comunione spirituale come atto di nutrimento spirituale ("spiritualis manducatio") e come desiderio spirituale ("in voto"), è chiaro che per una persona che ha frapposto un ostacolo all’unione con Cristo vivendo fuori del suo comandamento nessuno dei due tipi di comunione spirituale è possibile. Usare lo stesso termine, comunione spirituale, per riferirsi a due diverse situazioni morali e a due rapporti molto diversi con l’eucaristia è problematico.

Qui stiamo parlando della disposizione corretta rispetto alla disposizione incorretta per entrambi i tipi di comunione. Quando [l'esortazione apostolica post-sinodale del 2007] "Sacramentum caritatis" usa impropriamente il termine "comunione spirituale" come una opzione per i divorziati risposati, una possibile lettura è che il Santo Padre intenda incoraggiare tali persone a cominciare a "desiderare" in modo appropriato la santa comunione e, quindi, a rettificare la loro situazione morale. In caso contrario, le parole indicherebbero che qualcuno impropriamente disposto per la comunione sacramentale potrebbe nondimeno fare una comunione spirituale. Questa confusione porta alla logica domanda posta dal cardinale Kasper. Se a uno è consentito fare una comunione spirituale, allora perché non una comunione sacramentale?

Dobbiamo evitare l'errore di pensare che la comunione spirituale sia il sostituto della comunione sacramentale per i divorziati risposati e in definitiva per chiunque sia impedito a ricevere l'eucaristia a causa di un peccato mortale. Il pericolo pastorale insito in questa credenza è che prendano spazio un errore e una confusione circa la dottrina della Chiesa, inducendo a pensare che il peccato che impedisce la comunione sacramentale "non sia poi così male", poiché uno può avere a disposizione comunque la sostanza della comunione. […]

Per poter ricevere le grazie della comunione con Cristo, sia sacramentale che spirituale, per tutti in qualsiasi stato di vita, ciò che è necessario è l'interiore conversione a Cristo e una manifestazione di questa conversione nelle azioni esterne e nel modo di vivere. […]


Implicazioni cultuali


[…] La grazia è sempre al lavoro. Anche la "preparazione dell'uomo per l'accoglienza della grazia è già una grazia" (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2001). […] Non dobbiamo offuscare la distinzione tra il vivere nello stato di grazia e la grazia di essere mossi alla contrizione. […] È così che papa Giovanni Paolo II [nella "Familiaris consortio”] sollecita i divorziati risposati ad aprirsi all'azione effettiva della grazia, ad esempio ascoltando le Scritture, frequentando la messa, pregando e così via.

Il papa sta ammaestrandoci sull'essenza del culto cristiano. […] Fin dalla rivelazione di Cristo e dall'istituzione del sacramento dell’eucaristia, la sola forma adeguata di adorazione dovuta a Dio avviene attraverso Cristo e in Cristo, ed è compiuta nel grado sommo nella celebrazione della sacra liturgia. Questo è vero per tutti i battezzati, che siano o no in grado di partecipare alla santa comunione. […] Non c'è nessuno che mancherà di trarre profitto dalla partecipazione alla messa, cioè dalla celebrazione liturgica. Anche la persona a cui è impedita la più piena espressione del culto, la ricezione della santa comunione, è sempre in grado di ricevere delle grazie prevenienti il pentimento, come anche delle grazie effettive per l’adorazione.


Non inedia, ma fame


In risposta alle domande del cardinale Kasper sull'accesso alla santa comunione per i divorziati risposati, abbiamo dunque mostrato che esso non è possibile. […]

Dall'insegnamento di San Paolo fino ai nostri giorni, la tradizione della Chiesa ha insegnato costantemente la necessità per chi riceve la santa comunione di essere in stato di grazia. […] Anche se ci può essere qualche confusione circa il significato della comunione spirituale nel recente insegnamento magisteriale, rimane fermo che una vera comunione spirituale è possibile solo per chi è anche in condizione di ricevere la comunione sacramentale. […]

La Chiesa non chiede, come il cardinale Kasper sembra suggerire, che i divorziati risposati trovino la salvezza extra-sacramentalmente. Ad essi è offerta la stessa possibilità per la conversione e per la piena comunione – ecclesiale e sacramentale – che è offerta a chiunque. […] Il cardinale chiede se questa non-ricezione dell'eucaristia sia un prezzo troppo alto da pagare? La risposta a questa domanda dipende dalla volontà dell'individuo di essere conforme a Cristo. Tuttavia, dobbiamo essere chiari. Non è la Chiesa che frappone l'ostacolo alla piena comunione, ma è l'individuo che perpetua la scelta di violare il legame sacramentale del matrimonio. […]

Il cardinale Kasper pone inoltre questo diversivo: la regola della non ricezione dell'eucaristia non è forse una strumentalizzazione della persona che sta soffrendo e chiedendo aiuto, quando ne facciamo un segno e un avvertimento per gli altri? Questa domanda sottintende che la Chiesa non abbia il compito di proteggere i fedeli dalla condanna che possono attirare su di loro, come avverte San Paolo. Se infatti la Chiesa rimanesse passiva e permettesse la santa comunione a chi non fosse correttamente disposto, sarebbe essa stessa soggetta a condanna, per un diverso tipo di oppressione: l'incapacità di trattenere i suoi figli da atti illeciti e dal peccato, così come l'incapacità di custodire fedelmente e di dispensare i sacramenti. Questa plurisecolare vigilanza della Chiesa non è strumentalizzazione o manipolazione; è carità pura e semplice. È la preoccupazione della madre che i figli non ingeriscano la medicina sbagliata, affinché non diventi un veleno. […]

Non c'è nessuna strumentalizzazione della persona sofferente, sia essa il divorziato risposato o il catecumeno (che anche lui deve essere reso giusto sacramentalmente prima di ricevere la santa comunione). C'è solo la mano tesa e trafitta del Crocifisso e Risorto, il quale, tramite la Chiesa, offre la salvezza a ogni persona che sceglie di rivolgersi a Cristo, abbracciando lui solo anche nelle decisioni più difficili della vita. Egli offre continuamente il suo corpo e il suo sangue affinché tutti coloro che scelgono di indossare l'abito nuziale bianco (cfr Mt 22, 11-14; Ap 19, 8) possano accedere al suo banchetto eterno.

Esposta davanti ad ogni persona c'è la festa dell’eucaristia, offerta in modo che tutti noi possiamo sperimentare sempre di più la fame per il pane della vita, sia sacramentalmente che spiritualmente. Per ogni cristiano, il pentimento è la trasformazione dell’inedia in fame, una fame che Cristo promette di soddisfare al di là di ogni nostra immaginazione.

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Nel suo saggio, Keller fa più volte riferimento a un articolo del 2011 dell'edizione svizzera di "Nova et Vetera", scritto dal suo confratello domenicano Benoît-Dominique de La Soujeole:

> Communion sacramentelle et communion spirituelle

In questo articolo, La Soujeole distingue tra comunione di desiderio e desiderio di comunione.

Keller riprende e precisa questa distinzione. Preferisce la formula "comunione di desiderio" per chi non può fare la comunione sacramentale per impedimenti solo esteriori e la formula "desiderio di comunione" per chi è invece privo delle condizioni per accedere alla comunione sacramentale ma è sinceramente desideroso di rimuovere tali ostacoli.









http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/1350958









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