Claudio Gnoffo
Ci lasciava undici anni fa, Norberto
Bobbio. E tuttora, dopo undici anni, è scomodo ricordarlo, per molti
intellettuali laici. Perché Norberto Bobbio, unanimemente uno dei maggiori
intellettuali e una delle personalità culturali più influenti d’Italia del XX
secolo, pur professandosi chiaramente non uomo di fede bensì
uomo del dubbio (tanto che poi, com’era nelle sue volontà, fu tumulato con
cerimonia prettamente civile), voleva essere anche uomo del dialogo. Non era un
laicista furente, non era alla ricerca forsennata del “politicamente corretto”,
ma era un uomo sinceramente in travaglio nei suoi dubbi e desideroso di trovare
risposte.
Egli stesso disse di sé: «Mi ritengo
un uomo del dubbio e del dialogo. Del dubbio, perché ogni mio
ragionamento su una delle grandi domande termina quasi sempre, o esponendo la
gamma delle possibili risposte, o ponendo ancora un’altra grande domanda. Del
dialogo, perché non presumo di sapere quello che non so, e quello che so metto
alla prova continuamente con coloro che presumo ne sappiano più di me (N.
Bobbio, Elogio della mitezza, Linea d’ombra edizioni, Milano 1994, p.
8).
Bastano queste parole a comprendere perché, anche in due articoli della
nostra Redazione, si sia ricordato come Bobbio fosse definito “papa
laico”, uno di quei pensatori che enormemente influivano sul pensiero
comune, un po’ come “l’intellettuale profeta”, figura cui lui era contrario
assolutamente, asserendo, come già il filosofo Max Weber prima di lui, che
«la cattedra non è né per i demagoghi né per i profeti». Un’affermazione
illuminante, come quelle, già riportate i Ultimissima 1/6/10 in cui Bobbio
riconosceva amaramente che «la morale razionale che noi laici proponiamo è
l’unica che abbiamo, ma in realtà è irragionevole […] Io non ho nessuna
speranza. In quanto laico, vivo in un mondo in cui è sconosciuta la dimensione
della speranza» (De senectute, Einaudi, Torino 1996).
Infatti, perché si dovrebbe fare il bene
piuttosto che il male, se facendo il male mi verrà un vantaggio e nessun
svantaggio? Se manca un fondamento per una qualsiasi etica,
allora nessuna etica concepibile da uomo è razionalmente possibile, e ne
consegue che quel fondamento non può che venire da un Legislatore fuori di noi.
Da Dio. La “morale laica” si può appoggiare solo sulla
coscienza personale e il consenso popolare a una certa norma o comportamento, ma
tal morale fin quanto reggerà? Fin quanto appagherà lo spirito, sazio di
certezze e non di idee relative che continuamente possono essere contraddette o
mutate? Altra affermazione illuminante: «la maggior parte degli uomini di
oggi non sono tanto atei o non credenti, quanto increduli. Ma
colui che è incredulo non è fuori dalla sfera della religione. Lo stato d’animo
di chi non appartiene più alla sfera del religioso non è l’incredulità, ma
l’indifferenza. Ma l’indifferenza è veramente la morte dell’uomo» (Che
cosa fanno oggi i filosofi?, Bompiani, Milano, 1982, p. 140).
L’8 maggio 1981, alla vigilia dei
referendum sull’aborto, rilasciò un’intervista al Corriere
della sera nella quale affermò la sua contrarietà all’interruzione
della gravidanza in qualunque periodo e per qualsiasi motivo: «L’aborto è un
problema molto difficile, è il classico problema nel quale ci si trova di fronte
a un conflitto di diritti e di doveri. […] Innanzitutto il diritto fondamentale
del concepito, quel diritto di nascita sul quale, secondo me, non si può
transigere. È lo stesso diritto in nome del quale sono contrario alla pena di
morte. Si può parlare di depenalizzazione dell’aborto, ma non si può essere
moralmente indifferenti di fronte all’aborto […] Vorrei chiedere quale sorpresa
ci può essere nel fatto che un laico consideri come valido in senso assoluto,
come un imperativo categorico, il “non uccidere”. E mi stupisco a mia volta che
i laici lascino ai credenti il onore affermare che non si deve uccidere (da
“Bobbio: ecco perché sono contro l’aborto” Corriere della
sera, 8/5/1981). Questo è davvero edificante: un intellettuale non
credente, dubbioso, non per questo è favorevole all’aborto.
Se per un “principio x” si ritiene
legittimo spezzare una vita sul nascere, lo stesso identico principio x
può essere applicato per giustificare la pena di morte e tutte
le altre forme di omicidio, poiché si viene a creare un fondamento etico e
giuridico che giustifica, di per sé, l’interruzione di una vita. Che tal vita
sia ancora nel grembo o al termine della vita o macchiata dal delitto, diventa
solo un “dato x” da determinare. L’eutanasia ne è un esempio lampante. Questa
considerazione di Bobbio spezza, inoltre, un’altra equazione falsa: che l’aborto
sia un diritto della donna perché riguarda il corpo della
donna, che delle proprie membra può fare ciò che vuole. No. La creatura dentro
la donna, non è il corpo della donna, né s’identifica con la
vita stessa della donna, poiché quella creatura è un’altra vita.
Il Corriere della Sera ha scritto, a cinque anni dalla morte:
“Bobbio è anzitutto un maestro di laicità, non nel senso
stupido e scorretto quasi significasse l’opposto di credente, come credono e
vogliono far credere gli ignoranti e i disonesti. Oggi viviamo in una temperie
culturale assai poco laica, funestata dai fondamentalisti religiosi come da
quelli aggressivamente atei entrambi capaci di ragionare solo con le viscere e
con slogan orecchiati”. E Bobbio disse: “I due mali contro cui la ragione
filosofica ha sempre combattuto – e deve combattere ora più che mai – sono, da
un lato, il non credere a nulla; dall’altro, la fede cieca” (N. Bobbio,
“Che cosa fanno oggi i filosofi?”, Bompiani, Milano, 1982, p.
140). Quindi, al contrario di quanto pensano i militanti laicisti di oggi, il
vero dibattito non sta nel non credere a nulla per mettere in crisi tutto, bensì
nel saper discutere e dialogare con posizioni diverse, animati
da sincere intenzioni di trovare la verità. Dialogare anche a costo di mettere
in crisi sé stessi.
Una posizione incredibilmente vicina al
cristianesimo nel tema del Peccato Originale, come già Leopardi prima
di lui, ma resa amara e negativa dalla mancanza di Speranza (la maiuscola qui è
d’obbligo), Bobbio la espresse con queste parole: “Gli uomini sono cattivi.
Il male è la storia umana. È la sconfitta di Dio e la sconfitta della ragione.
Questo secolo lo dimostra più di ogni altra epoca. E il cristianesimo, dov’è il
cristianesimo?. Parole tratte da un’intervista inedita a Bobbio del 7 gennaio
1994 (due giorni e dieci anni esatti prima della morte) e resa pubblica tre anni
fa dalla rivista “Tempi”. Tornando al tema dell’etica, laica o
cristiana che si voglia considerare, Bobbio constatò pure, in questa intervista,
che «come diceva Croce, non possiamo non dirci cristiani. Senza l’etica
cristiana non c’è convivenza. Ma il cristianesimo come fede è un’altra cosa. E
io non riesco a non dubitare».
Anche a Benedetto Croce, seppur
estimatore del cristianesimo, mancava la fede, quel dono che, è sì dato da Dio e
non da noi stessi, ma che è dato a chi lo vuole avere, e porta
a una volontaria e cosciente accettazione delle verità cristiane. Possiamo
sperare che undici anni fa Bobbio abbia abbracciato la fede per lasciarsi
abbracciare dal Padre, così come possiamo sperare che i laicisti di oggi possano
avere la sua stessa onestà e mitezza vogliano, prendendo esempio dal
maestro.
UCCR 11/01/2015
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