La superbia, vizio satanico e vero cancro dell'anima, oltre ad avere dei fratelli gemelli ha anche alcuni figli, diverse specie e dodici gradi. Si deve all'acutezza dell'intelletto del grande san Tommaso d'Aquino l'aver così lucidamente analizzato questo mostro dalle molteplici teste e dai numerosi tentacoli.
La superbia ha anzitutto sette sciagurate figlie: la discordia, la contesa, la millanteria, la pretesa di novità, l'ipocrisia, la pertinacia e la disobbedienza.
La discordia è l'opposizione della volontà propria a quella altrui, il rifiuto di accogliere con umiltà e amore le posizioni legittime o anche discutibili del prossimo, pretendendo di imporre in ogni circostanza la propria.
Simile ad essa è la contesa, quando questa riluttanza di piegarsi e accomodarsi alla volontà altrui si manifesta non solo con idee e comportamenti, ma anche con le parole: polemiche, insulti, offese, mortificazioni gratuite, umiliazioni inferte al prossimo.
Si badi che essere umili non vuol dire sempre acconsentire a tutto o dire sempre di sì; ma cambiano completamente i modi con cui il disaccordo si manifesta o si esprime a parole, perché un conto è agire con superbia e sprezzo, altro farlo con umiltà e carità.
La regola dell'umile è essere, fin dove possibile, pacifico e accondiscendente, salvo esprimere - se necessario e importante - pacatamente e dolcemente, a tempo, luogo e modi opportuni il proprio parere, sempre presentato con modestia e mai come una sorta di quinto indiscutibile vangelo.
La millanteria, vizio particolarmente odioso e fastidioso, consiste nell’aumentare la parvenza di eccellenza attribuendosi cose false. E’ quell’atteggiamento che nel linguaggio comune viene indicato come “boria”, “spocchia”, che dà luogo al personaggio del bullo o dello spaccone.
La pretesa di novità consiste nell’ostentare esternamente cose inedite e singolari, in modo da essere lodati e ammirati. Oggi, nell’era della trasgressione, questo brutto vizio è oltremodo diffuso, dato che pur di stupire, cercare il “colpo a effetto”, la ricerca e lo sfoggio della novità inedita e originale è legge suprema nel villaggio globale dell’era della comunicazione.
L’ipocrisia è quell’atteggiamento tipico di chi ostenta, esternamente, di avere inesistenti virtù e qualità per essere lodato e stimato dagli uomini. Nei Vangeli abbiamo gli esempi, penosi e pietosi, dei farisei, che bramavano apparire come santi senza esserlo. Anche oggi assistiamo a spettacoli ben poco edificanti, tutti dettati dalla logica dell’apparire e ispirati al desiderio di primeggiare e prevalere.
Altra bruttissima e assai antipatica figlia della superbia è la pertinacia, comunemente nota come caparbietà, cocciutaggine o testardaggine, che consiste nell’impuntarsi e nel difendere ostinatamente e pervicacemente le proprie idee e posizioni anche dinanzi all’evidenza contraria, oppure nel rifiuto di chiedere o accettare un consiglio su qualsivoglia materia.
Si ricordi sempre che i veri uomini di governo e coloro che sono veramente grandi non hanno alcun timore di chiedere buoni consigli, ma hanno, per contro, la capacità di scegliere, con ponderato e cauto discernimento, dei buoni collaboratori e consiglieri.
Ultima, ma non in ordine di importanza, figlia della superbia è la disubbidienza, ovviamente quella che possa definirsi veramente tale, ossia la trasgressione volontaria di un ordine giusto e conforme alla divina volontà, dato dall’autorità legittima, nei limiti consentiti dai suoi poteri.
Un ordine palesemente ingiusto o contrario ai divini voleri oppure esorbitante i limiti dell’autorità (dato cioè abusando dei propri poteri), non solo non obbligherebbe ubbidienza alcuna, ma sarebbe male obbedirvi dovendo, in questo caso, in nome della prudenza e della fortezza, resistere all’ordine e disattenderlo. Fuori di queste circostanze, tuttavia, la disubbidienza è chiarissimo segno di superbia, come il suo contrario lo è dell’umiltà.
Ricordiamo l’insegnamento fondamentale dei maestri di spirito, che è anche una grande massima di discernimento, che il demonio, da astuto ingannatore e “scimmia” di Dio, sa simulare e imitare portenti e prodigi e anche doni e virtù, quando questo gli serve per ingannare. Ma non sa simulare l’ubbidienza... Per cui se si vuole avere la certezza che una persona non sia guidata, per quanto apparentemente santa, dallo spirito cattivo bisogna metterla alla prova su questo punto. Se non la supera, si può essere certi della non bontà delle sue disposizioni, anche se si trattasse di doni e carismi straordinari. Il padre della menzogna è anche il principe della superbia e dove troneggia questo vizio Dio non è e non può essere mai presente.
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