Proponiamo l’ultimo articolo di Mario Palmaro per il Timone,
nel numero di marzo da poco uscito, e dedicato ad Eugenio Corti, scomparso lo
scorso 4 febbraio. È l’omaggio a uno scrittore e testimone che Mario ha
frequentato a lungo e che è stato per lui un modello di militanza cattolica.
L’ha seguito anche in Cielo, un mese dopo.
Segnaliamo e facciamo nostro anche l’appello lanciato dalla
casa editrice Fede&Cultura per aiutare economicamente la famiglia ora senza
reddito di Mario, la moglie e i suoi quattro figli piccoli.Qui per trovare informazioni.
EUGENIO CORTI ENTRA NELLA STORIA
di Mario Palmaro
Quando Eugenio Corti la sera del 4 febbraio è morto
serenamente nella sua bella casa di Besana Brianza, forse avrà rivisto in pochi
istanti la sua vita, un lungo nastro lucente dispiegatosi per 93 anni. E si
sarà come per magia ritrovato nel freddo spaventoso della steppa russa, durante
quella ritirata del 1943 che fu la tomba di decine di migliaia di soldati
italiani. E avrà ricordato, il vecchio Eugenio, quel momento inevitabile in cui
pensi che sia finita: ti rendi conto che le bombe e i micidiali katiuscia
dell’esercito sovietico, oppure il gelo, o la mancanza di cibo, ti faranno
morire lì, solo un altro corpo esanime fra i tanti che vedi intorno a te irrigiditi
nella morsa del gelo.
Una fede antica
Poteva finire così: il giovane sottotenente Corti morto in
un luogo imprecisato della steppa, e di conseguenza: niente racconto della
ritirata di Russia I più non ritornano (1947); niente Gli ultimi soldati del
Re, racconto della sua militanza nell’esercito che risalì l’Italia per restare
fedele alla monarchia; niente Processo e morte di Stalin (1961); niente saga di
quella invenzione cortiana che sono i “racconti per immagini”: La terra
dell’indio (1998) sulle Reducciones del Sudamerica, L’isola del paradiso (2000)
sulla vicenda degli ammutinati del Bounty, e Catone l’antico (2005). Ma,
soprattutto, niente Il Cavallo Rosso: il capolavoro assoluto, il romanzo di una
vita, la consacrazione del pubblico – 29 edizioni – e della critica, con la
Francia dei magazine letterari impazzita per Eugenio Corti e il suo Le cheval
rouge, che lo fa paragonare a Tolstoj, a Pasternak, a Solzenicyn, a Tolkien.
Leggendo questo elenco di nomi, vengono i brividi pensando che noi del Timone
abbiamo vissuto accanto a lui, abbiamo ascoltato la sua voce, siamo stati
ospitati con grande semplicità nella sua casa, accanto all’inseparabile e
discreta moglie Vanda dei Conti di Marsciano. Se questa è la nazionale degli
apologeti, Corti ne è stato il fuoriclasse indiscusso.
Dunque poteva non tornare dal fronte, e invece la
Provvidenza aveva altri progetti per lui. E per tutti noi. Afferrò il giovane
sottotenente Eugenio Corti, giunto a un passo dalla morte, e lo riportò a casa
sano e salvo. Regalandoci non solo un grande cristiano, ma uno scrittore di
livello mondiale.
Per parte sua, questo uomo aveva un segreto che ha fatto da
filo rosso a tutta la sua vita, e che lo ha tenuto in piedi in quei terribili
trentotto giorni di inferno ghiacciato: la fede. Corti promise a Dio che, se ne
fosse uscito vivo, avrebbe dedicato l’intera esistenza alla buona battaglia. E
il voto fu mantenuto fino alla sera del 4 febbraio 2014. Quella di Corti era
una fede robusta, solida, autentica, totalizzante. La sua persona era
“riempita” dall’adesione alla Chiesa cattolica e a quanto essa ci insegna. Una
fede imparata dai genitori, dal parroco, andando a Messa, pregando, studiando
il catechismo, abituandosi a leggere ogni fatto della giornata alla luce della
fede. Se chiedevi a Corti «ma che cos’è la fede?», a differenza di tanti
cattolici contemporanei, ti rispondeva senza tentennamenti: «La fede è
l’adesione della ragione, mossa dalla grazia, alle verità rivelate da Dio, per
l’autorità di Dio stesso che ce le rivela. La Sacra Scrittura e la Trazione
raccolgono queste verità, che formano la fede oggettiva e immutabile della
Chiesa». Questa chiarezza non è un dettaglio di poco conto, ma è il nucleo
intorno al quale ruota l’intera vita di questo scrittore. Due note firme del
Timone – Paola Scaglione e Andrea Sciffo – hanno contribuito a far emergere
negli anni la grandezza di questa poetica e di questo autore.
Il Cavallo Rosso
Il romanzo di Corti è la realizzazione perfettamente
riuscita in forma artistica di questa visione cattolica. Un libro nel quale la
precisione maniacale per i fatti storici, la credibilità dei personaggi e della
trama, si intrecciano con disarmante naturalezza con una costante visione
soprannaturale. Quando ne Il Cavallo Rosso si muore, non si diventa carne
morta, ma si viene istantaneamente e letteralmente afferrati dall’angelo
custode che ti porta in Cielo, e si cominciano a rivedere i volti delle anime
che ci hanno preceduto. Il naturale e il soprannaturale coesistono, e lo
scrittore – che è il testimone incaricato di raccontare e di spiegare il mondo
ai lettori – te lo descrive con certezza incrollabile. Nel secolo in cui i più
grandi romanzieri certificano che oltre l’uomo di carne c’è solo il nulla,
Corti compie un atto di coraggio inaudito: ci dice che la vera vita è quella
che attende tutti, con il suo snodo ineluttabile di un giudizio basato sulle
nostre azioni. Così, il cumulo enorme di male che il romanzo racconta, le
figure malvagie che lo popolano, i molti umili buoni cristiani vittime di
questa immane ingiustizia: tutto trova senso nel fatto che l’esito della storia
è soprannaturale.
La buona battaglia e una confidenza
La vita del cattolico è combattimento, è militanza. Corti
non pensò mai che fare lo scrittore significasse estraniarsi dalla lotta. Non
fu mai disertore. Innanzitutto nei suoi doveri familiari: nato il 21 gennaio
del 1921, primo di dieci fratelli, Corti fece per anni l’imprenditore per
proseguire l’opera di suo padre Mario, e Dio solo sa con quale rinuncia
rispetto al fuoco della vocazione narrativa che già lo divorava. Ma
soprattutto, fu tetragono difensore di principi irrinunciabili: quando nel 1970
l’Italia introdusse il divorzio, Corti si schierò senza esitazione con Gabrio
Lombardi, Emanuele Samek Lodovici, Sergio Cotta, Augusto Del Noce, Enrico Medi,
Giorgio La Pira e altri che si batterono per riaffermare l’indissolubilità
naturale di ogni matrimonio. E così ebbe a scontrarsi con Giuseppe Lazzati (che
pure Corti ammirava) e con i cattolici che votarono a favore del divorzio, come
Sabino Acquaviva, Paolo Prodi, Tiziano Treu, Giuseppe Alberigo, Pietro
Scoppola, Pierre Carniti, Raniero La Valle, Mario Pastore, Guglielmo Zucconi,
Adriana Zarri, Carlo Caretto, Padre David Maria Turoldo. Costoro rimasero tutti
sulla cresta dell’onda cattolica, riveriti e incensati fino ai nostri giorni.
Corti e gli altri, sconfitti, scomparvero.
Qualche anno dopo, di fronte alla prospettiva di impegnarsi
nello stesso modo per il referendum del 1981 sull’aborto, lo scrittore decise
di restarsene nella sua casa di Besana. «Io – mi confidò sconsolato – avevo
posto una sola condizione per battermi: tappezzare l’Italia di manifesti che
mostrassero le foto raccapriccianti di che cosa succede a un feto abortito. Per
convincere la gente che l’aborto è sbagliato, bisogna mostrare alla gente che
cos’è l’aborto. Mi risposero che questo era impossibile, e che sarebbero stati
usati messaggi positivi e foto di bambini sorridenti. Capii in quel momento che
la battaglia era persa in partenza, e mi ritirai in buon ordine. E così fu».
Il fumo nel Tempio
Insomma, Corti fu un uomo dalla schiena diritta. Fu un
anticomunista e un controrivoluzionario. Che non mancò di denunciare la
drammatica crisi in cui la Chiesa stava scivolando da mezzo secolo. Lo fece con
il suo saggio Il fumo nel tempio (1996), che alludeva alle terribili parole di
Paolo VI e che fotografa in maniera lucida e impietosa quel capovolgimento in
atto in base al quale più un cattolico restava fedele alla dottrina, e
continuava a fare e pensare ciò che aveva sempre fatto e pensato, e più veniva
messo in un angolo; e rimpiazzato da personaggi che un tempo sarebbero stati
sospettati di eresia.
Questa fu, diciamocelo, la sorte dello stesso Corti: sempre
più amato dai lettori di tutto il mondo, dai giovani, da alcuni critici liberi.
Dimenticato da chi – cattolico e non – predilige il compromesso e la resa.
Per fortuna adesso il dottor Corti, con la sua barba curata
alla Sean Connery, se la ride tutto contento godendosi il sole del Paradiso. E
il gelo della steppa russa è, ormai, solo un pallido ricordo.
IL TIMONE
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