di padre Giovanni Cavalcoli
Alcuni dicono che la storia non si fa con i “se”. In linea di principio è vero, perché essa è fatta dalle azioni umane, per cui, posta un’azione, non è necessariamente detto che ne scaturisca un’altra determinata. Infatti, siccome si tratta di azioni libere, avviene che l’azione che ad essa consegue non sia sempre così come ci si sarebbe potuto aspettare, come avviene invece nei fenomeni naturali, dove, posta una causa, ne scaturisce necessariamente un dato effetto e non altro.
Ogni tanto tuttavia nella storia appaiono certe persone sagge e perspicaci, potremmo dire delle figure profetiche, capaci di riconoscere in che senso sta andando la storia, in certo modo di leggere nel futuro, di intravedere pericoli incombenti ed occasioni favorevoli, in grado di vedere quali conseguenze possono nascere da certe premesse. Esse danno un avvertimento, contravvenendo al quale, si verificano pressoché immancabilmente quelle conseguenze spiacevoli o addirittura tragiche, che si sarebbero potute evitare, se si fosse tenuto conto dell’avvertimento. Lo schema dell’avvertimento è il seguente, già noto ai ragazzini, quando sono avvertiti dai genitori: “bada che se fai questo, ti capiterà quest’altro”.
Certo, se si tratta dell’avvertimento del medico, e il paziente trascura l’avviso, il guaio previsto è immancabile, perché qui si tratta di leggi di natura. Se invece si tratta di rapporti umani, le cose sono più complesse ed incerte, perché qui si intrecciano sia fattori naturali che atti del libero arbitrio, e allora la previsione si verifica con esattezza solo nel caso delle vere e proprie profezie, che però mettono in gioco l’onniscienza divina, fatto, questo, che accade assai raramente. Se tuttavia è impossibile umanamente prevedere con certezza e precisione il futuro nel caso degli atti umani, quando si tratta di movimenti o tendenze storiche, ossia di trend, come dicono gli Inglesi, dove giocano meccanismi psicologici imitativi e ripetitivi, una persona saggia e avveduta, a conoscenza della situazione storica, più facilmente può prevedere nella fattispecie il futuro, perché detti movimenti, benché in essi si esprima il libero arbitrio, hanno un andamento tale per cui, una volta che partono, se non sorgono imprevedibili ostacoli insuperabili, quasi sempre sfociano là dove segnalano di giungere sin dal loro inizio.
E questa è la questione che ci tocca qui: la gravissima segnalazione del Card. Ottaviani, che inviò segretamente a tutte le Conferenze Episcopali nel 1966, appena l’anno dopo della chiusura del Concilio, per mettere in guardia i vescovi nei confronti di una serie di errori che denotavano, nel pieno dell’entusiasmo e dell’ottimismo postconciliari, un forse inaspettato ritorno di modernismo. Ma l’avvertimento non fu ascoltato, come si poteva immaginare. Nessuno intervenne e anzi Ottaviani fece proprio la figura dell’arcigno apologeta della severità, dell’attardato collezionista delle condanne, dell’uccello del malaugurio o di quei “profeti di sventura”, contro i quali se la prese Giovanni XXIII nel discorso inaugurale del Concilio.
Senonché, però, i decenni seguenti s’incaricarono di mostrare puntualmente a iosa e anzi in modo più grave quanto Ottaviani avesse ragione e già da allora con occhio profetico, da vero servitore della purezza della fede, aveva previsto o intuìto. Appena due anni dopo, infatti, nel 1968, scoppiava quella nefasta “contestazione”, che avrebbe messo in agitazione e turbato tutta la società e la Chiesa, nello stesso anno nel quale Paolo VI pubblicava l’importantissima enciclica Humanae Vitae, un’apologia della dignità della vita umana e delle sue origini genetiche e biologiche, la quale fu contrastata oltre che da una massa di famosi moralisti e teologi, anche da alcuni Episcopati, tanto che il Papa ne rimase così scosso, che fino alla morte, nel 1978, non pubblicò più encicliche.
Nello stesso tempo negli anni ’70 aumentava il potere del Partito Comunista Italiano, l’espansione del comunismo nel mondo, in America Latina sorgevano la “teologia della liberazione” e i preti guerriglieri come Camilo Torres o Ernesto Cardenal, in Italia si scatenava il terrorismo delle Brigate Rosse, si perpetrava l’assassinio di uomini pubblici specialmente cattolici, per esempio Calabresi, Bachelet, Dalla Chiesa, Moro, mentre nella Chiesa si moltiplicavano in modo impressionante le ribellioni, gli scandali, il calo delle vocazioni, la defezione di preti e religiosi, la diffusione di teologie ereticali, l’assenteismo opportunista e pauroso dei vescovi, il calo della pratica dei sacramenti, l’aumento della criminalità, la diffusione della droga e della prostituzione, gli spettacoli licenziosi, gli affari sporchi, la decadenza del costume morale con la crisi della famiglia e della scuola, la diffusione del divorzio e dell’aborto, la violenza della mafia, il commercio delle armi, i sequestri di persona, lo sbandamento della gioventù, gli scioperi, il moltiplicarsi dei conflitti sociali, l’indebolimento dell’impegno politico dei cattolici.
Nel contempo il rinnovamento conciliare faceva un’enorme fatica ad affermarsi, nonostante le continue, pressanti e sagge esortazioni provenienti da Paolo VI, impotente però nel fronteggiare la rivolta e a mantenere la disciplina ecclesiale, sconvolta dalla contestazione aperta dei facinorosi e nascostamente intralciata dai teologi eretici, anche se certo non mancavano le opportune riforme e l’avanzamento e miglioramento della vita cattolica ed ecclesiale con una grande molteplicità di iniziative e movimenti. Ma tale rinnovamento aveva la palla al piede di un’interpretazione modernistica che scatenò per reazione l’anacronistica opposizione al Concilio del movimento lefebvriano, tutte cose delle quali soffriamo ancor oggi e anzi sono peggiorate.
Era comunque di quegli anni l’insorgere delle forze dirompenti che il tanto bistrattato Cardinale Ottaviani, in qualità di Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, aveva con notevole oculatezza segnalato nella sua lettera all’episcopato mondiale, che cito in appendice. Dico “bistrattato” perché egli ingiustamente presso i circoli neomodernisti divenne il simbolo di un’ala ecclesiale conservatrice, e lo zimbello dei sedicenti “progressisti”, secondo i quali Ottaviani faceva da freno in modo miope al rinnovamento conciliare. E invece si trattava della voce della dottrina tradizionale, della quale i modernisti si facevano beffe. Da qui la reazione estremista e scismatica del movimento di Mons. Lefèbvre.
Chi fu il Card. Alfredo Ottaviani? È stato uno dei principali protagonisti del movimentato, agitato ed euforico periodo dell’elaborazione del Concilio Vaticano II e degli anni dell’immediato postconcilio. Era, prima del Concilio, il Segretario del Sant’Uffizio, passato poi, con la riforma di questo dicastero, a Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede. Fu tra i principali autori del dossier elaborato soprattutto dalla “Scuola romana” per il modo di procedere del Concilio, che era stato voluto da Giovanni XXIII, e che fu invece quasi brutalmente accantonato fin dall’inizio dei lavori dall’ala progressista in maggioranza al Concilio per essere sostituito da un procedimento da essa preparato.
Come ha messo bene luce lo storico Roberto De Mattei nel suo approfondito studio sulla storia della formazione dei documenti conciliari[1], nel corso dei lavori del Concilio sin dall’inizio emersero due correnti in contrasto tra di loro, che riflettevano due modi opposti di intendere il lavoro da fare: una, quella che aveva preparato il suddetto dossier, più attenta ai contenuti dogmatici, al linguaggio tradizionale ed allo stile canonistico precedente della Chiesa, ed un’altra, più attenta al modulo pastorale, che Papa Giovanni aveva indicato, ossia l’attenzione alla modernità e l’elaborazione di un nuovo linguaggio, col quale trasmettere il Vangelo agli uomini del nostro tempo.
Le due correnti in realtà, al di là dei contrasti e degli eccessi da ambo le parti, si rivelarono provvidenzialmente, col procedere dei lavori, reciprocamente complementari, sicché alla fine, pressoché all’unanimità, elaborarono i documenti ufficiali, nei quali si nota la sintesi, come era nei voti di Papa Giovanni e Paolo VI, tra la preoccupazione dei conservatori di non tradire la dottrina tradizionale, e l’intento dei progressisti di esprimere il patrimonio dottrinale tradizionale in una forma nuova, che andasse incontro ai valori della modernità in un linguaggio adatto agli uomini del nostro tempo.
Il Cardinale Ottaviani apparteneva indubbiamente alla corrente conservatrice, la quale meno riuscì a comprendere l’intuizione profetica ed opportuna di Giovanni XXIII, che egli espose a più riprese circa il senso e lo scopo del Concilio: questo modo nuovo e moderno di presentare l’eterno messaggio del Vangelo agli uomini del nostro tempo, senza in nulla mutare i contenuti del sacro deposito della divina Rivelazione, ma semmai per spiegarli meglio facendo avanzare la Chiesa nella conoscenza della Parola di Dio.
Per la verità all’inizio dei lavori del Concilio il panorama della teologia cattolica non presentava modelli numerosi o cospicui del non facile rinnovamento al quale esortava Papa Giovanni. L’ambiente ortodosso era per lo più su posizioni conservatrici. Pensiamo a Garrigou-Lagrange, a Gagnebet, a Gillon, a Piolanti, a Gherardini, a Garofalo, a Landucci, ai Cardinali Ciappi, Browne, Parente, Baggio, Bacci, Pizzardo, Florit, Ruffini, mentre anche recenti tentativi di rinnovamento, come la théologie nouvelle, erano stati condannati da Pio XII per la loro tendenza esistenzialistica o modernistica.
Pochissimi, quindi, potevano essere i punti di riferimento di sicura ortodossia, come un Maritain, un Cordovani, un Congar, un Ratzinger, un Lercaro, un Daniélou, un Bea, un Hâmer, un Philips, un Philippe, uno Suenens, mentre esisteva un movimento innovatore, che però offriva alla stessa S. Sede qualche preoccupazione, come quello legato a Chenu, Bouillard, De Lubac, Rahner, Metz, Küng, Schoonenberg e Schillebeeckx, che godevano delle simpatie di Cardinali come Colombo, Alfrink, Willebrands, König o Döpfner.
Ottaviani chiese ai vescovi che la sua lettera restasse segreta. Forse non fu un’idea felice, perché a mio modesto avviso essa finì per apparire ai presuli scarsamente importante, anche perché essi non potevano pubblicamente citare il Card. Ottaviani. Questi probabilmente temeva che la conoscenza pubblica degli errori segnalati avrebbe suscitato nell’ambiente progressista ormai dominante una fortissima reazione contraria. Forse qui Ottaviani ha fatto un calcolo troppo umano.
Egli intuì con esattezza i gravi errori che sarebbero rimasti sino ad oggi, ma non se la sentì di impegnare con chiarezza e pubblicamente la sua autorità nel farli conoscere, quasi che essi potessero essere corretti, come si suol dire, in via riservata e in camera caritatis, mentre in realtà interessavano tutta la Chiesa ed in particolare i fedeli, posti nel rischio di deviare dalla fede. Si potrebbe dire che dal tono col quale il Cardinale si esprime, si trattasse a volte più di sospetti o di apparenze che di certezze comprovate. È solo nei decenni successivi che quegli errori, non doverosamente corretti o condannati, assumono il tono di una ostinata sicurezza e totale chiarezza, nella certezza dell’impunità.
Naturalmente, dietro la posizione di Ottaviani dev’esserci stato il permesso del Papa. Per questo potremmo con ogni rispetto girare al Sommo Pontefice la nostra perplessità circa la saggezza pastorale di quella decisione, la quale di fatto finì per mettere in ombra una illuminante e tutto sommato garbata segnalazione, che faceva un quadro esatto e neppure completo della realtà. Ha consentito così la permanenza di un morbo che avrebbe continuato a tormentare la Chiesa sino ai nostri giorni.
Oggi scontiamo, secondo me, l’imprudenza di quella decisione. Se la S. Sede con coraggio apostolico e franchezza evangelica avesse, senza calcoli umani, sùbito pubblicamente segnalato e condannato quegli errori, chiunque fosse stato chi li sosteneva, fossero stati anche Cardinali, oggi probabilmente non ci troveremmo nella pesante situazione di un modernismo che da allora, proprio per la tolleranza per non dire riprovevole ammirazione, che è stata usata nei suoi riguardi, non ha fatto che rafforzarsi e diffondersi fino ad oggi in tutti gli ambienti della Chiesa.
È vero che i Pontefici successivi e la stessa Congregazione della Fede si sono adoperati in questi cinquant’anni per rimediare agli errori segnalati da Ottaviani. Ma nel frattempo ne sono sorti altri, come ho segnalato in un recente articolo, soprattutto in relazione al rahnerismo. Ma forse se Papa Giovanni fosse stato più comprensivo col buon Cardinale e con la parte di Chiesa che egli rappresentava, questo poteva servire per ostacolare quanto meno l’ascesa del modernismo, del quale oggi soffriamo la spavalda prepotenza di chi si atteggia a guida suprema ed indiscussa della Chiesa sulla linea della modernità.
La storia, è vero, non si fa con i “se”: ma quando la storia ci narra di un saggio avvertimento che non è stato seguìto, non meravigliamoci se le disastrose conseguenze implicite si sono puntualmente verificate.
APPENDICE
Lettera del Card. Alfredo Ottaviani
SACRA CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE
Lettera circolare ai Presidenti delle Conferenze Episcopali circa alcune sentenze ed errori insorgenti sull’interpretazione dei decreti del Concilio Vaticano II
Giacché il Concilio Ecumenico Vaticano II, da poco felicemente concluso, ha promulgato sapientissimi Documenti, sia in materia dottrinale sia in materia disciplinare, allo scopo di promuovere efficacemente la vita della chiesa, a tutto il popolo di Dio incombe il grave dovere di impegnarsi con ogni sforzo alla attuazione di quanto, sotto l'influsso dello Spirito Santo, è stato solennemente proposto o decretato da quella universale assemblea di vescovi presieduta dal sommo pontefice.
Spetta alla Gerarchia il diritto e il dovere di vigilare, guidare e promuovere il movimento di rinnovamento iniziato dal Concilio, in maniera che i Documenti e i Decreti conciliari siano rettamente interpretati e vengano attuati con la più assoluta fedeltà al loro valore ed al loro spirito. Questa dottrina, infatti, deve essere difesa dai Vescovi, giacché essi, con a Capo Pietro, hanno il mandato di insegnare con autorità. Lodevolmente molti Pastori hanno già cominciato a spiegare come si conviene la dottrina del Concilio.
Tuttavia bisogna confessare con dolore che da varie parti son pervenute notizie infauste circa abusi che vanno prendendo piede nell'interpretare la dottrina conciliare, come pure di alcune opinioni peregrine ed audaci qua e là insorgenti, con non piccolo turbamento di molti fedeli. Sono degni di lode gli studi e gli sforzi per investigare più profondamente la verità, distinguendo onestamente tra ciò che è materia di fede e ciò che è opinabile; ma dai documenti esaminati da questa Sacra Congregazione risulta trattarsi di non poche affermazioni, le quali oltrepassando facilmente i limiti dell’ipotesi o della semplice opinione, sembrano toccare in certa misura lo stesso dogma ed i fondamenti della fede.
Conviene, a titolo di esempio, accennare ad alcune di tali opinioni ed errori, così come risultano dai rapporti di persone competenti e da scritti pubblicati.
In primo luogo circa la stessa Sacra Rivelazione: ci sono alcuni, infatti, che ricorrono alla Sacra Scrittura lasciando deliberatamene da parte la Tradizione, ma poi restringono l’ambito e la forza della ispirazione biblica e dell’inerranza, né hanno una giusta nozione del valore dei testi storici.
Per quanto riguarda la dottrina della fede, viene affermato che le formule dogmatiche sono soggette all’evoluzione storica al punto che anche lo stesso loro significato oggettivo è suscettibile di mutazione.
Il Magistero ordinario della Chiesa, particolarmente quello del Romano Pontefice, è talvolta così negletto e sminuito, fino a venir relegato quasi nella sfera delle libere opinioni.
Alcuni quasi non riconoscono una verità oggettiva assoluta, stabile ed immutabile, e tutto sottopongono ad un certo relativismo, col pretesto che ogni verità segue necessariamente il ritmo evolutivo della coscienza e della storia.
La stessa Persona adorabile di Nostro Signore Gesù Cristo è chiamata in causa, quando, nell’elaborazione della dottrina cristologia, si adoperano, circa la natura e la persona, concetti difficilmente conciliabili con le definizioni dogmatiche. Serpeggia un certo umanesimo cristologico che riduce Cristo alla condizione di un semplice uomo, il quale un po’ per volta acquistò la consapevolezza della sua filiazione divina. Il suo concepimento verginale, i miracoli, la stessa Risurrezione vengono ammessi solo a parole, ma vengono ridotti al puro ordine naturale.
Similmente nella teologia sacramentaria alcuni elementi o vengono ignorati o non sono tenuti nel debito conto, specialmente per quanto riguarda l’Eucaristia. Circa la presenza reale di Cristo sotto le specie del pane e del vino non mancano alcuni che ne parlano inclinando ad un esagerato simbolismo, quasi che, in forza della transustanziazione, il pane e il vino non si mutassero in Corpo e Sangue di N.S. Gesù Cristo, ma fossero semplicemente trasferiti ad una determinata significazione. Ci sono alcuni che, a proposito della Messa, insistono troppo sul concetto di agape a scapito del concetto di Sacrificio.
Alcuni vorrebbero spiegare il Sacramento della Penitenza come un mezzo di riconciliazione con la Chiesa, non esprimendo sufficientemente il concetto di riconciliazione con Dio offeso. Affermano pure che nella celebrazione di questo Sacramento non è necessaria l'accusa personale dei peccati, sforzandosi di esprimere unicamente la funzione sociale della riconciliazione con la Chiesa.
Né mancano alcuni che o non tengono in debito conto la dottrina del Concilio Tridentino circa il peccato originale, o la spiegano in modo che la colpa originale di Adamo e la trasmissione del suo peccato ne restano perlomeno offuscate.
Né minori sono gli errori che si vanno propagando nel campo della teologia morale. Non pochi, infatti, osano rigettare il criterio oggettivo di moralità; altri non ammettono la legge naturale, affermando invece la legittimità della cosiddetta etica della situazione. Opinioni deleterie vanno propagandosi circa la moralità e la responsabilità in materia sessuale e matrimoniale.
A quanto s'è detto bisogna aggiungere alcune parole circa l'ecumenismo. La Sede Apostolica loda, indubbiamente, coloro che nello spirito del Decreto conciliare sull'ecumenismo promuovono iniziative destinate a favorire la carità verso i fratelli separati e ad attirarli all'unità della Chiesa; ma si duole del fatto che non mancano alcuni i quali, interpretando a modo proprio il Decreto conciliare, propugnano un'azione ecumenica tale da offendere la verità circa l'unità della fede e della Chiesa, favorendo un pernicioso irenismo e un indifferentismo del tutto alieno dalla mente del Concilio.
Questi pericolosi errori, diffusi quale in un luogo quale in un altro, sono stati sommariamente raccolti in sintesi in questa Lettera agli Ordinari di luogo, affinché ciascuno, secondo la sua funzione ed il suo ufficio, si sforzi di sradicarli o di prevenirli.
Questo Sacro Dicastero prega vivamente i medesimi Ordinari, riuniti in Conferenze Episcopali, di farne oggetto di trattazione e di riferirne opportunamente alla Santa Sede inviando i propri pareri prima del Natale dell'anno in corso.
Gli Ordinari e quanti altri ai quali per giusta causa essi riterranno opportuno mostrare questa Lettera, la custodiscano sotto stretto segreto, giacché una evidente ragione di prudenza ne sconsiglia la pubblicazione.
Roma, 24 luglio 1966.
Da: Il Concilio Vaticano II. Una storia mai scritta, Torino 2010.
http://www.lavocedidoncamillo.com
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