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di Marco Bongi
Preti anti-mafia ed anti-camorra: hanno saputo condannare e combattere la criminalità organizzata. Qualcuno è stato pure ucciso e dunque meritano lodi, encomi e processi di beatificazione. Nessuno ha nulla da contestare ai loro metodi pastorali.
Vescovi che si sono coraggiosamente opposti alle dittature sud-americane. Hanno condannato i soprusi e tuonato contro i regimi anti-democratici. Bene…, bene. Anche per loro grandi Osanna ed elogi sui media cattolici.
Lo stesso dicasi per quegli ecclesiastici che hanno condannato e duramente continuano a stigmatizzare il razzismo, l’antisemitismo, lo sfruttamento dei capitalisti sui lavoratori, la pena di morte e, forse ancora per poco, la pedofilia.
Non intendo assolutamente, in queste poche righe, entrare nel merito di tali delicate questioni. Mi limito soltanto ad esporre alcune semplici riflessioni di carattere metodologico.
Quando infatti i “normalisti” si sforzano di giustificare alcuni orientamenti pastorali del nuovo corso ecclesiale, spesso ci ammanniscono commoventi fervorini coniugati sulla seguente lunghezza d’onda:
“Non serve a nulla lanciare condanne e scomuniche: è assai più utile annunciare il Vangelo in senso positivo. Mostrare quanto sia bella la famiglia, l’amore fra un uomo e una donna, allevare tanti figli, aiutare gli anziani malati cronici… Questo è il metodo più sicuro per diffondere la vera dottrina che comunque non cambia”.
Ed allora mi chiedo: se così stanno le cose… perché non criticate anche i preti anti-mafia. Non sarebbe meglio che essi mostrassero, con l’esempio, come sia bello vivere onestamente ma si astenessero dalle omelie infuocate dal pulpito?
Perché criticate aspramente i supposti silenzi di alcuni pastori durante i regimi militari sud-americani e, addirittura, quelli, costruiti a tavolino, di Pio XII sullo sterminio degli ebrei?
Perché non invocate, in tutte le situazioni citate sopra, la pastorale dialogante fatta propria dal Concilio Vaticano II?
E’ assolutamente inevitabile, del resto, che chiunque si accinga a sostenere un’idea a cui tiene molto, qualunque possa essere la sua tesi, dovrà argomentare le proprie posizioni, sia in senso positivo, sia contestando le obiezioni e le prassi contrarie.
Tutti hanno fatto così, in ogni luogo e in ogni tempo. Se l’idea è considerata importante le si dedicano molti studi e sforzi espositivi. Se tale non la si considera, può bastare qualche buona parola, tanto per tacitarsi la coscienza.
In verità dunque, per quanto mi sforzi di riflettere, non riesco a trovare, a queste importanti domande, altre risposte se non la seguente:
Non si deve condannare ciò che il mondo non vuole che si condanni: divorzio, aborto, omosessualismo, eutanasia, relativismo, mondialismo ecc.
Si deve invece condannare, ed anzi guai a chi non condanna, ciò che il mondo vuole che sia condannato: disegualianze sociali, unicità della Verità, valori tradizionali nella Religione e nella Liturgia, legge naturale ecc.
Questa è purtroppo la realtà delle cose e molti cristiani, compresi parecchi pastori, si stanno rapidamente adeguando. Ammantano la vergognosa capitolazione culturale con discorsi accattivanti, con ragionamenti buonisti, con parole levigate e distinguo sofistici.
Tutto bene, salvo il fatto, inequivocabile e incancellabile, che non è questo l’atteggiamento che Nostro Signore ci ha insegnato con il Suo Vangelo. Possibile che così pochi se ne rendano conto?
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