Cioè senza un miracolo accertato dopo la loro beatificazione. È una procedura eccezionale, usata poche volte nella storia. Ma papa Francesco se ne avvale con una frequenza che non ha precedenti
di Sandro Magister
CITTÀ DEL VATICANO, 19 marzo 2014 – Ricevendo in udienza monsignor Bernardo Álvarez Afonso, vescovo di San Cristóbal de la Laguna a Tenerife, nelle isole Canarie, papa Francesco gli ha annunciato che il prossimo 2 aprile proclamerà santo un illustre figlio di quelle isole, il gesuita José de Anchieta (1534-1597), definito l’Apostolo del Brasile (vedi illustrazione).
La notizia era già stata anticipata a fine febbraio dal cardinale Raymundo Damasceno Assis, arcivescovo di Aparecida e presidente della conferenza episcopale brasiliana.
Ma monsignor Álvarez ha diffuso la notizia sul sito della sua diocesi il giorno stesso dell’udienza, l’8 marzo, fornendo ulteriori dettagli sull’evento.
Ha spiegato infatti che Anchieta verrà ascritto nell’elenco dei santi assieme a due beati nati in Francia e che hanno avuto un ruolo di primo piano nell’evangelizzazione del Canada: la mistica missionaria Maria dell’Incarnazione, al secolo Marie Guyart (1599-1672), e il vescovo Francesco de Montmorency-Laval (1623-1708).
I tre furono beatificati da Giovanni Paolo II il 22 giugno 1980 assieme ad altri due venerabili vissuti nelle Americhe, che nel frattempo sono stati già canonizzati con la procedura ordinaria: Pietro de Betancour (1626-1667), e la giovane vergine pellerossa Caterina Tekakwitha (1656-1680), proclamati santi, rispettivamente, da Giovanni Paolo II il 30 luglio 2002 e da Benedetto XVI il 21 ottobre 2012.
Tutto normale? No. Il vescovo di Tenerife ha rivelato che i tre beati saranno proclamati santi non con la procedura ordinaria, che esige il riconoscimento canonico di un miracolo attribuito alla loro intercessione, ma attraverso un canale straordinario storicamente definito “canonizzazione equipollente”.
In cosa consista questa procedura speciale, che "è stata sempre presente nella Chiesa e attuata regolarmente, anche se non frequentemente", lo ha illustrato su "L'Osservatore Romano" del 12 ottobre 2013 il cardinale Angelo Amato, prefetto della congregazione delle cause dei santi.
Spiega il porporato:
"Per tale canonizzazione, secondo la dottrina di Benedetto XIV, si richiedono tre elementi: il possesso antico del culto; la costante e comune attestazione di storici degni di fede sulle virtù o sul martirio; la ininterrotta fama di prodigi".
Continua il cardinale Amato:
"Se si soddisfano queste condizioni – è ancora dottrina di papa Prospero Lambertini – il sommo pontefice, di sua autorità, può procedere alla 'canonizzazione equipollente', cioè all’estensione alla Chiesa universale della recita dell’ufficio divino e della celebrazione della messa [in onore del nuovo santo], 'senza alcuna sentenza formale definitiva, senza aver premesso alcun processo giuridico, senza aver compiuto le consuete cerimonie'".
In effetti lo stesso papa Lambertini – in un tomo della sua monumentale opera "De servorum Dei beatificatione et beatorum canonizatione" ora disponibile anche in italiano per i tipi della Libreria Editrice Vaticana – enumera dodici casi di santi canonizzati in questo modo prima del suo pontificato (1740-1758).
Essi sono: Romualdo (canonizzato nel 1595), Norberto (1621), Bruno (1623), Pietro Nolasco (1655), Raimondo Nonnato (1681), Stefano di Ungheria (1686), Margherita di Scozia (1691), Giovanni di Matha e Felice di Valois (1694), Gregorio VII (1728), Venceslao di Boemia (1729), Gertrude di Helfta (1738).
Il cardinale Amato poi, sempre su "L'Osservatore Romano" del 12 ottobre scorso, enumera anche le "canonizzazioni equipollenti" successive a Benedetto XIV: Pier Damiani e Bonifacio martire (canonizzati nel 1828); Cirillo e Metodio di Salonicco (1880); Cirillo di Alessandria, Cirillo di Gerusalemme, Giustino martire e Agostino di Canterbury (1882); Giovanni Damasceno e Silvestro abate (1890); Beda il venerabile (1899); Efrem Siro (1920); Alberto Magno (1931); Margherita di Ungheria (1943); Gregorio Barbarigo (1960); Giovanni d’Avila e Nicola Tavelic e tre compagni martiri (1970); Marco di Križevci, Stefano Pongrácz e Melchiorre Grodziecki (1995).
Come si può notare, Giovanni Paolo II, che pur da solo ha proclamato più santi e beati di tutti i suoi predecessori messi assieme – da quando i papi hanno riservato a sé tale potere – ha usato una sola volta la procedura della "canonizzazione equipollente".
Anche Benedetto XVI l’ha usata una sola volta, con Ildegarda di Bingen proclamata santa il 10 maggio 2012.
Papa Francesco invece ha già usato questa procedura eccezionale due volte. Il 9 ottobre 2013 con Angela da Foligno (1248-1309) e il successivo 17 dicembre con il gesuita Pietro Favre (1506-1546).
E la userà per una terza volta, proclamando tre nuovi santi, il prossimo 2 aprile, con il gesuita Anchieta, con suor Maria Guyart e con il vescovo Francesco de Montmorency-Laval.
In pratica l’attuale papa, in un solo anno di pontificato, ha fatto ricorso a questa modalità speciale in una quantità di casi inferiore al solo Leone XIII, che l’ha usata un poco di più, anche se in un arco di vent’anni (tra il 1880 e il 1899) e applicandola a personalità del primo millennio dell’era cristiana, con l'unica eccezione di Silvestro abate, vissuto comunque nel lontano XIV secolo.
Papa Francesco, insomma, pur amando la qualifica di semplice vescovo di Roma, esercita in pieno le prerogative che gli spettano in qualità di sommo pontefice della Chiesa universale anche nella politica delle canonizzazioni. Politica particolarmente delicata perché, nonostante opinioni contrarie presenti tra i teologi, secondo la dottrina in vigore le canonizzazioni – al contrario delle beatificazioni – impegnano il magistero infallibile della Chiesa.
Quando infatti nel 1989 venne promulgato il motu proprio di Giovanni Paolo II "Ad tuendam fidem", in una successiva “Nota dottrinale" annessa, firmata dall’allora cardinale Joseph Ratzinger, "le canonizzazioni dei santi" furono esplicitamente citate tra "le dottrine proposte infallibilmente" dalla Chiesa "in modo definitivo", assieme ad altre dottrine come l’ordinazione sacerdotale da riservarsi soltanto agli uomini, l’illiceità dell’eutanasia, l’illiceità della prostituzione e della fornicazione, la legittimità dell’elezione di un papa o della celebrazione di un concilio ecumenico, la dichiarazione di Leone XIII sulla invalidità delle ordinazioni anglicane.
In questo campo, quindi, risulta clamorosa anche la decisione presa da papa Francesco di procedere alla canonizzazione di Giovanni XXIII – che sarà celebrata il prossimo 27 aprile – con procedura ordinaria, ma senza che sia stato canonicamente accertato, come di norma, un miracolo attribuito alla sua intercessione e avvenuto dopo la sua beatificazione.
Si tratta di una deroga particolarmente eclatante. Esercitando il potere di sommo pontefice Francesco ha disposto che per canonizzare Angelo Roncalli, in via del tutto eccezionale, non sia necessario il miracolo e bastino la perseverante fama di santità che circonda la sua figura e la “fama signorum”, cioè le grazie a lui attribuite, che continuano ad essere testimoniate anche se nessuna di loro è stata certificata canonicamente come miracolo vero e proprio.
In pratica, anche qui Francesco ha sfruttato al massimo grado il potere pontificio di cui dispone in quanto capo della Chiesa universale, per assumere una decisione che non sembra avere precedenti per quanto riguarda cause non concernenti martiri.
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