Anticipati alcuni stralci di un’intervista al Papa emerito, che apparirà in un libro dedicato alla canonizzazione di Wojtyla: «Non chiedeva applausi. Solo a partire dal suo rapporto con Dio si capisce il suo impegno pastorale»
Redazione
Karol Wojtyla e Joseph Ratzinger si incontrarono per la prima volta durante il conclave che elesse poi Giovanni Paolo I e, come racconta Benedetto XVI, «ho provato sin dall’inizio una grande venerazione e una cordiale simpatia per il Metropolita di Cracovia. (…) Percepii subito con forza il fascino umano che egli emanava e, da come pregava, avvertii quanto fosse profondamente unito con Dio». Sono alcune delle risposte che, a un anno dalla rinuncia al pontificato, il Papa emerito ha dato al vaticanista polacco Wlodzimierz Redzioch, che apre il libro Accanto a Giovanni Paolo II. Gli amici e i collaboratori raccontano, edito da Ares in vista della canonizzazione del Santo Padre polacco, il prossimo 27 aprile, e anticipata in ampi stralci oggi dal Corriere della Sera e Avvenire.
LA TEOLOGIA DELLA LIBERAZIONE. Durante il Concilio entrambi avevano collaborato «alla Costituzione sulla Chiesa nel mondo contemporaneo», ma in sezioni diverse e quindi non si erano mai incontrati. In seguito all’elezione di Wojtyla a Papa, invece, i due religiosi strinsero un rapporto molto stretto, che cominciò con la nomina di Ratzinger a prefetto della Congregazione per l’educazione cattolica e in seguito, nel 1981, a prefetto della Congregazione della dottrina della fede: «Accettai l’incarico, ben conscio della gravità del compito, ma sapendo anche che l’obbedienza al Papa esigeva ora da me un “sì”». Erano anni intensi per la Chiesa, impegnata in sfide dottrinali pressanti, su tutte quella della Teologia della liberazione che si diffondeva in America Latina. Era un errore appoggiarla, nella convinzione che c’era in Europa che fosse un modo per sostenere i poveri. «La povertà e i poveri erano senza dubbio posti a tema della Teologia della liberazione e tuttavia in una prospettiva molto specifica. (…) Non era questione di aiuti e di riforme, si diceva, ma del grande rivolgimento dal quale doveva scaturire un mondo nuovo. La fede cristiana veniva usata come motore per questo movimento rivoluzionario, trasformandola così in una forza di tipo politico».
LA VOCAZIONE ALLA LIBERAZIONE DELL’UOMO. L’opposizione di Ratzinger e di Wojtyla si erse «anche proprio per amore dei poveri e a pro del servizio che va reso loro». Fondamentali, spiega Benedetto XVI, furono le delucidazioni di Giovanni Paolo II, che «aveva vissuto la schiavizzazione operata da quella ideologia marxista che faceva da madrina della Teologia della liberazione». La vita delle comunità cristiane in Polonia aveva mostrato a Wojtyla «che la Chiesa deve veramente agire per la libertà e la liberazione non in modo politico, ma risvegliando negli uomini, attraverso la fede, le forze dell’autentica liberazione. Il Papa ci guidò a trattare entrambi gli aspetti: da un lato a smascherare una falsa idea di liberazione, dall’altro a esporre l’autentica vocazione della Chiesa alla liberazione dell’uomo».
«SAPEVO CHE ERA SANTO». Nelle risposte a Redzioch, Ratzinger arriva anche a parlare della causa di canonizzazione di Giovanni Paolo II, seguita nel suo iter proprio dal suo successore Benedetto XVI: «Che fosse un santo, negli anni della collaborazione con lui mi è divenuto di volta in volta sempre più chiaro. C’è innanzitutto da tenere presente naturalmente il suo immenso rapporto con Dio, il suo essere immerso nella comunione con il Signore». Erano queste le fonti della sua letizia: «Giovanni Paolo II non chiedeva applausi, né si è mai guardato intorno preoccupato di come le sue decisioni sarebbero state accolte. Egli ha agito a partire dalla sua fede e dalle sue convinzioni, ed era pronto anche a subire colpi. Il coraggio della verità è ai miei occhi un criterio di primo ordine della santità. Solo a partire dal suo rapporto con Dio è possibile capire anche il suo indefesso impegno pastorale. Si è dato con una radicalità che non può essere spiegata altrimenti».
«POSSO FARLO SOLO IN CIELO». Ratzinger racconta un episodio che spiega bene la totale dedizione all’impegno di Giovanni Paolo II: durante la prima visita in Germania, nell’80, il pontefice si trovò ad avere una pausa a mezzogiorno più lunga del solito: «Durante quell’intervallo mi chiamò nella sua stanza», spiega Benedetto XVI, «lo trovai che recitava il Breviario e gli dissi: “Santo Padre, lei dovrebbe riposare”; e lui: “Posso farlo solo in Cielo”. Solo chi è profondamente ricolmo dell’urgenza della sua missione può agire così». Una missione che Ratzinger ha raccolto da Wojtyla nel 2005, colmo di gratitudine: «Non potevo e non dovevo provare a imitarlo, ma ho cercato di portare avanti la sua eredità e il suo compito meglio che potuto. E perciò sono certo che ancora oggi la sua bontà mi accompagna e la sua benedizione mi protegge».
LE ENCICLICHE. Nell’intervista riportata da Avvenire compare anche una rassegna che Ratzinger fa sulle encicliche più importanti del suo predecessore: la Redemptor hominis dove sintetizza la sua visione della fede cristiana, la Redemptor missio, l’Evangelium vitae, in cui il pontefice si concentra sulla dignità della vita. E la Veritatis splendor: «La Costituzione del Vaticano II “sulla Chiesa nel mondo contemporaneo”, di contro all’orientamento all’epoca prevalentemente giusnaturalistico della teologia morale, voleva che la dottrina morale cattolica sulla figura di Gesù e il suo messaggio avesse un fondamento biblico. Questo fu tentato attraverso degli accenni solo per un breve periodo, poi andò affermandosi l’opinione che la Bibbia non avesse alcuna morale propria da annunciare, ma che rimandasse ai modelli morali di volta in volta validi. La morale è questione di ragione, si diceva, non di fede. (…) Siccome non si poteva riconoscere né un fondamento metafisico né uno cristologico della morale, si risorse a soluzioni pragmatiche: a una morale fondata sul principio del bilanciamento di beni, nella quale non esiste più quel che è veramente male e quel che è veramente bene, ma solo quello che, dal punto di vista dell’efficacia, è meglio o peggio. Il grande compito che il Papa si diede in quest’enciclica fu di rintracciare nuovamente un fondamento metafisico nell’antropologia, come anche una concretizzazione cristiana nella nuova immagine di uomo della Sacra Scrittura».
Tempi.it marzo 7, 2014
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