Lo scorso 7 marzo una ricerca che ho condotto per La nuova Bussola quotidiana ha rivelato che nel 75% delle parrocchie italiane i divorziati risposati si comunicano regolarmente, senza attendere che il Sinodo cambi eventualmente la dottrina. Dopo questa ricerca sono stato contattato da molti lettori, e anche da diversi vescovi, i quali mi hanno confermato che lo studio fotografa esattamente quanto accade nelle loro diocesi. Alcuni mi hanno indotto a riflettere su un problema più generale. I divorziati risposati sono solo la punta di un iceberg. Il vero problema è che la maggioranza di coloro che si comunicano non frequentano il sacramento della Confessione.
Lo si può sapere con ragionevole certezza, almeno per alcuni Paesi, a cominciare dagli Stati Uniti, dove l'Università di Georgetown pubblica periodicamente statistiche sulla Confessione. Da queste sappiamo che tra i cattolici americani che si comunicano quelli che si confessano almeno una volta all'anno - non è molto, ma è già qualcosa - erano il 15% nel 2009 e sono scesi al 12% nel 2013. Il 45% di coloro che si comunicano negli Stati Uniti non si sono mai confessati dopo avere raggiunto la maggiore età. In Europa non ci sono statistiche accurate come quelle di Georgetown, ma ci sono studi regionali sulla Germania, la Francia e l'Olanda, che suggeriscono percentuali ancora più basse di quelle americane. Da alcune ricerche sembrerebbe che ci siano aree del Nord Europa dove si confessa almeno una volta l'anno solo il 5% di chi fa la comunione. Come per altri casi, si potrebbe sperare che ci salvino i Paesi in via di sviluppo, ma secondo dati che vengono dal Pakistan, dove c'è una Chiesa di martiri viva ed entusiasta, anche qui le confessioni declinano a vista d'occhio.
L'Italia secondo una vecchia ricerca del 2009 aveva una percentuale del 40% di cattolici che si confessano almeno annualmente fra quelli che si comunicano. Poteva sembrare bassa ma era altissima, da record mondiale. A dare retta ad alcune ricerche regionali, starebbe però scendendo rapidamente e si attesterebbe oggi intorno alla metà, il 20%. Ci sono certo molte confessioni nei santuari, ma da altre ricerche risulta che in Italia ogni domenica si comunicano almeno cinque milioni di persone, e le centinaia o migliaia che si confessano nei santuari non bastano a cambiare le statistiche.
La tentazione del sociologo è sempre quella di esagerare con i numeri, ma questi bastano a delineare un quadro. La stragrande maggioranza dei cattolici che si comunicano non si confessano. Il problema è mondiale, benché con differenze regionali importanti. Le serie storiche mostrano che il declino è stato costante, e non è stato fermato né dalla popolarità planetaria del beato Giovanni Paolo II (1920-2005) né dalla precisione teologica di Benedetto XVI. Per quanto riguarda Papa Francesco, è troppo presto per avere dati precisi, ma queste onde lunghe sono sempre molto difficili da fermare.
Se i dati sono questi, i divorziati risposati sono una piccola parte del problema. Quasi il 90% di chi si mette in fila per fare la comunione negli Stati Uniti ogni domenica, il 95% in certe zone del Nord Europa, dal 60 all'80% in Italia non si confessa neppure una volta all'anno. Incrociando le statistiche sulla confessione con altre, è pressoché certo che tra costoro non ci siano solo divorziati rispostati ma conviventi prima e fuori del matrimonio, omosessuali praticanti, medici abortisti, politici che votano leggi immorali, massoni (esclusi dalla comunione secondo la «Dichiarazione sulla massoneria» del 1983, tuttora in vigore), e chi più ne ha più ne metta. A meno di credere che l'88% degli americani che si comunicano non commettano mai peccati gravi, un fiorire di santità che non si è mai visto nella storia della Chiesa.
Ancora, se le cose stanno così - e io credo che stiano proprio così -, si capisce meglio la strategia pastorale di Papa Francesco. Conosco le opinioni diverse esposte nel dibattito sulla crisi nella Chiesa promosso dal nostro giornale, ma a me sembra che il Papa - riprendendo del resto spunti di Benedetto XVI - abbia centrato esattamente il problema. Non è vero che non ci si confessa per senso della privacy, per non raccontare i fatti propri a un sacerdote. La maggioranza degli americani che vive al di sopra della soglia della povertà e ha qualche dollaro da spendere va almeno una volta all'anno da uno psicoterapeuta, cui racconta i fatti suoi a pagamento mentre la confessione è gratis. Per non parlare del successo di movimenti come Scientology, la cui attività principale consiste precisamente nell'aiutare i propri fedeli ad affrontare eventi negativi del passato che hanno dimenticato, anche qui a pagamento.
No: non ci si confessa non per malinteso senso della privacy ma perché non si crede più nella misericordia di Dio. E non si presta più attenzione alla misericordia perché non si ha più coscienza del peccato. Gli psicoterapeuti o Scientology non parlano di peccato ma di generici disturbi o di negatività. Questo è accettato, anche se tocca mettere mano al portafoglio per sentirselo dire, mentre confrontarsi con il peccato dà fastidio perché implica che la mentalità relativista corrente, secondo cui non esiste nessuna nozione oggettiva di bene e di male, abbia torto.
Ogni tanto qualche lettore - ma la maggioranza la pensa diversamente - si chiede perché la Bussola «perda tempo» a seguire il Papa nel suo Magistero quotidiano incentrato sulla misericordia di Dio che dopo tutto, si dice, è molto semplice, ripetitivo e privo di grande profondità teologica. Ma se si segue il Magistero di Papa Francesco com'è davvero - non come lo racconta «Repubblica» per esaltarlo in un modo sospetto e manipolatorio, o altri giornali e fogli per parlarne male - si scopre che i fiumi di misericordia che sgorgano dal costato di Cristo di cui parla tanto spesso il Pontefice non girano in tondo come, secondo la Scrittura, fanno gli empi, ma vanno sempre a sfociare in un luogo preciso: nei confessionali. Sarà una grande novità per chi legge il Pontefice tramite gli occhiali - dotati di lenti rosa o nere che siano - della stampa laica, ma quando si farà la storia del suo Magistero emergerà come Papa Francesco sia stato il Papa della Confessione. Ne parla tutte le settimane. Nel suo discorso finora più lungo, quello ai parroci romani per la Quaresima, ha parlato quasi solo di questo. Gli è perfino scappato detto che la Confessione ha una sua priorità tra tutti i sacramenti, il che è certamente vero quanto all'urgenza di riproporla. Perché la Chiesa senza Confessione, molto semplicemente, non c'è più. Non ci sono più il peccato, la misericordia, il perdono, la Redenzione.
Vogliamo combattere la dittatura del relativismo, di cui anche Papa Francesco ha parlato nel suo primo incontro con il Corpo Diplomatico, assimilandola alla povertà spirituale, non meno grave di quella materiale? Confessiamoci, e facciamo propaganda alla confessione. Ogni volta che ci mettiamo in coda a un confessionale combattiamo il relativismo, perché dichiariamo pubblicamente che il bene e il male non sono uguali, il bene si fa e il male si confessa. Appassioniamoci pure per i dibattiti sui divorziati risposati. Ma il problema non sono solo loro. Se non trova il modo di rilanciare la Confessione, nessuna «nuova evangelizzazione» potrà salvare gli uomini e le donne del nostro tempo dalla solitudine, dalla desolazione e dalla disperazione. Ascoltiamo uno dei tanti appelli alla Confessione di Papa Francesco: «Io dico a te: se tu hai un peso sulla tua coscienza, se tu hai vergogna di tante cose che hai commesso, fermati un po’, non spaventarti. Pensa che qualcuno ti aspetta perché mai ha smesso di ricordarti; e questo qualcuno è tuo Padre, è Dio che ti aspetta! Arrampicati, come ha fatto Zaccheo, sali sull’albero della voglia di essere perdonato; io ti assicuro che non sarai deluso» (Angelus, 3-11-2013).
La nuova Bussola Quotidiana
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