Walter Kasper e il “divorzio alla vaticana”
Walter Kasper, nella sua relazione tenuta al Concistoro straordinario sulla famiglia, pone cinque condizioni per cui una coppia di divorziati e risposati può riaccostarsi ai sacramenti. Ma c’è un grande assente. Ed è il peccato.
di Tommaso Scandroglio
Sabato scorso il quotidiano Il Foglio ha pubblicato l’integrale della relazione tenuta dal cardinal Walter Kasper in occasione del Concistoro straordinario sulla famiglia, relazione intitolata “Il Vangelo nella Famiglia”.
Molti i punti toccati dall’intervento del prelato. Qui vogliamo evidenziare un passaggio in particolare della sua relazione, quello concernente alcune condizioni per ammettere i divorziati-risposati alla Santa Comunione. Ecco il primo requisito: “Se si pente del fallimento nel primo matrimonio”. Semmai - obiettiamo noi - ciò che dovrebbe essere richiesto è il pentimento di aver abbandonato la propria moglie e di essersi legato ad un’altra donna. Detto ciò, nulla esclude che alle spalle di questi pentimenti ci potrebbe essere anche il dolore per non essere riusciti o per non aver voluto far funzionare il primo matrimonio.
Seconda condizione: “Se è assolutamente escluso che torni indietro”. Questa condizione mette a nudo il fatto che Kasper non ha centrato il problema di fondo, il quale si sostanzia in questa domanda: perchè i divorziati risposati non possono comunicarsi? Perchè versano in stato di peccato grave (una volta si diceva “mortale”) dato da due motivi: attentano alla proprietà dell’indissolubilità e hanno offeso il bene delle fedeltà (questo vale anche per i non risposati).
Per cancellare il peccato grave occorre la confessione (passaggio obbligato indicato anche dal cardinale), ma perchè questa sia valida si necessita - tra le altre condizioni - che ci sia il pentimento della colpa commessa e quindi a monte il suo riconoscimento: “Non dovevo lasciare mia moglie e non dovevo cercare un’altra donna”. E - per logica conseguenza - il proposito di non ricadere più in questi errori e dunque tornare sui propri passi. Ciò comporta senza dubbio che il divorziato lasci la nuova donna (il ricongiungimento con la moglie deve esserci come intenzione ma può realisticamente concretarsi in un certo lasso di tempo, per tappe di avvicinamento).
Se Tizio invece - come dice Kasper - esclude di tornare indietro allora non può essere amministrato validamente il sacramento della confessione perchè manca l’intenzione di non peccare più e di riparare al danno commesso. In buona sostanza Kasper non indica la strada della conversione (letteralmente “tornare indietro”), bensì propone di continuare sulla strada tracciata tenendo in piedi il rapporto adulterino.
Altro requisito indicato: “Se non può abbandonare senza altre colpe gli impegni assunti con il nuovo matrimonio civile”. La Chiesa, tenendo fermi i punti precedenti, dice al divorziato risposato: “Se dalla tua nuova unione sono nati dei figli oppure vincoli giuridici particolari, il tuo doveroso ritorno dalla prima moglie non deve escludere l’assunzione di quegli obblighi morali che la tua scelta ha prodotto e quindi per senso di responsabilità tu ti dovrai occupare dei figli, del mutuo accesso insieme etc.”. Però – e sta qui la differenza con quanto Kasper prospetta – la soddisfazione di questi oneri non deve comportare il permanere in uno stato di peccato grave.
Quarta condizione: “Se si sforza […] di vivere al meglio delle sue possibilità il secondo matrimonio a partire dalla fede”. Ma se la fede ti dice che il secondo matrimonio è adulterio come potrebbe la fede consigliarti di vivere al meglio l’adulterio? La fede e un secondo matrimonio – laddove il primo fosse valido – sono inconciliabili.
Ultimo requisito: “se ha desiderio dei sacramenti quale fonte di forza nella sua situazione”. Facile da obiettare che se una persona ha davvero desiderio dei sacramenti allora si confessa e cambia strada: per Dio questo e altro. Se il divorziato risposato è realmente credente comprenderà che la sua situazione è in contrasto con il volere di Dio e deciderà di convertirsi, cioè lasciare la seconda donna e così ritornare ad essere degno di accedere alla comunione. Kasper pare che intenda l’Eucarestia come diritto e non come dono.
Qualche considerazione ora di carattere generale. Il grande assente nella lunga relazione di Kasper è il peccato. E’ lui che impedisce di comunicarsi e fin quando c’è non possiamo accogliere Dio nelle Sacre Specie. Quando è grave per cancellarlo serve la confessione, ricevuta con le debite disposizioni. In caso contrario sono guai come rammenta San Paolo: “Chi mangia il Corpo del Signore indegnamente, mangia la propria condanna” (l Cor 11, 29).
Il peccato è il grande assente perché doveva essere assente, perché si è consci che è l’ostacolo che si frappone tra il divorziato e la Santa Comunione e tra il divorziato e le seconde nozze. Ecco allora, come ha osservato con compiacimento lo storico della Chiesa Alberto Melloni sul Foglio di ieri [4 mar], che “quello dell’accesso all’Eucarestia dei divorziati è un problema innanzitutto ecclesiale, non morale”.
Se sposti il problema dal piano morale a quello ecclesiale – cioè il piano delle procedure per ricevere l’Eucarestia – il gioco è fatto. Però con buona pace di Melloni, il bandolo della matassa non può che essere sciolto alla luce dei principi di diritto naturale contenuti nella dottrina cattolica. Il divieto in oggetto nasce da una condotta contraria alla morale che si traduce in un peccato grave contro Dio. Non ci sono procedure pastoral-ecclesiali che possano regalare al divorziato risposato lo stato di grazia necessario per comunicarsi, se non attraverso la confessione. È il divorziato che si è messo nei guai da solo, non la Chiesa cattiva e matrigna, la quale Chiesa invece tende la mano al divorziato con il sacramento della riconciliazione.
Le cinque condizioni proposte da Kasper in realtà non mirano tanto a far accedere i divorziati-risposati alla comunione, bensì a sancire il “divorzio alla vaticana”. Questo appare il vero obiettivo finale: sotto il manto di una falsa misericordia si vuole svuotare dalla sua gravità la scelta di rompere il vincolo matrimoniale e dunque ridurre il tutto ad una bagatella tra coniugi sanabile con una chiacchierata con un “penitenziere o [un] vicario episcopale”.
Ma quali sono i riferimenti culturali di questa operazione dottrinale e pastorale? Il mondo va in una certa direzione ed invece di contrastarlo lo assecondiamo. Kasper pare che non voglia combattere il male, bensì che voglia scusarlo e giustificarlo proprio perchè esistente. Benedetto Croce ebbe a scrivere che “la storia non è giustiziera, ma giustificatrice”. È la prassi diffusa la stella polare da seguire, non il bene oggettivo dell’uomo. Da qui per alcuni la divergenza insanabile tra pastorale - che si adegua al mondo - e dottrina - che condanna il mondo.
© LA NUOVA BUSSOLA QUOTIDIANA 06-03-2014
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