Recensione al testo di Alcuin Reid, «Lo sviluppo organico della liturgia. I principi della riforma liturgica e il loro rapporto con il Movimento liturgico del XX secolo prima del Concilio Vaticano II» (Cantagalli, 432 pagine, 22 euro)
di Daniele PREMOLI
«Homines per sacra immutari fas est, non sacra per homines»: gli uomini devono venire trasformati dalle cose sante, e non le cose sante dagli uomini. Queste parole, con le quali Egidio da Viterbo inaugurò il Concilio Lateranense V (1512-1517), sembrano sintetizzare il motivo ispiratore del Movimento Liturgico, quantomeno delle origini.
Recentemente, l’editrice Cantagalli ha pubblicato uno studio di dom Alcuin Reid, “Lo sviluppo organico della Liturgia”, che presenta, in modo approfondito e completo, il pensiero di quanti hanno contribuito alla crescita del Movimento Liturgico e alle varie Riforme Liturgiche che si sono susseguite nel corso della storia.
Il testo, suddiviso in tre parti, prende in esame la storia del Rito Romano dalle origini sino al Concilio Vaticano II, cercando infine di stabilire quali siano i criteri ai quali ci si dovrebbe attenere negli interventi sulla Liturgia.
La prima parte ricostruisce le Riforme Liturgiche dall’epoca apostolica sino alle soglie del Pontificato di Pio X, agli inizi del XX sec. Sebbene breve e necessariamente sintetica, vale la pena prestare particolare attenzione al capitolo riguardante la riforma del Breviario Romano compiuta nel XVI sec. dal card. Quignonez. Questi, su richiesta del Papa, operò una riforma basata sul principio del ritorno all’Antichità (intesa come epoca dei Padri) e dell’utilità pastorale; egli, insomma, «spazza via tutto e si mette a costruire un edificio nuovo secondo un progetto nuovo»[1]. Paolo III, il Papa del Concilio di Trento, pubblicò il breviario nel 1535-36; è significativo tuttavia come questo venne criticato a più riprese da studiosi ed ecclesiastici, fino ad essere proscritto dalla stessa autorità che l’aveva approvato. Gli stessi Pontefici della Riforma Tridentina, dunque, rifiutarono l’archeologismo come criterio per la Riforma Liturgica: Pio V si rifece ai Riti presenti duecento anni prima, e non risalì ad un’antichità stereotipata. Questo episodio permette anche una valutazione dei limiti e dell’importanza dell’autorità papale in materia liturgica: il papa, come scrisse magistralmente l’allora card. Ratzinger, «non può fare quello che vuole, e proprio per questo può opporsi a coloro che intendono fare ciò che vogliono… Nei confronti della liturgia ha il compito di un giardiniere e non di un tecnico che costruisce macchine nuove e butta via quelle vecchie»[2].
La seconda parte presenta il periodo compreso da Pio X al 1948, anno successivo la promulgazione dell’Enciclica Mediator Dei di Pio XII. Vengono qui indicati i principali esponenti del Movimento Liturgico, partendo da quello che ne fu il vero ideatore: dom Laumbert Beauduin. Apprendiamo così che, al contrario di quanto è stato largamente affermato successivamente al Concilio Vaticano II, il Movimento Liturgico non aveva come scopo principale quello di modificare i Sacri Riti, per renderli più vicini ai contemporanei. Dom Beauduin «sapeva troppo bene che su quel venerabile monumento chiamato liturgia c’erano ragnatele a cui, un giorno o l’altro, bisognava dare una spolverata. Ma non lo considerava l’elemento essenziale, o comunque lui non si occupava di quello… Considerava la liturgia un dato della tradizione che prima di tutto dovevamo cercare di comprendere»[3]. Sono anche gli anni degli interventi liturgici, come quelli di Pio X e Pio XII sul Breviario; ma, nonostante le prime proposte di riforma (come quelle di Guardini), ancora nel 1947 si affermava come prioritario che «noi tutti, noi per primi, compiamo la liturgia come è nei libri e ci conformiamo ad essa. Autoriforma e perfezione». Questo sarebbe stato un grande risultato, raggiunto il quale «ci prostreremo ai piedi del Santo Padre e gli chiederemo la riforma»[4].
Il terzo capitolo, il più esteso, affronta la seconda parte del Pontificato di Pio XII, giungendo sino alle soglie del Vaticano II. Esso si apre con una constatazione quanto mai attuale: «Come fanno costoro a costruire una basilica quando ignorano a cosa serve una chiesa; un santuario, quando non sanno che cosa sia il culto; un altare, per un Dio ignoto?»[5]. Il proposito iniziale del Movimento Liturgico, quello di avvicinare gli uomini a Dio, veniva sostituito dalla visione “pastorale”: adattare la Liturgia alle esigenze del popolo. Reid esamina i due significati del termine “pastorale”: se, per alcuni aspetti, esso assume un significato positivo, perché «permette al popolo di capire e penetrare la ricchezza della tradizione liturgica oggettiva, che a sua volta può venire un po’ semplificata o adeguata per facilitare tale incontro»[6] (risultando così in continuità con i propositi iniziali del Movimento); d’altra parte può fornire un pretesto per ridurre la liturgia «a quello che, secondo i riformatori, sarà immediatamente accessibile al popolo. E questo non è in armonia con gli scopi fondamentali del Movimento Liturgico»[7]. Ma, come già obiettavano alcuni contemporanei, «i cambiamenti ipotizzati sono proprio desiderati da un numero considerevole di fedeli o se eventualmente autorizzati, produrrebbero risultati visibili? […] Fermano veramente l’emorragia? Producono un maggior numero di convertiti alla Chiesa? Qualunque accusa si possa muovere alla forma della Messa come la conosciamo, per lo meno è qualcosa che si è sviluppata naturalmente e ci dovrebbero essere ragioni fortissime per accedere alle richieste di quella che a molti sembra una riforma radicale. È facile dare addosso a ciò che si definisce l'ossificazione della liturgia da Trento in poi, ma non c'è niente di troppo guasto in una liturgia che ha prodotto tanti santi in ogni condizione di vita»[8]. Riprende vigore la tentazione dell’archeologismo, considerando lo sviluppo liturgico come «continui rimodellamenti e aggiunte, tali da offuscare il progetto della struttura – tanto che non possiamo più sentirci veramente di casa in essa perché non la capiamo più»[9], come scrisse uno dei massimi liturgisti, Jungmann. Ma, come nota Reid, questa fu esattamente la tentazione di Quignonez e dei gallicani. Può darsi che questo metodo, a breve periodo, risulti vincente, come in effetti accadde in passato; tuttavia, «è interessante il calo di entusiasmo … perché fa pensare che la popolarità delle riforme sia dovuta in certa misura alla loro novità»[10]. Inoltre si continuerebbe a trasformare la Liturgia, rendendola opera dell’uomo, più che opera di Dio. In realtà, «chi è soddisfatto della situazione attuale, chi vive la liturgia come gli è data dalla Chiesa di Roma, non si lamenta e non dice niente. Non dobbiamo preoccuparci anche della maggioranza che è soddisfatta? Non sono altrettanti, o forse anche più, di quelli che si lagnano?»[11].
L’unica via da percorrere è dunque quella di iniziare una paziente opera di rieducazione: un lavoro certamente lungo ed impegnativo, ma che è urgente iniziare. In conclusione, afferma Reid, «la liturgia cattolica non è affatto un’espressione soggettiva della fede che si possa cambiare a volontà in base alle mode o ai desideri contemporanei. La liturgia cattolica è piuttosto un elemento singolarmente privilegiato, oggettivo e costitutivo della tradizione cristiana»[12]. La caratteristica imprescindibile del suo sviluppo è dunque la sua crescita organica e coerente con il passato. Senza mai dimenticare, come afferma il card. Ratzinger nella sua prefazione (scritta poco prima di diventare Benedetto XVI), che «se la liturgia appare anzitutto come il cantiere del nostro operare, allora vuol dire che si è dimenticata la cosa essenziale: Dio. Poiché nella liturgia non si tratta di noi, ma di Dio. La dimenticanza di Dio è il pericolo più imminente del nostro tempo. A questa tendenza la liturgia dovrebbe opporre la presenza di Dio»[13].
NOTE:
[1] A. Reid, Lo sviluppo organico della liturgia. I principi della riforma liturgica e il loro rapporto con il Movimento liturgico del XX secolo prima del Concilio Vaticano II, Cantagalli, Siena 2013, p. 31.
[2] J. Ratzinger, Prefazione in A. Reid, Lo sviluppo organico…, cit., p. 7.
[3] Hellriegel, Survey of the Liturgical Movement, pg. 22, cit. in A. Reid, Lo sviluppo organico…, p. 84.
[4] A. Reid, Lo sviluppo organico…, cit., p. 138.
[5] Chute, Obsolent or Obsolescent, cit. in A. Reid, Lo sviluppo organico…, p. 161.
[6] A. Reid, Lo sviluppo organico…, cit., p. 237.
[7] Ibid.
[8] Ibid., p. 210.
[9] J. A. Jungmann, The Early Liturgy. To the Time of Gregory the Great, University of Notre Dame Press, Notre Dame 1959, p. 1.
[10] Ibid., p. 241.
[11] Congregatio Sacrorum Rituum. Sectio Historica, Memoria sulla riforma liturgica: Supplemento IV, pg. 101, cit. in A. Reid, Lo sviluppo organico…, p. 265.
[12] A. Reid, Lo sviluppo organico…, cit., p. 341.
[13] J. Ratzinger, Prefazione, cit., p. 9.
Scuola Ecclesia Mater 10 novembre 2013
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