martedì 19 novembre 2013

Via Pulchritudinis: Il volto dell’Amore





di Stefano Chiappalone

«Vedo in voi la bellezza del volto giovane di Cristo e il mio cuore si riempie di gioia», ha esclamato Papa Francesco di fronte ai giovani di tutto il mondo radunati a Rio de Janeiro intorno al Successore di Pietro, quasi riecheggiando le parole del salmo 26: «di Te ha detto il mio cuore: cercate il Suo volto. Il Tuo volto, Signore io cerco». Non possiamo fare a meno di cercare il Suo volto, sarebbe come parlare con una persona senza guardarla in faccia o ignorandola.

Persino la preghiera rischierebbe di essere un monologo sterile, incapace di cambiare il cuore perché non parliamo con Lui ma con noi stessi e restando vuoti esattamente come prima. Per essere – a poco a poco – trasformati da Lui, perché il nostro cuore si riempia di gioia, dobbiamo incontrarLo e sperimentarne la Bellezza: «Il santo è colui che è talmente affascinato dalla bellezza di Dio [...] da esserne progressivamente trasformato» (Benedetto XVI).

Già, ma dove cercare la Sua bellezza? I misteri della liturgia e lo stesso svolgimento rituale, ci mostrano in tutte le sue dimensioni «il più bello tra i figli dell’uomo» (salmo 44), dagli incanti dell’incarnazione e della natività, allo sguardo consolatore di Gesù che annuncia il Regno guarendo i mali dell’anima e del corpo, al volto luminoso del Tabor, fino al Calvario, dove Cristo si lascia sfigurare mostrando l’essenza della Bellezza, che è l’Amore. «Il Bello muore sulla croce, sfigurato, ed è proprio da quella morte che risuscita, paradossale, la vera bellezza; è proprio in quella morte che si manifesta la bellezza autentica» (F. Cassingena-Trévedy). Tutte queste gesta Dei sono condensate nel gesto supremo di Cristo, culmine di ogni Messa, di cui il Canone romano mette particolarmente in evidenza l’aspetto estetico nel senso, sopra indicato, di «estetica dell’Amore»: «prese questo glorioso calice (praeclarum calicem) nelle sue mani sante e venerabili (in sanctas ac venerabiles manus suas)». «Le mani – commenta p. Cassingena – sono sante e venerabili proprio perché sono quelle dell’Amore, e il calice è bello molto semplicemente perché è l’Amore che lo prende in mano».

Dalla maestà della liturgia fin dentro le pieghe della nostra vita quotidiana si riflette il volto di Colui che è la fonte della Bellezza per conferire una nuova dimensione a tutte le cose di cui godiamo nelle mille scintille di bellezza e di amore che dal Cielo si riversano sulla terra. Il candore della neve d’inverno, il profumo delle sere d’estate, il vento che agita dolcemente le foglie, il miracolo del giorno e della notte che ad ogni ora plasma dal medesimo paesaggio un capolavoro diverso. Dom Gerard Calvet riporta la risposta di Alcuino all’imperatore Carlo Magno che gli chiedeva «Che cos’è la liturgia?». Alcuino rispose: «La liturgia è la gioia di Dio». Questa gioia divina si irradia al di fuori del tempio, facendo una liturgia di tutto ciò che incontriamo: la grazia e l’entusiasmo della gioventù e la serena saggezza della vecchiaia; la bellezza di una madre e quella di un monaco, la bellezza del lavoro, dell’amicizia, la giovinezza interiore di quanti Lo cercano.

I cieli e la terra – sì, anche la terra, i monti, le colline, i frutteti, cantati dai salmi – sono pieni della Sua gloria così che il sorriso delle persone che amiamo riflette il sorriso di Cristo e il sole che scalda ogni mattino è il bacio che Lui stesso dà alla Creazione. Dietro tutte queste esperienze possiamo riconoscere la bellezza del Suo volto – il volto dell’Amore – magari senza accorgercene sul momento, finché non siamo sorpresi da quella «scia» di segni che sant’Ignazio chiama consolazione spirituale e che Francesco, il pontefice ignaziano, riassume così: «il mio cuore si riempie di gioia». A volte la bellezza più profonda non fa rumore, ci sorprende silenziosamente, appena il tempo di chiudere gli occhi e aprire il cuore.

A tale proposito, sempre dom Calvet riferisce che «Enea, visitato da una misteriosa consolatrice, non la riconosce se non al momento del suo partire, in maniera furtiva: Et vera incessu patuit dea [vera dea si rivelò all'incedere]». Con altre parole ma con pari efficacia un amico sintetizzava lo stesso concetto, pensando a tante esperienze, a prima vista irrilevanti, in cui a posteriori si era rivelato il volto di Cristo: ma allora – si chiedeva – quel luogo, quel sorriso, quell’incontro che mi ha cambiato la vita…eri proprio Tu?




[Fonte: Comunità Ambrosiana]


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