Omelia per la Solennità di Tutti i Santi, Firenze, Chiesa di Ognissanti,1° novembre 2012
di Padre Serafino Lanzetta, FI
“Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio”: è questa, cari fratelli e sorelle, la beatitudine cuore, potremmo così dire, chiave di queste otto beatitudini che rappresentano come l’apice della vita cristiana, di quel cuore che riposa in Dio, di quel cuore che vede Dio, che ama Dio e che fa di Dio il proprio tutto. La Santità, cari fratelli, che oggi celebriamo, la santità vissuta, incarnata in tanti uomini di Dio è proprio questo: Dio visto da un cuore puro.
Oggi però nella nostra società e nella nostra cultura è necessario spesso affrontare un dilemma, che probabilmente è anche nostro: come fare per poter coniugare l’unicità di Cristo, la superiorità del Cristianesimo rispetto tutte le altre religioni e quella paura, che ci attanaglia, che ci fa pensare in cuor nostro che se crediamo questo fino in fondo diventiamo intolleranti, incapaci di dialogo, o come si direbbe oggi fondamentalisti? Da un lato vediamo la Verità di Cristo e che le religioni dinnanzi a Cristo sono come neve che si scioglie al sole, perché Gesù è il Dio che si è incarnato, dall’altro vivendo in una cultura fondamentalmente debole anche noi pensiamo che il dialogo, il rispetto implichi il relativismo e non usciamo da questo dilemma. Come fare, cari fratelli? è semplicemente intolleranza e mancanza di rispetto e di dialogo dire che Gesù è l’unico? I Santi che oggi celebriamo ci aiutano a capire proprio che non c’è un dilemma, è un falso problema. Bisogna perciò coniugare Fede e Carità, Ragione e Amore che fanno da fondamento. Solo nella misura in cui riusciamo a coniugare queste due ali dello spirito dell’uomo e del cuore credente, Ragione e Amore, Fede e Carità, abbiamo allora la sintesi della realtà: la Verità della Fede e la Carità nei confronti dei fratelli, di tutti gli uomini di buona volontà. Le Fede che crede in Gesù Unico Signore, Unico Salvatore non è una visione unilaterale di Dio, non è la convinzione nostra di un Dio che è uno e trino, perché così la tradizione cristiana ha sempre insegnato.
La Fede è conoscenza della Verità, ma la Fede stessa è alimentata dalla Carità, non è unicamente conoscenza della verità, e questo che oggi maggiormente spaventa, una verità fredda, quasi matematica che mi impedisca di accorgermi anche di chi non è come me, di chi non pensa come me. La Verità che è Cristo non è un calcolo matematico, non è un teorema è una persona che ha un cuore, è una persona che ci fa amare: la fede pertanto promana dalla Carità e porta alla Carità. La Fede si compie nell’Amore e questo rapporto di Fede e Amore è possibile perché anche lo spirito dell’uomo è costituito da due dimensioni fondamentali, la ragione e l’amore.
Possiamo citare un grande monaco cistercense del XII secolo, discepolo di Bernardo di Chiaravalle, prima benedettino e poi dopo aver conosciuto Bernardo divenne cistercense, Guglielmo di Saint-Thierry il quale studia e spiega in modo molto bello la natura dell’amore che perfezione la ragione. L’amore, differentemente da quanto si pensa, non è soltanto sentimento; l’amore richiede la ragione, la ragione è il presupposto dell’amore e altresì il suo compimento. Guglielmo di Saint-Thierry identificando la carità con la vista posseduta dall'anima per vedere Dio, afferma che l’anima ha due occhi che sono «l'amore e la ragione. Se uno dei due opera senza l'altro, non andrà lontano». Se l’anima opera con la sola ragione alla fine si accorge sì di un Dio, dell’esistenza di Dio, creatore e causa di tutto, ma non riesce ad andare oltre, a descrivere questo Dio, a vederne il suo intimo, a vedere il suo cuore. L’amore completa la ragione e ci svela già che Dio, causa di tutto ciò che esiste, non è un principio, è Padre, ha un cuore, è colui che genera, è Colui che ha un Figlio e questo Figlio è la pienezza e procede dal Padre. E dal Padre e dal Figlio in virtù dell’amore che i due si scambiano procede lo Spirito Santo. Dunque amore e ragione, se uno dei due opera senza l’altro non potrà guardare: «possono però molto soccorrendosi a vicenda, diventando un solo occhio» dell’anima. Quindi ci insegna Guglielmo di Saint-Thierry che il compito della ragione è proprio quello di istruire l’amore, mentre il compito dell’amore è quello di illuminare la ragione così che la ragione divenga essa stessa amore e l’amore oltrepassi i confini della ragione. Il rapporto quindi fra l’uomo e Dio è essenzialmente un rapporto di Amore. Cito ancora una lettera di Guglielmo di Sant-Thierry il quale dice rivolgendosi a Dio «Tu ci ami in quanto fai di noi tuoi amanti e noi ti amiamo in quanto riceviamo il tuo Spirito. Il tuo Spirito è il tuo amore che penetra e possiede le intime fibre dei nostri affetti [...] Mentre il nostro amore è affectus, il tuo è effectus, un'efficacia che ci unisce a te grazie alla tua unità, allo Spirito santo che ci hai donato»
Allora, cari fratelli e sorelle, possiamo risolvere questo apparente dilemma, dicendo che la Verità ha un cuore, un cuore che è la Carità, e la Carità è alimentata e guidata dalla Verità, solo Colui che è insieme Verità e Carità è la Pienezza e Costui è Cristo, il Logos che ha un cuore trafitto sulla Croce per noi. Ecco la santità della vita, che diventa unità. Il santo non è sollecitato da dilemmi o continuamente pervaso da dubbi. L’anima del vero cristiano non è un’anima che crede e dubita, che dubita e crede, come purtroppo ultimamente è stato detto. Il dubbio è sì una peculiarità dell’intelligenza, ma non appartiene alla Fede, non è il nemico della Fede, non è lo scacco della Fede. Il santo, colui che fa unità nella sua vita, colui che vede la realtà nella sua unità perché crede e ama il Cristo, allora vive in pienezza e dà a tutti l’orientamento giusto per poter vivere in questo momento di forte relativismo in cui tutto sia buono e dunque niente alla fine è veramente buono.
Dobbiamo perciò guardare ai santi e guardando ai santi impariamo che cosa è la santità: potremmo dire che la santità è proprio questo Amore di Dio in noi, l’Amore di Dio che si incarna nella vita. E questa incarnazione dell’amore ragionevole e della ragione che ama è possibile perché Dio si è fatto uomo. Allora la santità, cari fratelli, è unità, la santità è Dio. Dio è il Santo. Quando Dio abita in un’anima, in un uomo, allora lì c’è la santità e perché Dio abiti nell’uomo, perché Dio abiti nella mia vita, perché io divenga santo, è necessario che io viva alla presenza di Dio, che io coltivi questa presenza di Dio nella mia vita, dunque ho bisogno al di sopra di tutto della preghiera, la preghiera è l’anima della santità, senza la preghiera non impariamo a camminare ogni giorno sulla via della santità di Dio.
Qui mi piace citare un passaggio di una lettera di sant'Ignazio di Loyola che dice in modo molto chiaro a tutti noi come si fa a vivere questa presenza di Dio che è preghiera: «Si procuri la presenza di Dio in tutte le cose, nelle conversazioni e nelle passeggiate, nel guardare, nel gustare, nell'ascoltare e nel riflettere, in una parola in tutto quello che stiamo facendo. Questa maniera di meditare, che ci fa trovare Dio in tutto, è più facile di quella che ci eleva a cose divine (che magari sono) più astratte e che esigono dello sforzo per potersele rappresentare. Questo salutare esercizio, quando ci prepariamo per farlo bene, ci attira, (ci fa vedere il) Signore anche nel breve tempo della nostra orazione. Esercitiamoci pure ad offrire spesso al Signore i nostri lavori e le nostre fatiche, pensando che le accettiamo per amore suo, sacrificando i nostri gusti per servire in qualche maniera la sua divina Maestà e venire in aiuto di tutti quelli, per la salute dei quali Gesù Cristo ha subito la morte» .
La santità è la ricerca della presenza di Dio, e questa presenza di Dio è orazione, è parola che si dice a Dio, è la ricerca della ragione del cuore, del cuore e della ragione, di Dio al di sopra di ogni cosa e questo, cari fratelli, è pienezza. Questo è il compimento. Dunque la santità si alimenta nella nostra vita con l’orazione, l’orazione ci conduce alla carità e la carità è il compimento della carità. In conclusione cito Luis di Granata, un domenicano spagnolo, contemporaneo di Sant’Ignazio di Loyola il quale scrive così: «La via più breve che ci conduce alla divina carità consiste nell'elevare il nostro cuore a Dio con affetti forti e con desideri infiammati del suo amore, conversando con Lui, in una confidenza rispettosa, tenendoci sempre raccolti alla sua presenza».
Dobbiamo, cari fratelli e sorelle, allora quest’oggi in particolare, aspirare anche noi alla santità la quale non è qualcosa di astruso, qualcosa di elitario, riservato a pochi eletti: questo è gnosticismo. La santità è dono di Dio e Dio che è Padre ama donarsi a tutte le sue creature per renderle suoi figli; allora Dio vuole donare a tutti la santità e noi dobbiamo impegnarci per andare a Dio attraverso la Santità. Riusciamo a vedere allora insieme Ragione e Amore e Fede e Carità a Dio. Procuriamo di pregare ogni giorno, di vivere alla presenza di Dio, e questo ci riempie e ci porta alla Carità alla Santità. Sia lodato Gesù Cristo.
Qui mi piace citare un passaggio di una lettera di sant'Ignazio di Loyola che dice in modo molto chiaro a tutti noi come si fa a vivere questa presenza di Dio che è preghiera: «Si procuri la presenza di Dio in tutte le cose, nelle conversazioni e nelle passeggiate, nel guardare, nel gustare, nell'ascoltare e nel riflettere, in una parola in tutto quello che stiamo facendo. Questa maniera di meditare, che ci fa trovare Dio in tutto, è più facile di quella che ci eleva a cose divine (che magari sono) più astratte e che esigono dello sforzo per potersele rappresentare. Questo salutare esercizio, quando ci prepariamo per farlo bene, ci attira, (ci fa vedere il) Signore anche nel breve tempo della nostra orazione. Esercitiamoci pure ad offrire spesso al Signore i nostri lavori e le nostre fatiche, pensando che le accettiamo per amore suo, sacrificando i nostri gusti per servire in qualche maniera la sua divina Maestà e venire in aiuto di tutti quelli, per la salute dei quali Gesù Cristo ha subito la morte» .
La santità è la ricerca della presenza di Dio, e questa presenza di Dio è orazione, è parola che si dice a Dio, è la ricerca della ragione del cuore, del cuore e della ragione, di Dio al di sopra di ogni cosa e questo, cari fratelli, è pienezza. Questo è il compimento. Dunque la santità si alimenta nella nostra vita con l’orazione, l’orazione ci conduce alla carità e la carità è il compimento della carità. In conclusione cito Luis di Granata, un domenicano spagnolo, contemporaneo di Sant’Ignazio di Loyola il quale scrive così: «La via più breve che ci conduce alla divina carità consiste nell'elevare il nostro cuore a Dio con affetti forti e con desideri infiammati del suo amore, conversando con Lui, in una confidenza rispettosa, tenendoci sempre raccolti alla sua presenza».
Dobbiamo, cari fratelli e sorelle, allora quest’oggi in particolare, aspirare anche noi alla santità la quale non è qualcosa di astruso, qualcosa di elitario, riservato a pochi eletti: questo è gnosticismo. La santità è dono di Dio e Dio che è Padre ama donarsi a tutte le sue creature per renderle suoi figli; allora Dio vuole donare a tutti la santità e noi dobbiamo impegnarci per andare a Dio attraverso la Santità. Riusciamo a vedere allora insieme Ragione e Amore e Fede e Carità a Dio. Procuriamo di pregare ogni giorno, di vivere alla presenza di Dio, e questo ci riempie e ci porta alla Carità alla Santità. Sia lodato Gesù Cristo.
Una Fides
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