di
Mauro Faverzani
Le riforme pastorali introdotte da san Pio X
furono accolte con grande gioia, perché resero possibile l’ammissione dei
fanciulli alla Prima Comunione prima dei 12 anni. Oggi però in molte Diocesi si
percorre una strada esattamente opposta: i Vescovi impongono ai Parroci di
procrastinare per anni e anni le tappe fondamentali dell’ICFR, orribile acronimo
che sta per Iniziazione Cristiana di Fanciulli e Ragazzi. A Milano, a Torino, a
Brescia, a Cremona, a Venezia, a Verona, a Vicenza, a Trento. Da qualche tempo
anche a Padova.
Ne parla un testo singolarmente firmato dalla “Chiesa di
Padova” (che non risulta essere autocefala rispetto a Roma), riportante
il discorso del Vescovo, mons. Antonio Mattiazzo in occasione di un incontro
congiunto, svoltosi lo scorso 4 febbraio. In esso si definisce revisione
«catecumenale» un’ «esigenza ineludibile», ritenendo «non
più funzionale il modello» finora adottato. Più o meno un “mantra” analogo
a quello di altre Diocesi. L’obiettivo ‒ nemmeno nascosto ‒ è “tamponare” la
fuga di fedeli subito dopo la Cresima. Una faccenda sociologica, insomma, prima
ancora che pastorale. In realtà, questo è un campo minato: esasperando le
tempistiche, si rischia una disaffezione ancora più grave. I battezzati
scocciati ‒ o spaventati ‒ potrebbero decidere di dire addio alla Chiesa e di
starsene senza Sacramenti.
A complicar le cose concorre anche l’invenzione di “riti” bizzarri,
tutti esteriori, elencati nel documento di Padova, quali il rito della
«consegna della Bibbia», della «consegna del Credo», della
«consegna del Padre Nostro», della «consegna dei Dieci
Comandamenti», della «consegna del Precetto del Signore o del
Comandamento dell’Amore» e molti altri. Se, anziché consegnare, si
insegnasse tutto questo ‒ come in passato ‒ sarebbe meglio…Ma v’è di peggio:
tale impostazione espone i ragazzi, più a lungo privati della grazia della
Confessione, al rischio esponenziale del peccato, anche mortale, in un mondo,
ove le tentazioni certo non mancano. San Pio X, quella riforma, non la fece per
sghiribizzo.
Col decreto Quam Singulari del 10 agosto 1910 anticipò
l’ammissione alla Prima Comunione all’età di 7 anni, anziché 12,
affinché nel cuore dei piccoli, ancora puro, Gesù entrasse prima di satana.
Bastava che sapessero distinguere «il Pane eucaristico dal pane
comune». Questi nuovi “percorsi”, che antepongono la Cresima alla Prima
Comunione, costringono anche i genitori a “tour de force” spirituali,
definiti dalla “Chiesa di Padova” occasioni di «condivisione
esperienziale» ‒ con brutta terminologia sociologica ‒. Col rischio di
famiglie divise tra chi va e chi non va, figli lasciati soli a gestirsi i guasti
della complessa macchina “organizzativa”, ma soprattutto ponendo forti problemi
giuridici. Il Codice di Diritto Canonico, a proposito della Comunione, parla al
Can. 912 di fanciulli che abbiano raggiunto «l’uso della ragione» e
specifica come questi, «debitamente preparati», debbano essere
«quanto prima, premessa la confessione sacramentale, alimentati di questo
divino cibo».
Sulla Confermazione, al Can. 890 si legge nel Codice: «I
fedeli sono obbligati a ricevere tempestivamente questo sacramento».
Quando? «All’incirca all’età della discrezione» (Can. 891), salvo casi
eccezionali come «pericolo di morte» o gravi cause. Nelle Diocesi tali
cammini di iniziazione cristiana sono stati per lo più imposti, tra non poche
resistenze: laddove siano stati avviati, non pare proprio abbiano prodotto i
miracoli prospettati. Ma molti sono i Parroci, che a distanza di anni, ancora
resistono e li boicottano, ritenendo che, laddove non esista un rapporto umano
vero tra il sacerdote e le famiglie, non vi sia “strategia” sociologica che
tenga. Certe pretese, in realtà, han più il sapore del ricatto che quello di
un’autentica cura pastorale.
Corrispondenza Romana 15 giugno 2012
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