di Sandro Magister
Venerdì 1 giugno, la prima sera della sua trasferta a Milano Benedetto XVI l’ha passata alla Scala, ad ascoltare la Nona Sinfonia di Beethoven (nella foto, un particolare dell’autografo) diretta da Daniel Barenboim.
Come fa sempre al termine di ogni concerto, anche questa volta papa Joseph Ratzinger ha preso spunto dalla musica eseguita per ricavarne una traccia di cammino verso Dio, quel Dio che i dolori di questa vita, i terremoti ma non solo, fanno sembrare così inerte e lontano, e che invece – ha detto il papa – “soffre con noi” e proprio così ci rende capaci di “voltar pagina” e cantare un Inno alla Gioia, come quello che chiude la sinfonia.
Ecco qui di seguito il passaggio centrale del discorso di Benedetto XVI alla Scala.
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[...] La gestazione della Nona Sinfonia di Ludwig van Beethoven fu lunga e complessa, ma fin dalle celebri prime sedici battute del primo movimento si crea un clima di attesa di qualcosa di grandioso e l’attesa non è delusa.
Beethoven pur seguendo sostanzialmente le forme e il linguaggio tradizionale della sinfonia classica, fa percepire qualcosa di nuovo già dall’ampiezza senza precedenti di tutti i movimenti dell’opera, che si conferma con la parte finale introdotta da una terribile dissonanza, dalla quale si stacca il recitativo con le famose parole “O amici, non questi toni, intoniamone altri di più attraenti e gioiosi”, parole che, in un certo senso, voltano pagina e introducono il tema principale dell’Inno alla Gioia.
È una visione ideale di umanità quella che Beethoven disegna con la sua musica: la gioia attiva nella fratellanza e nell’amore reciproco, sotto lo sguardo paterno di Dio. Non è una gioia propriamente cristiana quella che Beethoven canta, è la gioia, però, della fraterna convivenza dei popoli, della vittoria sull’egoismo, ed è il desiderio che il cammino dell’umanità sia segnato dall’amore, quasi un invito che rivolge a tutti al di là di ogni barriera e convinzione.
Su questo concerto, che doveva essere una festa gioiosa in occasione di questo incontro di persone provenienti da quasi tutte le nazioni del mondo, vi è l’ombra del sisma che ha portato grande sofferenza su tanti abitanti del nostro paese. Le parole riprese dall’Inno alla Gioia di Schiller suonano come vuote per noi, anzi, sembrano non vere. Non proviamo affatto le scintille divine dell’Elisio. Non siamo ebbri di fuoco, ma piuttosto paralizzati dal dolore per così tanta e incomprensibile distruzione che è costata vite umane, che ha tolto casa e dimora a tanti.
Anche l’ipotesi che sopra il cielo stellato deve abitare un buon padre, ci pare discutibile. Il buon padre è solo sopra il cielo stellato? La sua bontà non arriva giù fino a noi? Noi cerchiamo un Dio che non troneggia a distanza, ma entra nella nostra vita e nella nostra sofferenza. In quest’ora, le parole di Beethoven, “Amici, non questi toni…”, le vorremmo riferire proprio a quelle di Schiller. Non questi toni. Non abbiamo bisogno di un discorso irreale di un Dio lontano e di una fratellanza non impegnativa. Siamo in cerca del Dio vicino. Cerchiamo una fraternità che, in mezzo alle sofferenze, sostiene l’altro e così aiuta ad andare avanti.
Dopo questo concerto molti andranno all’adorazione eucaristica, al Dio che si è messo nelle nostre sofferenze e continua a farlo. Al Dio che soffre con noi e per noi e così ha reso gli uomini e le donne capaci di condividere la sofferenza dell’altro e di trasformarla in amore. Proprio a ciò ci sentiamo chiamati da questo concerto. [...]
Settimo Cielo 1 giugno 2012
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