di Francesco Agnoli
A volte si esce di casa un po’ a fatica, quasi trascinati. Più per fare un piacere, ad un amico, che per altro. E ci si accorge poi di dover ringraziare chi ci ha spinto ad incontrare la realtà. Mi è successo recentemente, quando la figlia quindicenne di carissimi amici mi ha chiesto di accompagnarla presso una comunità di Nuovi Orizzonti, nella mia regione. Con lei e tre compagni sono andato in questa casa di recupero per tossicodipendenti. Ne avevo visti diversi altri di luoghi simili: case per ex tossici, per malati di aids, ecc.. tenute bene, con amore e pazienza, ma gestite, per lo più, con criteri laici, e fondi statali. Pensavo dunque che non avrei visto nulla di particolarmente nuovo. Certo, avevo sentito parlare di Chiara Amirante (NELLA FOTO), sapevo trattarsi di una personalità fuori dal comune; sapevo che le sue comunità vivono di Provvidenza e puntano molto sulla preghiera, ma non per questo sospettavo che di lì a poco avrei avuto una “rivelazione”.
Sperduta tra i boschi, nascosta in mezzo alla natura e al silenzio, la casa “Luce sul monte” di Cei, gestita da Nuovi Orizzonti, ha qualcosa di diverso da tante altre.
Appena arrivato, infatti, ho trovato un gruppo di giovani che si preparavano alla messa. L’accoglienza è stata subito festosa, tanto che mi sono chiesto più volte: “ma io vedo solo gli aiutanti, gli accompagnatori, dove saranno i ragazzi che si drogavano?” In passato, infatti, mi era sempre stato piuttosto facile distinguere tra “sani” e “malati”, per usare una definizione sveviana. I sani, cioè gli operatori, gli psicologi, i volontari, da una parte; i “malati”, cioè i ragazzi tossicodipendenti, dall’altra, con il volto più o meno cupo, più o meno segnato dalla tristezza, dalla durezza della vita e delle esperienze trascorse. “Cosa vuoi, mi dicevano sempre, è assai difficile uscire del tutto da certe esperienze. E’ veramente arduo risorgere”. E lo capivo bene, perché non è difficile immaginare quanto certe ferite possano lasciare il segno, quanto possano far male anche dopo tanti anni. Eppure, lì a Cei, non ho visto quella divisione netta tra “sani” e “malati”. Ma ho incontrato, subito, sorrisi aperti, sinceri, solari, un forte spirito di fraternità tra i ragazzi del luogo, e una accoglienza calorosa a noi che arrivavamo.
Eravamo venuti soprattutto per la messa, e per una adorazione eucaristica che prende il nome di “una luce nella notte” e che caratterizza, oltre all’apostolato di Nuovi Orizzonti, anche quello delle Sentinelle del mattino fondate da don Andrea Brugnoli.
Quasi tre ore di preghiera, trascinato, io adulto, da quattro adolescenti, alcuni dei quali con una vita alle spalle già più dolorosa e più “movimentata” della mia. Tre ore passate tra preghiere di lode, canti per me, amante del gregoriano, un po’ “insoliti”, e tanto silenzio. Davanti all’ ostia esposta all’adorazione, davanti all’Agnello immolato per i nostri peccati, ho visto la potenza della preghiera: è lì che quei ragazzi prendono il loro sorriso, la loro forza; è davanti al Re dei secoli, fattosi vittima, davanti all’ “uomo dei dolori che ben conosce il patire”, che quelle persone, che hanno tanto sbagliato e tanto sofferto, attingono fiducia e speranza. Mentre guardavo qualche volto illuminato, qualche ragazzo che non riusciva a sorridere spontaneamente come i più “vecchi”, ma che, incontrando altri sorrisi e altri sguardi sereni, si sentiva quasi contagiato, mi è venuta alla mente la preghiera allo Spirito Santo, “Padre dei poveri”, “datore dei doni”, “Consolatore ottimo”, “dolce ospite dell’anima”: “Lava quod est sórdidum, riga quod est áridum, sana quod est sáucium. Flecte quod est rígidum, fove quod est frígidum, rege quod est dévium (Lava ciò che è sordido, bagna ciò che è arido, sana ciò che sanguina. Piega ciò che è rigido, scalda ciò che è gelido, raddrizza ciò ch’è sviato). Lo stesso ho pensato quando ho visto le lacrime sul volto della mia giovane amica: piangeva di gioia davanti al Santissimo Sacramento, versava quelle lacrime calde, appassionate, che Dio fa sgorgare dal cuore di chi si sente toccato dalla grazia e abbracciato dal suo Amore fedele.
Ho capito, allora, alla fine della serata, perché i miei quattro compagnetti, come altri adulti che ho incontrato in quel luogo, avevano deciso di venire sino lì: a prendere e ricevere forza da Cristo, e da chi sino a ieri era nella melma profonda e chiedeva aiuto. Succede a volte che chi è sprofondato nel fango delle miserie più gravi, si rialzi, e diventi luce per i fratelli, anche per quelli che magari non sono mai precipitati nel burrone profondo, ma vivono, un po’ inconsapevolmente, una vita atona e mediocre.
il Foglio 7/6/2012
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