mercoledì 6 giugno 2012

La fede secondo un monaco

 

di Antonello Cannarozzo

 

Il testo che segue è tratto da un colloquio avuto con un monaco camaldolese nel luglio del 1993. Ero, allora, ospite del monastero in occasione del cinquantesimo anniversario della famosa “Carta”, scritta proprio a Camaldoli da noti antifascisti nel ‘43 e che divenne, in seguito, la pietra miliare della nostra Costituzione. Proprio in quei giorni conobbi questo vecchio monaco dalla figura ascetica, dai modi semplici e gentili, dal sorriso coinvolgente. Non ricordo in quali circostanze iniziammo a parlare ma, dopo qualche convenevole, la conversazione affrontò il tema della fede, durante la passeggiata di circa tre chilometri che conduce dal monastero all’Eremo.


Mi chiese: Lei è qui per le celebrazioni della “Carta di Camaldoli?
Sì – risposi – sono qui per il mio giornale. (Allora lavoravo a Il Popolo, l’organo della Democrazia Cristiana, ndr).
Certo festeggiare quest’anniversario proprio nel periodo di Mani Pulite, sembra quasi un controsenso. Ma che ci sono stati a fare i cattolici in politica, forse per creare una società cristiana? Non c’è che dire, proprio un gran bella società.
Non è certo colpa di chi redasse quel documento.
Certamente no, ma sono quasi cinquant’anni che siamo governati da un partito cattolico e, al di là della moralità di certi personaggi, non trova scandaloso che si sia permesso di far passare leggi come il divorzio e, ancora peggio, l’aborto? Vedrà, di questo passo non ci vorrà molto che si parlerà anche di eutanasia.
Mi rendo conto, ma purtroppo o per fortuna la società evolve e bisogna pur tenerne conto!
Sarà come dice lei, ma Dio non sta certo appresso alla società che evolve e alla fine ci chiederà conto dei nostri atti.
Padre, fuori di qui non tutti sono cattolici, e anche quelli che lo sono non credo vadano in giro con il catechismo sottobraccio.
Vuole dire che la società è ormai laicizzata, dunque senza Dio, ed è inutile discutere.
Non intendevo dire proprio questo…
Ma lo pensa. Purtroppo, mancano le testimonianze della fede, gente che faccia da contraltare alla barbarie che avanza. Non capisco perché, nonostante molti si definiscano atei o agnostici, amino poi ugualmente parlare a vanvera e dare giudizi sulla Chiesa. Ma che cosa gli importa?
È un tema di cui si parla molto, basta sfogliare i giornali o andare in libreria. Ma ciò dimostra che la Chiesa è tutt’altro che passata di moda.
Sono d’accordo solo in parte. Anni fa andai a una conferenza, non ne ricordo il titolo, ma il suo tema era pressappoco se credere in Dio fosse o no ancora attuale; insomma sciocchezze del genere. Confesso che andai per obbedienza al mio vescovo, e mi dovetti sorbire una serie infinita di luoghi comuni. Mi colpì, tra i vari oratori, un giornalista, allora assai famoso, di quelli per intenderci impegnati, sempre tristi e pensierosi nel loro nulla.
Adesso lei è cattivo nel giudicare chi non la pensa come lei…
E va bene, sarà anche vero, ma torniamo a quella conferenza. Il giornalista cominciò a parlare della crisi della Chiesa, come cambiarla, chi la dovesse dirigere, e nel parlare assumeva un tono quasi di sfida verso un sacerdote, l’unico presente al tavolo degli oratori, che si prestava bene alle sue invettive. Era un uomo minuto, con tanto di talare, apparentemente dimesso, e quando toccò a lui parlare mi vennero i brividi. Adesso, pensai, lo fanno fuori appena apre bocca. Con molto garbo, ma con voce ferma, rivolto al giornalista disse: lei ha scritto molti libri sulla Chiesa, dimostra un’invidiabile conoscenza dei problemi che l’affliggono, ma le manca la cosa più importante per capirla veramente e per poterla giudicare: mettersi in ginocchio davanti al Santissimo Sacramento e cominciare a pregare. Solo allora capirà che cosa significa essere Chiesa, altrimenti si comporterebbe come quelli che sanno tutto di motori, ma non sono mai saliti su un’auto. Silenzio, poi improvvisamente ci fu un applauso liberatorio nella sala. Il sacerdote continuò così la sua relazione. Ormai aveva messo a tacere i suoi avversari. Ecco cosa intendo per testimonianza. Semplicemente credere in quello che si fa e avere una fede chiara e vissuta, altrimenti…
Altrimenti non convinciamo nessuno. Oggi, purtroppo, la fede non è certo presa in grande considerazione. Quando si parla di fede, s’immagina subito l’aspetto devozionale, per intenderci quello delle vecchiette in chiesa.
Magari avessimo anche noi la fede che hanno certe vecchiette! Dopo cinquant’anni di vita monastica ci metterei la firma per essere come loro. La fede ci permette di percepire ciò che altrimenti resterebbe nascosto ai nostri poveri sensi, è la chiave per aprirci all’eternità
E in che modo?
La Verità divina costituisce l’essenza della nostra dottrina e ha, ovviamente, un carattere metafisico che trascende la nostra condizione umana. È una dimensione ineffabile, fatta di silenzio, lontano dalle passioni e dalle miserie che ci affliggono.
Lei già vola nell’Empireo di Dante.
Forse, ma è meno astratto di quanto lei possa pensare. La fede è la chiave di tutto, basta leggere i segni che il buon Dio ci lascia lungo la nostra vita.
Non sempre facili da individuare.
Tanto tempo fa un amico, missionario in Algeria, mi raccontò un episodio che ho sempre tenuto nel cuore. Un ufficiale francese era andato in pattuglia nel deserto e con lui c’erano anche dei beduini che, al momento della preghiera, con il volto rivolto alla Mecca, cominciarono le loro orazioni. Vedendo questa scena l’ufficiale, con aria di scherno, si rivolse a quegli uomini domandando loro chi pregassero, e la risposta fu ovviamente Allah. Allora l’ufficiale, forte delle sue argomentazioni, chiese se avessero mai visto questo Allah, se lo avessero mai toccato o gli avessero parlato ed essi risposero che non avevano mai visto Dio di persona. Siete solo degli sciocchi, sentenziò l’ufficiale, perché credete in ciò che non vedete. Gli uomini rimasero in silenzio. Il giorno dopo, uscendo dalla tenda, l’ufficiale fece osservare a uno dei beduini che di lì era passato certamente un cammello, ma l’uomo gli domandò: avete visto il cammello? No, fu la risposta. Lo avete toccato? No, fu di nuovo la risposta dell’ufficiale. E allora, disse il beduino, siete uno sciocco che crede a ciò che non ha visto né toccato. L’ufficiale, stizzito, mostrò le tracce sulla sabbia che dimostravano l’esistenza del cammello, allora il beduino soggiunse che anche lui vedeva le tracce di Dio nella natura e ciò gli dimostrava che Egli non solo era passato, ma per giunta era presente tra loro.
Interessante. Peccato che non sempre si possa discutere ricorrendo ad esempi del genere, servono argomentazioni più solide.
La fede, quella vera, è molto più concreta di ciò che si pensa. E’ proprio la fede che prepara il cammino dalla natura umana verso Dio. Ogni tradizione religiosa la indica come necessaria e per noi che crediamo nel “Risorto” essa è la pietra fondamentale per il cammino verso la santità, a Dio piacendo. Noi sappiamo, anche solo istintivamente, che esiste la Verità, unica e certa, ma non la possiamo conoscere fin tanto che siamo in questo involucro di carne. Se però aderiamo senza infingimenti alla sua esistenza, ecco che questo atto ci apre a una nuova realtà sovrasensibile.
Ancora un po’ astratto.
Va bene, allora mettiamola così: la fede è il ponte che congiunge il divino con l’umano, o meglio, parafrasando san Tommaso, è il collegamento tra ciò che l’uomo non è, e quel che realmente è quando non è più, cioè quando ha superato, per dirla in maniera più semplice, la sua condizione umana. Noi viviamo nell’ignoranza della nostra vera natura, mentre la fede è, di fatto, la condizione necessaria per cominciare a camminare verso la mèta del Cielo. Una fede forte cancella di fatto ogni limitazione nell’uomo e gli apre infinite possibilità di comprensione di ciò che gli sta intorno.
Sembra, però, solamente un lavoro della mente e della sua immaginazione.
Lei parla della mente e dell’immaginazione come se fossero due concetti conosciuti e digeriti, mentre di tutte e due non possediamo assolutamente nulla, se non povere intuizioni. Ancora oggi si confonde la mente con il cervello, e l’immaginazione con la fantasia. Ma non voglio dilungarmi su questo, perché ci porterebbe troppo lontano.
Bene, torniamo allora al significato e al valore della fede.
Avere fede vuol dire credere in ciò che ancora non si conosce, è lo sforzo più nobile per arrivare davanti alla “soglia” del mistero e affermare che al di là di essa vi è la realtà, quella inesprimibile, quella rivelata. Tutti abbiamo bisogno di credere, avere fede in ciò che facciamo. Così come un ricercatore per i suoi esperimenti nel laboratorio in cui passa i momenti più belli, altrettanto noi davanti al Tabernacolo. Nessun’opera, mi creda, può essere realizzata senza un ideale e la fede in esso. Non c’è scoperta umana o realizzazione della santità che non abbia scelto questo metodo.
Ma che cos’è esattamente la fede?
È un grande patrimonio che può arricchire chiunque, altro che il Totocalcio! La sua etimologia è “legame”, come anche per religione, religio, ossia legare, con la radice lig-amen, cioè unione tra l’uomo e il Cielo. Vede, oggi si parla troppo e si prega poco, anzi, per niente. Tutto è partecipazione, incontri, dibattiti, per non dire di quelli che su questi temi scrivono libri illeggibili… Ma chi ci insegna più a pregare veramente, ad accostarci alla fonte da cui tutto è iniziato per avere, mi scusi l’espressione, informazioni di prima mano?
Forse lei ha messo il famoso dito nella piaga. Il mondo chiede risposte certe e non lasciate alla semplice fede, ad esempio sul tema del male. Si dice, come lei ben sa, che se Dio esiste non potrebbe o dovrebbe permettere tanto male. Perché fa nascere, ad esempio, un bambino malformato o lascia morire di fame e di guerra molti dei propri figli?
Guardi, potrei continuare io stesso per ore ad elencare i frutti del male che ci troviamo di fronte…
La prego non mi parli del Peccato Originale: non reggerebbe in una discussione del genere
Non ci pensavo assolutamente, mi creda. Dico solo che quando sento parlare del male e, dunque, di un Dio cattivo o peggio inesistente, propongo una riflessione. Credenti o non credenti, quando supponiamo l’esistenza di Dio, pensiamo sempre a un Essere, se così possiamo definirlo, al di là de tempo e dello spazio, infinitamente perfetto. Ora, un essere del genere come possiamo concepirlo o addirittura giudicarlo con i nostri poveri sensi umani? Sarebbe come se la pulce pretendesse di giudicare con precisione l’elefante. In che modo potremmo mai sapere quale sia il Suo giudizio sulle cose umane? Il suo metro è perfetto e quindi è al di là di ogni nostra comprensione. Dobbiamo guardare alla vita, pur nelle sue mille forme, come qualcosa che in realtà procede dall’unità del tutto. Noi, come il beduino del quale le raccontavo prima, dobbiamo osservare semplicemente le Sue tracce e arriveremo così, quasi senza accorgercene, a quel giorno benedetto, in cui potremo ammirare la Verità di Dio faccia a faccia, come ci è stato promesso dalle Scrittura. Ecco che cosa intendo per fede.

Camminando e conversando, senza rendercene conto eravamo arrivati davanti al portone dell’Eremo. A quel punto il monaco mi salutò con un sorriso ponendo il dito indice sulla sua bocca per intendere che ormai non c’era altro da dire o da fare, se non rientrare in quel Silenzio in cui ogni parola diventava superflua.







Antonello Cannarozzo


 

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