martedì 26 giugno 2012
La Liturgia, itinerario dell'anima verso Dio
"Dobbiamo custodire in forma chiara e nitida la realtà della presenza e dell’opera di Cristo all’interno del Rito, facendo in modo che tutto concorra a mettere in risalto il primato del mistero della salvezza che viene celebrato"
di mons. Guido Marini *
* Maestro delle Celebrazioni Liturgiche Pontificie
Un’azione sacra per la santificazione dell’uomo
L’originalità tipica del Cristianesimo, che ne fa un “unicum” nella storia, è quella di non essere, propriamente parlando, una religione, bensì una fede. Che cosa si vuol dire con questo? Che il dinamismo dell’evento cristiano non procede dall’uomo per approdare a Dio, come culmine della ricerca, ma procede da Dio che si pone alla ricerca dell’uomo, lo viene a visitare, rivelandogli il mistero della sua vita intima.
In questo senso l’evento dell’Incarnazione è del tutto chiarificatore di quanto appena affermato. Gesù Cristo è il Figlio di Dio incarnato per noi, dono di salvezza per un’umanità altrimenti incapace, non solo di raggiungere con le proprie forze l’autentico Volto del divino, ma anche di scoprire in pienezza il senso della propria esistenza.
E’ per questo che quando si parla della vita cristiana se ne deve parlare sempre come di una chiamata dall’Alto che precede e rende possibile la risposta, di una grazia che fonda una responsabilità, di un dono inatteso che suscita corrispondenza. Insomma, nel cristianesimo il primato è sempre di Dio. Ed è a questo primato che è necessario rifarsi anche quando si entra nel grande tema della preghiera, del cammino spirituale dell’uomo, della vita liturgica della Chiesa.
Anche questi, ambiti, infatti, portano chiaro il segno della precedenza del Signore su qualsivoglia attività umana. Non esiste preghiera cristiana che non sia anzitutto suscitata dallo Spirito di Cristo nel cuore dell’uomo. Non si dà cammino spirituale che non proceda dalla grazia santificante. Non è pensabile una vita liturgica che non abbia come primo protagonista il Signore Gesù nell’esercizio della sua funzione sacerdotale.
“Giustamente perciò la liturgia è considerata come l’esercizio della funzione sacerdotale di Gesù Cristo. In essa, la santificazione dell’uomo è significata per mezzo di segni sensibili e realizzata in modo proprio a ciascuno di essi; in essa il culto pubblico integrale è esercitato dal corpo mistico di Gesù Cristo, cioè dal capo e dalle sue membra. Perciò ogni celebrazione liturgica, in quanto opera di Cristo sacerdote e del suo corpo, che è la Chiesa, è azione sacra per eccellenza, e nessun’altra azione della Chiesa ne eguaglia l’efficacia allo stesso titolo e allo stesso grado” (Concilio Vaticano II, Costituzione Apostolica, Sacrosanctum Concilium, 7).
In questo testo conciliare, ai fini della presente relazione, è necessario sottolineare due espressioni fondamentali, ovvero: “santificazione dell’uomo” e “azione sacra per eccellenza”. La relazione esistente tra questi due elementi della liturgia offre la ragione della scelta del passo citato, quale porta d’accesso al tema da trattare.
L’anima umana, ossia l’uomo, è chiamata a compiere l’itinerario verso Dio, a realizzare, pertanto, la propria santificazione. Questa è l’opera prima e decisiva della sua vita, il suo dovere primario (cfr. Pio XII, Lettera Enciclica Mediator Dei, 11). Ma un tale compito è realizzabile a partire da quell’azione sacra per eccellenza che è la liturgia: sacra perché azione di Cristo e del suo corpo che è la Chiesa; sacra perché esercizio della funzione sacerdotale di Gesù Cristo; sacra perché resa tale dalla potenza amorevole dello Spirito Santo.
Come afferma il beato Giovanni Paolo II, “la liturgia è il luogo privilegiato per questo incontro con Dio e con colui che ha inviato Gesu Cristo” (Lettera Apostolica Vicesimus quintus annus, 7). Infatti “le parole e i riti della liturgia sono… espressione fedele maturata nei secoli dei sentimenti di Cristo e ci insegnano a sentire come lui: conformando a quelle parole e gesti la nostra mente, eleviamo al Signore i nostri cuori” (Congregazione per il Culto divino e la Disciplina dei Sacramenti, Istruzione Redemptionis sacramentum, 5).
In tal modo siamo invitati a ricordare che esiste un legame essenziale tra la liturgia e la vita perfetta nella carità, il mistero di Cristo e l’itinerario dell’uomo verso Dio, tra il sacro e il santo nell’esperienza della fede. Se nessun’altra azione della Chiesa eguaglia l’efficacia della liturgia, vuol dire proprio che la possibilità di parlare adeguatamente di un itinerario spirituale verso Dio esiste anzitutto a partire da quell’azione sacra per eccellenza che è la celebrazione liturgica.
Sostiamo per un momento sul termine “sacro”. La liturgia costituisce il “sacro”, ne è il luogo privilegiato, ne determina e sviluppa il significato. Ma che cosa è propriamente questo “sacro”? La domanda, in verità, non è ben formulata. Correttamente deve essere riformulata così: “chi è il sacro”? In effetti il sacro è Gesù Cristo, secondo le parole sempre attuali di San Tommaso: “Sacrum absolute, ipse Christus” (Summa Theologiae III, 73, 1, 3m). Un tale “sacro” viene espresso, nella liturgia, con segni efficaci ed educativi, per l’opera dello Spirito Santo. Essi dicono all’uomo che è salvato e non si autosalva; che la salvezza, di conseguenza, è grazia e dono dall’Alto perché nessuno la trova originariamente e autonomamente in sé; che, in altre parole, è nel mistero di Cristo accolto e partecipato l’opera della nostra redenzione.
La liturgia “è essenzialmente actio Dei che ci coinvolge in Gesù per mezzo dello Spirito” (Benedetto XVI, Esortazione Apostolica Postsinodale Sacramentum caritatis, 37). Come ricordava l’allora Card. Ratzinger a Fontgombault, nel 2001, “Dio agisce nella liturgia attraverso Cristo e noi possiamo agire soltanto attraverso Lui e con Lui” (Opera omnia, Teologia della liturgia, p. 747).
La liturgia, quindi, possiede una sua sacralità o santità oggettiva alla quale ciascuno deve attingere per poter procedere nel cammino della propria santità, della santità personale e soggettiva. In questo legame con il “sacro” e, dunque, con una realtà oggettiva di grazia che ci precede, troviamo la specificità dell’itinerario dell’anima verso Dio a partire dalla liturgia.
Forse ora è più chiaro perché è del tutto appropriato il richiamo iniziale al testo citato della Sacrosanctum Concilium. Lì, infatti, vi troviamo l’autorevole fondazione dell’itinerario dell’anima verso Dio in quanto radicato nella liturgia. Soltanto là dove Gesù Cristo, risorto da morte, si rende presente per l’azione dello Spirito Santo e l’uomo si lascia afferrare, trasformare e condurre nella fede si invera l’itinerario di un’anima verso Dio.
Lo sviluppo dell’itinerario verso Dio
Chiarito il punto di partenza, dobbiamo ora delineare, almeno in parte, lo sviluppo dell’itinerario dell’anima verso Dio a cominciare dall’esperienza del sacro liturgico, ovvero dalla presenza operante di Gesù Cristo incontrata nell’azione liturgica.
La sacra Scrittura
Cristo stesso “è presente nella sua parola, giacché è Lui che parla quando nella Chiesa si legge la sacra Scrittura” (Sacrosanctum Concilium, 7). Non si può che partire da qui per illustrare quanta parte abbia la Parola di Dio, ascoltata nella liturgia, nell’itinerario dell’anima verso Dio. Al riguardo desidero richiamare tre importanti implicazioni.
1. Vi sono certamente altri luoghi e momenti per l’ascolto personale e fruttuoso delle Scritture sante. Tuttavia, come sappiamo, la Parola del Signore, ascoltata nel contesto della celebrazione liturgica, si accompagna in modo del tutto particolare all’azione dello Spirito Santo, che la rende operante nel cuore dei fedeli. La Scrittura, proclamata dalla Chiesa nel culto liturgico, è la Parola viva e attuale di Dio, così che si rende possibile un rapporto personale tra Dio e l’uomo nella successione del tempo.
Commentando un passo della Genesi, così si esprime sant’Ambrogio: “Che significa che Dio passeggiava nel paradiso, dal momento che egli è sempre in ogni luogo? Penso voglia dire questo: Dio passeggia attraverso i vari testi delle divine Scritture nelle quali è sempre presente” (De Paradiso, 14, 18). E’ proprio questa l’esperienza sempre nuova che si dischiude davanti all’anima che ascolta la Parola del Signore, nella Chiesa riunita in preghiera.
Sia che la si ascolti, sia che la si legga o proclami, sia che la si annunci, la Scrittura santa chiede di essere avvicinata e accolta con lo stupore grato della fede; quella fede che sa riconoscere qui e ora la voce del suo Signore che parla al suo popolo, che si rivolge a ciascuno in modo personale e unico. E’ proprio Cristo che parla alla comunità radunata, come quel giorno nella sinagoga di Nazaret, quando tutti gli occhi rimasero puntati su di lui. La voce umana che risuona nel luogo sacro è solo un segno che rimanda alla voce stessa di Cristo che risuona oggi, nel tempo della nostra vita.
Così, per il tramite della liturgia, l’anima apprende per esperienza diretta che cosa significa ascoltare e accogliere la Parola di Dio, non come parola di uomini, ma quale è veramente: Parola di Dio che mette a giudizio ogni altra parola che proviene dal mondo.
2. Inoltre, l’atto liturgico ha la capacità di sottrarre la pagina della Scrittura al gusto soggettivo e transitorio, donandola all’anima umana quale voce di Dio da accogliere, al presente, nella propria vita. In tal modo, il primato non è dato alla disposizione interiore individuale, ma a ciò che nell’oggi dell’atto liturgico il Signore desidera dire al suo popolo, educandolo alla vita evangelica.
Un esempio, forse, potrà esserci di aiuto per una migliore comprensione di quanto si va affermando. Quando partecipiamo a una celebrazione liturgica, noi vi entriamo con un particolare stato d’animo e accompagnati dalle molteplici esperienze di vita che hanno caratterizzato una singola giornata o un particolare periodo. E’ quasi naturale, in quel contesto, avvertire l’esigenza di una Parola che venga a illuminare ciò che stiamo vivendo. E, fosse per noi, probabilmente andremmo alla ricerca di un passo della Scrittura il più possibile confacente, in quel momento, alle nostre aspettative spirituali.
Con la liturgia, invece, questo non avviene. In qualunque situazione personale ci veniamo a trovare, la Parola del Signore ci è donata in qualche modo a prescindere da noi stessi. Anzi, siamo invitati a uscire dai noi stessi e dal nostro piccolo mondo per entrare nei più ampi spazi della volontà di Dio che, in quella Parola ascoltata nella Chiesa, raggiunge l’uomo come dono inatteso e norma di vita.
Ecco la grazia della Parola sacra accolta nell’atto liturgico! La grazia di rimanere coinvolti in un disegno più grande di noi. La grazia di imparare l’ascolto vero, capace di mettere da parte le personali priorità rendendosi disponibili alle priorità di Dio. La grazia di essere educati a fare della propria vita un atto di obbedienza, nella fede, alla volontà di Dio. Si tratta, in altre parole, di aprirsi alla potenza benefica della Verità, che non è soggetta a ciò che è transitorio, emotivo, opinabile.
Perché una tale grazia possa essere accolta abbiamo bisogno dell’intima azione dello Spirito Santo che rende operante nel nostro cuore la Parola di Dio (cfr. Benedetto XVI, Esortazione Apostolica Postsinodale Verbum Domini, 52). Anche per questo l’Ordinamento Generale del Messale Romano ci ricorda che “la Liturgia della Parola deve essere celebrata in modo da favorire la meditazione; quindi si deve assolutamente evitare ogni forma di fretta che impedisca il raccoglimento. In essa sono opportuni anche brevi momenti di silenzio, adatti all’assemblea radunata, per mezzo dei quali, con l’aiuto dello Spirito Santo, la parola di Dio venga accolta nel cuore e si prepari la risposta con la preghiera” (n. 56).
Solo così l’anima diverrà capace di prolungare l’ascolto autentico di Dio che le parla anche al di là dell’esperienza liturgica: nella relazione personale con il testo sacro, a contatto con i diversi accadimenti della vita e della storia, ricercando il senso dei movimenti del cuore e nell’impegno ad autenticare le ispirazioni interiori.
3. Infine è bene anche aggiungere che, nella celebrazione liturgica, non è l’uomo a piegare a sé il Signore, ma è il Signore a condurre l’uomo nella propria intimità. La Chiesa, quale soggetto vivente, nella sua liturgia ascolta e interpreta la Parola che Dio le rivolge. E ciascuno è chiamato a entrare nello stesso ascolto e nella stessa interpretazione, rinunciando a una manipolazione che condurrebbe non all’ascolto di Dio, ma di se stessi.
Una tentazione ricorrente nell’esperienza della fede è quella di ridurre la Parola del Signore alla propria misura, oltreché di alterare la voce di Dio, fino a scambiare l’una per l’altra. Così può capitare che quella fede, scaturita da un ascolto viziato in radice, assuma una forma non vera, non autenticamente ecclesiale, non in sintonia con il progetto di Dio.
La liturgia della Chiesa, invece, garantisce la Parola di Dio da riduzioni arbitrarie, da interpretazioni erronee, porgendola nella sua integralità e verità, così che tutto il mistero di Cristo lì contenuto possa essere ascoltato e divenire principio di un nuovo modo di pensare e di vivere.
Solo così l’anima cristiana acquista progressivamente il pensiero stesso di Cristo, rivive i suoi sentimenti, diviene capace di uno sguardo su di sé e sul mondo che è proprio lo sguardo della fede della Chiesa. E’ proprio questo sguardo della fede comune che la liturgia è capace di custodire con cura.
A Fontgombault, nel già citato intervento del 2001, il Card. Ratzinger ricordava che “le configurazione liturgiche possono, a seconda del luogo e del tempo, essere molteplici, come sono molteplici i riti. Essenziale è il legame con la Chiesa, che a sua volta, mediante la fede è legata al Signore. L’obbedienza della fede garantisce l’unità della liturgia al di là del confine di luoghi e tempi e rende così sperimentabile l’unità della Chiesa, Chiesa come patria del cuore” (Opera omnia, Teologia della liturgia, p. 749).
Il sacrificio eucaristico
Cristo “è presente nel sacrificio della Messa, sia nella persona del ministro, essendo egli stesso che, «offertosi una volta sulla croce, offre ancora se stesso tramite il ministero dei sacerdoti», sia soprattutto sotto le specie eucaristiche” (Sacrosanctum Concilium, 7).
Una tale presenza del Signore – nella sua offerta sacrificale e, soprattutto, sotto le specie eucaristiche – ci conduce al cuore dell’influsso di grazia che il sacro liturgico ha sull’itinerario dell’anima verso Dio. Desidero, in questo caso, delineare due prospettive di riflessione.
1. Mettiamoci, per un istante, in ascolto di San Paolo: “Vi esorto, dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, a offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale (Rm 12, 1). “Sono stato crocifisso con Cristo, e non vivo più io, ma Cristo vive in me. E questa vita che io vivo nel corpo, la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha consegnato se stesso per me (Gal 2, 20).
Per l’Apostolo tutta la vita del cristiano è un sacrificio, che non ha soltanto un riferimento necessario e continuo al mistero di Cristo, ma ne è la stessa presenza. Il cristiano non è un semplice imitatore di Gesù, quasi fosse chiamato a ricopiare dall’esterno un modello di vita, ma è partecipe dello stesso mistero, fatto presente nell’atto liturgico dell’offerta sacrificale. In virtù dell’opera dello Spirito Santo diventa reale la contemporaneità tra il mistero della salvezza e il tempo dell’uomo.
Per questo l’anima cristiana è chiamata a divenire un sacrificio vivente, una liturgia vivente. In lei dovrà rivivere l’atto supremo con il quale Cristo consegna se stesso al Padre per la salvezza del mondo. “La santità dell’uomo esige la presenza di quest’Atto, e la presenza dell’Atto è il Sacrificio: non più solo di Cristo, ma della Chiesa intera. Tutta la santità della Chiesa, tutta la sua vita è l’Eucaristia, in cui l’Atto del Cristo si fa presente nell’atto stesso del sacerdote ministro della Chiesa; si fa presente nella e per la comunità di tutti quanti i fedeli, che non assistono passivamente ma partecipano attivamente al Sacrificio come all’Atto che fonda e consuma tutta la loro esperienza cristiana” (Divo Barsotti, Il mistero della Chiesa nella liturgia, p. 172).
Qui, dunque, troviamo la radice di ogni possibile itinerario dell’anima verso Dio. Ancora di più: qui la liturgia si propone pienamente come fonte e culmine della vita cristiana. Non vi può essere, infatti, vita cristiana che non parta dal quel sacrificio come sua fonte, come non vi può essere vita cristiana che non tenda a quel sacrificio come suo culmine.
2. Se ora ci addentriamo un po’ di più nell’atto sacrificale del Signore, ne scopriamo tre diversi risvolti.
- Anzitutto il sacrifico di Cristo è un sacrificio di adorazione. Nel dono radicale della propria vita il Signore pronuncia il suo sì al disegno del Padre e alla sua volontà. In Lui la vita dell’uomo non è più dissonante rispetto al progetto di Dio. E’ ristabilita l’adesione piena e definitiva tra il Creatore e la sua creatura. La morte e la risurrezione del Signore sono il suggello di una umanità rinnovata, perché salvata dal dramma della separazione da Dio, nel tempo e nell’eternità.
L’Eucaristia “è l'incontro e l'unificazione di persone; la persona, però, che ci viene incontro e desidera unirsi a noi è il Figlio di Dio. Una tale unificazione può soltanto realizzarsi secondo le modalità dell'adorazione. Ricevere l'Eucaristia significa adorare Colui che riceviamo. Proprio così e soltanto così diventiamo una cosa sola con Lui” (Benedetto XVI, Discorso alla Curia Romana, 22.XII.2005).
Nella partecipazione liturgica al sacrificio di Cristo, l’anima cristiana diviene tempio della vita nuova dei figli di Dio, perché le è donata la capacità di adorare il disegno del Padre e di uniformarsi alla sua volontà. L’anima diventa davvero cristiana, perché l’adesione radicale a Dio da parte di Gesù le è partecipata, diventando in lei principio di nuova umanità.
- Il sacrificio di Cristo, in secondo luogo, è un sacrificio di propiziazione. Nella sua immolazione cruenta, infatti, il sacrificio del Signore è anche propiziazione per i peccati del mondo. Il dono sacrificale della croce suppone il peccato e lo sconfigge una volta per tutte e a vantaggio di tutti.
Nella partecipazione liturgica al sacrificio di Cristo, l’anima cristiana riceve in dono la capacità di alterità radicale rispetto al male in ogni sua forma. E, tuttavia, è proprio qui che ha inizio il suo itinerario verso Dio. Quella capacità ricevuta in dono dovrà essere confermata progressivamente nel corso dell’esistenza; dovrà riproporsi anche come pentimento sincero a fronte di ogni piccolo e grande compromesso con il peccato; dovrà, poi, divenire accettazione della sofferenza nella propria vita, come forma di collaborazione con il Salvatore, nell’opera di riscatto a favore dei fratelli, accomunati dallo stesso destino di colpa.
Si comprende così l’importanza delle preghiere e dei gesti che, nel corso della Santa Messa, favoriscono l’atteggiamento penitenziale e di conversione.
- Il sacrificio di Cristo, inoltre, è un sacrificio di lode e di rendimento di grazie. In Cristo sacrificato sulla croce, in effetti, l’umanità intera innalza il suo inno di lode e di grazie al Padre per la salvezza donata. E in quella natura umana che il Signore porta in sé, è presente anche l’intera creazione che torna a orientarsi verso il suo Creatore. Insomma, in quell’atto sacrificale che si rinnova nella liturgia della Chiesa è l’intero cosmo che finalmente si rivolge a Dio, nel canto della lode e del ringraziamento.
In tal modo l’anima cristiana diventa partecipe di un movimento cosmico di ritorno al Padre. Anzi, proprio lei si fa portavoce di un tale ri-orientamento che comprende tutto e tutti, così che nel suo canto è il canto dell’intero creato già in qualche modo trasfigurato, anche se non ancora del tutto trasformato nei cieli nuovi e nella terra nuova dell’eternità.
Tutto questo diviene realtà nell’ascolto partecipe, riverente e silenzioso della Preghiera eucaristica. In questa, che è la grande preghiera di azione di grazie e di santificazione, “il sacerdote invita il popolo a innalzare il cuore verso il Signore nella preghiera e nell’azione di grazie, e lo associa a sé nella solenne preghiera, che egli, a nome di tutta la comunità, rivolge a Dio Padre per mezzo di Gesù Cristo nello Spirito Santo. Il significato di questa Preghiera è che tutta l’assemblea dei fedeli si unisca insieme con Cristo nel magnificare le grandi opere di Dio e nell’offrire il sacrificio” (Ordinamento Generale del Messale Romano, 78).
La Chiesa in preghiera
Cristo “è presente infine quando la Chiesa prega e loda, lui che ha promesso: «Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, là sono io, in mezzo a loro» (Mt 18, 20)” (Sacrosanctum Concilium, 7).
La citata affermazione conciliare ci porta a considerare l’itinerario dell’anima verso Dio, in quanto inserita nel mistero della Chiesa. E qui è mia intenzione richiamare tre distinti aspetti della questione.
1. “Il mistero della Chiesa che la liturgia fa presente non è l’assemblea visibile: attraverso di essa e per essa è tutta la Chiesa che si fa presente… Con Cristo si fanno presenti i Santi che sono un solo Corpo con Lui. E’ presente Dio che si comunica, ma Cristo non è realmente presente se non è presente con Lui un’umanità, cui Egli si è veramente comunicato. La Chiesa si fa presente non tanto nell’assemblea, quanto per mezzo dell’assemblea visibile: l’assemblea è la condizione e il segno della presenza di una Chiesa che è peregrinante negli uomini quaggiù ed è già trionfante nella presenza dei Santi…” (Divo Barsotti, Il mistero della Chiesa nella liturgia, p. 100-101).
In tal modo l’anima cristiana, mediante l’atto liturgico, rinnova e approfondisce l’esperienza della Chiesa, che è comunione intima di Cielo e terra. Davvero, nella liturgia, il Cielo di Dio si rende presente sulla terra dell’uomo. E l’uomo, da questo Cielo, rimane “impressionato”, nel senso che la grandezza e la bellezza del Cristo totale si imprimono nel suo cuore, rendendolo capace di annuncio e di speranza.
Capace di annuncio, perché l’impronta di Cielo che porta in sé diventa essa stessa voce eloquente davanti al mondo, richiamo suadente alla verità e alla gioia della salvezza.
Capace di speranza, perché ciò che i suoi occhi hanno veduto apre il tempo all’eternità di Dio ed è promessa di un “per sempre” che attende al di là della fine dei giorni terreni.
D’altra parte, la celebrazione liturgica, nel suo rendere presente il mistero della Chiesa, consente all’anima cristiana di prendere parte a quel cammino spirituale che Romano Guardini definiva “il risveglio della Chiesa nelle anime”. Lì, infatti, si avverte la vitalità della Chiesa; lì si entra in relazione con quel soggetto vivente che abbraccia il tempo e lo spazio riconducendoli a Dio; lì si percepisce di essere parte di una comunione di amore che discende dal Capo, che è Cristo, e fonde in un corpo solo noi, sue membra. E l’anima cristiana, essa stessa, diviene Chiesa perché in lei si rende in qualche modo presente il mistero dell’unità tra Cielo e terra.
2. Con il Signore, nella Chiesa che prega, si fanno presenti i santi. La liturgia è anche la presenza dei santi, di coloro che definitivamente vivono in Cristo, qui tra di noi.
Nella liturgia cristiana i santi sono sempre associati al canto, al ringraziamento, alla lode, alla preghiera di coloro che vivono ancora l’esperienza del pellegrinaggio terreno. I santi, pertanto, non sono solo intercessori cui rivolgersi per chiedere grazie e aiuto; neppure sono soltanto esempi da imitare per meglio seguire il Signore nel cammino del discepolato. I santi, nella liturgia della Chiesa, sono presenti, parte di una famiglia grande che vive nel tempo e al di fuori del tempo.
In tal modo l’uomo viatore supera la sua solitudine e vive la gioia di un’appartenenza comune che sostiene il suo itinerario per le strade del mondo. Il Canone romano invita a ricordare prima i cori degli Angeli e poi gli Apostoli, i Martiri, i Confessori, le Vergini. Infine parla degli uomini che vivono quaggiù, di noi peccatori. Nel ritrovarci compagni di viaggio di quanti hanno già raggiunto la meta, avvertiamo il rinnovato coraggio di intraprendere anche noi il loro stesso itinerario di santità. Così la loro presenza diventa stimolo a non tergiversare, ad abbandonare il compromesso con la mondanità, a interrompere ogni legame con il peccato, a rivolgere con decisione la mente e il cuore al vero Bene.
3. Nel mistero della Chiesa, che la liturgia rende presente, riconosciamo anche la figura della SS. Vergine.
In lei tutta la Chiesa si identifica, perché a lei Dio si è donato totalmente. In lei si rivela la redenzione compiuta. La liturgia contempla Dio che si comunica al mondo in Cristo, ma contempla anche un mondo tutto pervaso dalla gloria di Dio. E questo mondo è la Vergine Santa.
Tutta la creazione non riceverà mai Dio più di come l’ha ricevuto Maria, mistero della presenza di Dio sulla terra. La Vergine non dice altro che “Dio”. Lei, che è puro cristallo, non ferma a sé ma rimanda a Dio. Questa è la Vergine, questa è anche la Chiesa, la Sposa che si abbandona totalmente all’Amore per riceverlo tutto.
L’anima cristiana, dalla contemplazione liturgica della Vergine Sposa, apprende quale sia la sua chiamata. L’inveramento in lei del mistero della Chiesa coincide con il suo essere sposa, termine dell’amore del Signore al quale abbandonarsi con totale generosità. Quando sant’Ambrogio guarda alla Madonna e si rivolge all’anima cristiana con l’invito accorato: “Sia in ciascuno l’anima di Maria a magnificare il Signore, sia in ciascuno lo spirito di Maria a esultare in Dio” (Esposizione del Vangelo secondo Luca, II, 26), non dice altro che questo. Nel lasciare che il proprio cuore si renda accogliente dell’anima e dello spirito di Maria, l’uomo si apre alla dimensione della sponsalità, divenendo partecipe del mistero grande che lega Cristo alla sua Chiesa.
Due ultime osservazioni:
La custodia del sacro liturgico
Se si è partiti dal richiamo alla sacralità liturgica per fondare il discorso dell’itinerario dell’anima verso Dio e se, a più riprese, si è cercato di indicare in quale modo una tale sacralità fonda e accompagna il percorso spirituale dell’uomo, vale la pena, forse, ricordare quanto sia importante che la celebrazione liturgica, ogni celebrazione liturgica sappia custodire il “sacro liturgico”.
Custodire il “sacro liturgico” significa custodire in forma chiara e nitida la realtà della presenza e dell’opera di Cristo all’interno del Rito, facendo in modo che tutto concorra a mettere in risalto il primato del mistero della salvezza che viene celebrato. Come ricorda il Santo Padre Benedetto XVI: “Se nella liturgia non emergesse la figura di Cristo, che è il suo principio ed è realmente presente per renderla valida, non avremmo più la liturgia cristiana, completamente dipendente dal Signore e sostenuta dalla sua presenza creatrice” (Discorso ai Vescovi della Conferenza Episcopale del Brasile – Regione Norte 2- in Visita “ad limina apostolorum”, 15 aprile 2010).
Non è questo il luogo per scendere nel dettaglio. Sia, tuttavia, sufficiente il richiamo alla bellezza, quale elemento integrante e non accessorio della liturgia della Chiesa. Solo ciò che è veramente bello è anche comunicativo del bene e del vero e, pertanto, è capace di custodire il sacro, ovvero lo stesso Signore Gesù, volto definitivo dell’amore di Dio.
In questo senso la custodia attenta e premurosa del sacro è un servizio prezioso all’anima cristiana e al suo itinerario verso Dio. L’ormai celebre adagio “la bellezza salverà il mondo” è quanto mai appropriato in questo contesto. Solo la bellezza, ovvero solo Gesù Cristo può salvare il mondo. Solo la sua bellezza, custodita dalla sacralità della liturgia, potrà attirare l’anima cristiana nel mondo nuovo della santità, dove la stessa bellezza di Dio è comunicata all’uomo e diventa concretamente attingibile da tutti.
L’elogio dell’ otium
Il richiamo alla dimensione del sacro, insito nella liturgia, per illustrare l’itinerario dell’anima verso Dio ha inteso privilegiare la dimensione oggettiva della vita spirituale rispetto al percorso soggettivo. Il che, in altri termini, significa anche affermare il primato della via dell’accoglienza del dono rispetto a quella della confusa e affannata ricerca. In fondo, si tratta dello specifico della fede cristiana applicato all’itinerario spirituale dell’uomo.
Il celebre filosofo tedesco J. Pieper afferma: “L’otium non è l’atteggiamento di chi assale, invade, ma di chi s’apre accogliente; non sta nel comportamento di chi stringe afferrando, ma di chi allenta, di chi si distende, abbandonandosi, quasi come s’abbandona il dormiente…” (“Otium” e culto, p. 61).
In questo senso l’ “otium” è ciò che accade nel cuore dell’uomo quando egli si trova in armonia con la verità di sé, è la condizione spirituale che nasce dall’adesione al dono di Dio, simile al colloquio degli amanti che si nutre di intimo accordo.
Il Santo Padre Benedetto XVI, in un suo discorso, accenna all’oscuramento del significato cristiano del mistero, declinando il possibile pericolo così: “…come avviene quando nella Santa Messa non appare più preminente e operante Gesù, ma una comunità indaffarata in molte cose, invece di essere raccolta e di lasciarsi attrarre verso l'Unico necessario: il suo Signore. Ora l'atteggiamento principale e fondamentale del fedele cristiano che partecipa alla celebrazione liturgica non è fare, ma ascoltare, aprirsi, ricevere” (Discorso ai Vescovi della Conferenza Episcopale del Brasile – Regione Norte 2- in Visita “ad limina apostolorum” 15 aprile 2010).
E’, dunque, quanto mai importante custodire con cura la dimensione contemplativa della liturgia, quella particolare forma di “otium” che è lo spazio spirituale dell’apertura e della partecipazione al Mistero celebrato. Anche una tale custodia è un servizio prezioso all’anima cristiana e al suo itinerario verso Dio.
L’anima cristiana ha di fronte a sé una duplice via: quella dell’ “otium” e quella della “acedia”, intesa come mancanza di armonia con il proprio essere e, in ultima analisi, con Dio. L’azione sacra della Chiesa che è la liturgia si propone all’anima cristiana come scuola alta di “otium”, ovvero di quella contemplazione attiva che apre alla partecipazione della salvezza donata da Dio. Di questo “otium” si è inteso fare qui l’elogio. Perché è proprio in virtù di questo “otium” che l’anima cristiana può compiere felicemente il proprio itinerario verso Dio.
Conferenza tenuta da mons. Guido Marini al 43° Congresso Internazionale dell’Associazione “Sanctus Benedictus Patronus Europae”, Roma, 25 novembre 2011.
fonte: http://www.vatican.va/news_services/liturgy/2011/documents/ns_lit_doc_20111125_itinerario-anima_it.html
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