La festa del Corpus Domini
Un panorama invisibile agli uomini
di Inos Biffi
La solennità del Corpus Domini ravviva nella Chiesa la fede nella presenza reale di Cristo nell'Eucaristia, grazie al trasmutarsi del pane e del vino nel Corpo e nel Sangue del Signore, o, com'è detto con termine felice, grazie alla «transustanziazione». E, infatti, in virtù della Parola dello stesso Signore e l'azione potente del suo Spirito tutta l'identità del pane e del vino -- la sua sostanza -- si trasforma nell'identità del Corpo e del Sangue di Gesù. Tutto quello che i sensi ravvisavano rimane invariato. La conversione «mirabile e singolare», com'è chiamata dal concilio Tridentino, è invece inattingibile a qualsiasi esperienza. Ogni tentativo dell'occhio, dell'udito o del gusto sarebbe destinato a fallire, canta san Tommaso nell'Adoro te devote. L'incrollabile certezza della sua verità è fondata esclusivamente su quanto dichiarato da Gesù nell'Ultima cena: «Questo è il mio corpo»; «Questo è il calice del mio sangue».
La conversione eucaristica è singolare e unica. Nessun mutamento le assomiglia. Essa si può paragonare alle opere originali di Dio, come la creazione. Possiamo affermare che in ogni consacrazione eucaristica si avvera un miracolo, se per miracolo si intende un intervento divino in atto nella storia della salvezza.
Ci sono, infatti, miracoli in cui la gloria di Dio traspare, è percepibile ai sensi, suscita stupore e, a seconda, adesione o repulsione. Pensiamo ai segni compiuti da Gesù quali icone ed epifania della sua divinità.
Ma ci sono anche miracoli che avvengono di là dai confini appariscenti: miracoli inavvertiti e inavvertibili e, pure, d'immenso pregio. L'inabitazione della Trinità nell'anima, il dono della grazia, la riconciliazione di un peccatore sono miracoli interiori, che sfuggono a qualsiasi percezione. E in realtà, quello invisibile è il mondo più vero e più consistente, sottratto alla deperibilità e destinato a permanere. «Noi non fissiamo lo sguardo -- scrive Paolo -- sulle cose visibili, perché le cose visibili sono di un momento, quelle invisibili invece sono eterne» (ii Corinzi, 4, 18). Il culto all'Eucaristia, nella varietà delle sue forme, è esattamente lo sguardo della fede che “vede” e incontra personalmente Cristo crocifisso e vivente, che permane sotto le specie del pane e del vino, irreversibilmente divenute Corpo e Sangue del Signore nella celebrazione della Messa, che resta certamente la genesi della presenza reale.
Le processioni, le adorazioni, le visite al Santissimo Sacramento sono una professione orante della divinità di Cristo, del valore della sua immolazione redentiva, dell'amore con cui silenziosamente ma potentemente accompagna la Chiesa nel suo corso e nelle sue peripezie; e infine della compagnia di Gesù con i singoli fedeli, che negli incontri eucaristici diurni e spesso notturni intessono con lui i dialoghi più intimi e più confidenti. È un panorama sconosciuto agli uomini e che a Dio solo è dato di conoscere e di ammirare con paterna compiacenza.
«O Signore… Donateci una volta di fissare lo sguardo nel centro del Vostro miracolo -- chiedeva Paul Claudel -- in questo giorno del Corpus Domini, quanto il sacerdote aprendo il Vostro tabernacolo solleva tra le sue mani il sole» (Hymne du Saint Sacrement). Se questo culto dovesse, invece, intiepidirsi, o peggio essere insipientemente contestato e screditato, la conseguenza sarebbe un impoverimento della spiritualità cristiana. Riconoscere che esso si venne accentuando in una precisa epoca della tradizione della Chiesa, non toglie assolutamente nulla alla sua importanza e validità: significherebbe solo che un aspetto del sorprendente mistero eucaristico si è ravvivato di nuova luce.
Per questo non possono entusiasmare la trascuratezza nel ricevere la comunione e la sbrigatività con cui, qua e là, sono trattati il pane e il vino consacrati, quasi che, finita la Messa, essi siano tornati alla loro condizione naturale. Un simile atteggiamento concorre a confondere la fede, ad affievolire la pietà e a spegnere il desiderio del Popolo di Dio, precludendogli la contemplazione di Gesù adesso ancora nascosto dai veli delle sante specie, in attesa di ammirarne apertamente il volto glorioso e beatificante. Vengono in mente i versi struggenti di san Tommaso: «Ora, Gesù, ti guardo celato sotto i veli;/ estingui, ti prego, la mia immensa sete:/ fa' che io contempli il tuo volto apertamente,/ per essere beato nella visione della tua gloria».
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