lunedì 11 giugno 2012

Le visioni incomplete nell’applicazione della riforma



Colloquio il teologo don Nicola Bux sulle valutazioni del Papa alla luce del Concilio e a cinque anni dal documento base sulla liturgia





di Giuseppe Brienza

Sono passati ormai quasi cinque anni dal Motu proprio “Summorum Pontificum” con il quale, il 7 luglio 2007, Benedetto XVI “liberalizzò” la celebrazione della Messa tridentina secondo l'uso del Messale promulgato dal beato Giovanni XXIII. All’art. 5 (§ 1) dello storico documento, infatti, il Papa stabilì che, nelle parrocchie in cui esista stabilmente un gruppo di fedeli aderenti alla precedente tradizione liturgica, senza istanze al vescovo o ad altre autorità come accadeva prima, «il parroco accolga volentieri le loro richieste per la celebrazione della Santa Messa secondo il rito del Messale Romano edito nel 1962».



Proseguendo nella sua opera di correzione di un’interpretazione erronea del Concilio Ecumenico Vaticano II secondo la da lui stesso deprecata «ermeneutica della discontinuità e della rottura», che ha letto il Concilio come ripudio di tutto il Magistero precedente, Benedetto XVI ha tratto anche di recente occasione, il 7 giugno scorso in occasione della solennità del Corpus Domini, per pronunciare dalla sua “cattedra” di san Giovanni in Laterano, un’importante omelia sull’Eucarestia, tutta intesa a denunciare «visioni non complete del Mistero stesso, come quelle che si sono riscontrate nel recente passato».



Il Papa ha affermato che solo facendo precedere, accompagnare e seguire la celebrazione della Messa da un atteggiamento interiore di fede e di adorazione, «l’azione liturgica può esprimere il suo pieno significato e valore. L’incontro con Gesù nella Santa Messa si attua veramente e pienamente quando la comunità è in grado di riconoscere che Egli, nel Sacramento, abita la sua casa, ci attende, ci invita alla sua mensa, e poi, dopo che l’assemblea si è sciolta, rimane con noi, con la sua presenza discreta e silenziosa, e ci accompagna con la sua intercessione, continuando a raccogliere i nostri sacrifici spirituali e ad offrirli al Padre».



Protagonista di una tavola rotonda dedicata proprio al tema «Messa antica, Messa “nuova”: stesso spirito ma esigenza di un approfondimento della riforma liturgica», che sarà ospitata a Frascati il 16 giugno prossimo dal vescovo monsignor Raffaello Martinelli nell’ambito della I Giornata regionale di formazione cattolica organizzata dal “mensile di informazione e formazione apologeticail Timone ne abbiamo parlato con un esperto di liturgia come don Nicola Bux, consultore in Vaticano delle congregazioni per la Dottrina della fede, dei santi e dell’ufficio delle celebrazioni pontificie e già perito al Sinodo sull’eucaristia del 2005.



Molti parlano ma pochi hanno letto i testi del Concilio Ecumenico Vaticano II sulla liturgia, che cosa statuiva in particolare la costituzione “Sacrosanctum Concilium”?


E' tutto scritto in questa prima “costituzione” conciliare – quindi un documento statutario, 'giuridico' del 4 dicembre 1963 – che, sulla scia dell'enciclica Mediator Dei di Pio XII, del 1947 (oltre quindici anni prima) descrive la natura della “sacra” - ossia divina – liturgia, cioè, dal greco, opera pubblica, della Chiesa. Pertanto, nessuno, anche se sacerdote, può aggiungere,togliere o mutare alcunché (cfr. n. 22 c). E' esattamente quello che non è stato osservato.

D. Non mi pare neanche tanto osservata la raccomandazione del Vaticano II a proposito dello studio e della promozione della lingua ordinaria della Chiesa, cioè il latino, nella formazione dei sacerdoti e nella liturgia delle chiese di rito romano…


La Sacrosanctum Concilium, sulla scia - diremmo oggi in continuità – della costituzione apostolica emanata dal beato Giovanni XXIII “sullo studio e l'uso del latino” (Veterum Sapientia, 22 febbraio 1962) chiedeva anche questo. Prova ne è l'esortazione apostolica Sacramentum caritatis dopo il sinodo del 2005: rilancia il latino come lingua della Chiesa universale. Del resto, perché dovremmo rassegnarci all'inglese? Abbiamo bisogno o no della lingua comune noi cattolici almeno nella liturgia? E non toglie certo spazio quelle nazionali.


Che cosa risponderebbe a chi ancora oggi sostiene che, quella che il Papa ha definito la “forma straordinaria della Liturgia della Chiesa” (Summorum Pontificum, art. 5, § 3.), sia per la lingua che per i gesti, secondo alcuni eccessivamente enfatici e ormai distanti dal 'sentire odierno' - non agevolerebbe la comprensione del culto divino da parte del popolo né la sua partecipazione attiva?


Che cos'è il 'sentire odierno' ? L'uomo per parlare a Dio deve servirsi della Sua Parola e non della propria: noi preghiamo infatti con le parole dei Salmi, vecchi di tremila anni,e della liturgia che, unita al culto del tempio e sinagogale, ne fa altrettanti. La 'partecipazione' consiste innanzitutto nel sentirsi parte del corpo mistico di Gesù, e solo secondariamente nel 'partecipare' con gesti e parole. La liturgia è mistica e non si comprenderà mai pienamente in questo mondo. Questo è anche il motivo della 'durata' della Messa nella forma straordinaria, come la chiama Benedetto XVI, che ancor prima che tridentina è gregoriana ed apostolica. La Messa in forma ordinaria, può consolidarsi davvero, solo se si riscopre il nesso con l'antico rito e se ne fa arricchire, come auspica il Motu proprio Summorum Pontificum e l'Istruzione Universae Ecclesiae


Ci spieghi la scelta del provocatorio titolo di uno dei suoi ultimi libri, che si avvale anche di un contributo di Vittorio Messori: Come andare a Messa e non perdere la fede (Piemme 2010).


E' un titolo suggerito dall'editore, che ho accettato in ragione del “crollo” che ha conosciuto la liturgia negli ultimi decenni causando in buona parte la “crisi” della Chiesa – parole di Benedetto XVI – che invece di parlare all'uomo di Dio, ha parlato dell'uomo. Di qui la noia e l'abbandono della Messa – e della Chiesa – da parte di tanti. Si rimedia restaurando “l'affresco” liturgico dalle deformazioni al limite del sopportabile, mediante la rinascita del sacro nei cuori, come ha appena ricordato nell'Omelia del Corpus Domini Benedetto XVI. Dio ha diritto di essere adorato come egli ha stabilito. Se ne avvantaggerà la Chiesa e la società, che non diventerà più giusta se non riscoprirà il “giusto” culto (in greco: ortho-doxia) al Signore.

Sono in corso i colloqui tra Santa Sede e Fraternità Sacerdotale San Pio X per ricomporre lo scisma consumato nel 1988. Secondo alcuni osservatori, la conclusione sarebbe solo questione di tempo. Anche su questo versante, però, non mancano le voci critiche che temono un 'passo indietro' da parte della Chiesa e la riproposizione di forme pastorali, dottrinali e catechetiche ormai superate. Che cosa c'è da augurarsi?


Solo e sempre la riconciliazione dei cristiani nella verità e nell'amore. Non ha detto Gesù: che siano uno, affinché il mondo creda? Nessuno è di troppo nella Chiesa, che è 'una e multiforme'.



Vatican Insider    11 giugno 2012

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