Chiesa cattolica | CR 1922
di Fabio Fuiano, 29 Ottobre 2025
Nello scorso articolo, abbiamo ricordato una recente intervista a don Alberto Ravagnani, commentando il modo in cui in essa si è parlato del rapporto tra marito e moglie nel matrimonio. Vogliamo ora riprendere il discorso, concentrando l’attenzione sull’opinione che il sacerdote ha manifestato sui rapporti prematrimoniali e sui fini del matrimonio. L’argomento riveste una grande importanza, anche alla luce delle recenti decisioni del governo sulla c.d. “educazione sessuale” nelle scuole e del revisionismo in tema di morale sessuale che alcuni “teologi” (citati dallo stesso Ravagnani) vorrebbero all’interno della Chiesa.
Per don Ravagnani ci sarebbe da chiedersi «se la conoscenza reciproca dei due partner, anche attraverso l’esperienza della sessualità possa aiutare l’anima a compromettersi, a sperimentare la bellezza dell’amore, a far desiderare una vita insieme […]. Credo che la Chiesa debba imparare a dare un po’ più di valore al tema del piacere, che non ci sia soltanto il dovere in una relazione».
Il discorso si è poi spostato sui fini del matrimonio: «un tempo, la sessualità era finalizzata alla procreazione. Adesso la Chiesa dice: no, è finalizzata all’unione e alla procreazione. C’è un tema unitivo e un tema procreativo. Se prima c’era il tema procreativo quasi e basta adesso il tema unitivo prevale».
Secondo don Ravagnani, l’insegnamento della Chiesa su ciò che è peccato e ciò che non lo è, sarebbe frutto di un vecchio retaggio culturale: prova di ciò sarebbe per lui il fatto che la sessualità vissuta da una coppia di sposi con molti figli, ma con un matrimonio combinato – come un tempo si usava – pur essendo “priva” della dimensione unitiva, non costituirebbe formalmente un peccato. Viceversa, a differenza del caso precedente, la sessualità vissuta prima del matrimonio, pur con una viva componente unitiva, verrebbe “considerata” peccato dalla Chiesa. In conclusione – ha affermato – «credo che occorra andare al di là della legge così come è scritta sulla carta, il Catechismo, e seguire la legge dell’amore».
Anche in questo caso, si deve fare lo sforzo di guardare alla verità cattolica sul tema nella sua integralità. Solo così è possibile rendersi conto quanto artificiosa sia la contrapposizione tra legge dell’amore e legge morale naturale. La Chiesa ha molto da dire sul piacere connesso alla generazione, ma il modo in cui ne parla è sempre secondo verità e non per assecondare il peccatore.
Illuminanti, a tal proposito, sono le parole del certosino Dom François Pollien (1853-1936) nella sua opera intitolata Cristianesimo vissuto (Edizioni Fiducia, Roma, 2017, pp. 52-54).
L’autore, rivolgendosi direttamente al lettore, lo conduce per mano a capire come mai Dio, nella sua infinita bontà, abbia disseminato tanti piaceri nelle creature. Quando si ha a disposizione uno strumento facile a maneggiarsi, si prova del piacere a servirsene e di conseguenza si compie con maggiore facilità quel che si deve fare. Infatti, afferma Dom Pollien, «quando si tratta di un lavoro importante, gli strumenti non sono mai troppo precisi, perfetti e maneggevoli. È difficile fare un bel lavoro con strumenti che si maneggiano con difficoltà. Dio lo sa e perciò, in ogni strumento, volle metterci per te un piacere. Ad ogni dovere risponde uno strumento per farlo, e ad ogni strumento corrisponde un piacere per ben compiere il dovere».
Ecco l’idea di Dio e la delicatezza del suo amore: «Egli ti affida un magnifico incarico: quello di glorificare Lui e di render te beato. Per questo ti dà un numero infinito di strumenti che sono le creature. Per facilitarti l’uso di questi strumenti, in ognuno di essi mette un piacere: ecco il piacere creato».
Ma, domanda Pollien, cos’è per noi questo piacere? Per le nostre facoltà «quello che l’olio è per le ruote. Osserva una macchina: quando tutto è secco, provi a metterla in moto; sforzi inutili. L’attrito fa troppa resistenza, lo stridore è violento, i movimenti stentati, e così il meccanismo si guasta in poco tempo. Metti una piccola goccia d’olio nei punti più indicati, ed ecco che gli attriti cessano, il movimento si compie con la massima facilità, tutta la macchina funziona senza guastarsi. Per agire con facilità e forza anche le tue facoltà hanno bisogno d’un po’ d’olio, di quell’olio di gioia che Dio ha fatto appunto per lubrificare il meccanismo, per dir così, delle anime che vogliono amare la giustizia e odiare l’iniquità».
La funzione del piacere, dunque, è quella di facilitare il lavoro, «quella di attirare, trascinare, elevare, incoraggiare, dilatare, fortificare le tue facoltà nell’esercizio del tuo dovere. È dunque un piacere strumentale, una semplice facilitazione di lavoro e non mai un fine. Esamina tutti i piaceri, dai più soprannaturali fino ai più materiali, da quello delle estasi e delle consolazioni divine nelle alte vette della perfezione fino a quelli del cibo e della generazione, nelle regioni inferiori della conservazione della specie e degli individui umani, tutti senza eccezione hanno per scopo di facilitare il compimento di un dovere».
Ecco, dunque, che ad ogni piacere, nell’idea di Dio, corrisponde un dovere da compiere. Non siamo fatti per abusarne, ma per servircene.
Coloro che ne abusano «si lasciano ingannare da esso e dimenticano il dovere. Quello che Dio aveva fatto solo per facilitare il dovere, diventa invece l’ostacolo più grande. […] Colui che si trastulla coi piaceri sensuali, ohimè! Diventa un bruto […] Ricordati di questo: il piacere creato è un rimedio per uso esterno: guai a te se lo ingoi. Dunque, invece d’ingoiarlo, servitene; esso t’aiuta a farti compiere il tuo dovere. Servitene per uso esterno, cioè secondo l’espressione di S. Agostino, tienilo nella mano e non permettere che alberghi nel cuore. Fa’ sì che il piacere serva unicamente al dovere; non separar mai queste due cose. Ogni piacere, trastullo, divertimento, gioia o soddisfazione, che prendi fuori del tuo dovere, ti guasta. Temi come la morte il piacere che soffoca le tue facoltà nell’egoismo del godimento. Ma quello che ti conduce al tuo dovere, che dà alle tue facoltà lo slancio, la forza, la gioia, il vigore, l’agilità, per compiere il dovere con facilità e prontezza, oh! Sì, quello è buono e benefico, non temere; servitene, Dio lo benedice».
Come se non bastasse – ricorda Pollien – in principio Dio «aveva creato soltanto strumenti e non ostacoli, piaceri e non sofferenze. Ogni creatura era uno strumento, ed ogni strumento portava con sé il suo piacere. Il peccato sconvolse profondamente questo primo piano di Dio; cambiò una quantità di strumenti in ostacoli, ed una moltitudine di piaceri in sofferenze. L’ostacolo e la sofferenza sono conseguenza del peccato». Ma la bontà di Dio per noi «Gli fece trovare, anche dopo il peccato, il mezzo di cambiare gli ostacoli stessi in strumenti, e le sofferenze in gioie. La Passione del Salvatore ha operato questo prodigio. Tutto serve al bene degli eletti, tutto, anche gli ostacoli del peccato, e tutto per loro diventa gioia, perfino la sofferenza, che diventa la più grande delle gioie».
Se il piacere è subordinato al dovere in quanto strumentale ad esso, allora anche il fine unitivo e il corrispondente piacere della relazione tra i coniugi devono essere subordinati al fine procreativo e all’educazione della prole. L’unione fine a sé stessa costituisce una sterilizzazione del matrimonio e della sua bellezza. Solo ristabilendo la corretta gerarchia di questi fini nel sacramento del matrimonio è possibile ricostituire quell’armonia a cui ogni cuore umano anela.













